Pechino arresta un secondo cittadino canadese
Le autorità cinesi hanno confermato l’arresto di un secondo cittadino canadese accusato di aver messo a repentaglio la sicurezza nazionale cinese. Il Ministero degli Esteri canadese ha comunicato di non essere riuscito a mettersi in contatto con Micheal Spavor, businessman canadese trattenuto in queste ora dalle autorità del Liaoning, nel nordest della Cina. Spavor, residente nella cittadina di Dandong, dirige Paektu, centro per gli scambi culturali con la Corea del Nord, ed è uno dei pochi occidentali ad avere incontrato di persona il leader nordcoreano Kim Jong-un. Spavor era atteso questo martedì ad una conferenza presso la Royal Asiatic Society di Seul ma, come confermato dagli organizzatori, il businessman canadese non è mai arrivato.
Il fermo di Spavor è avvenuto solo pochi giorni dopo la detenzione dell’ex-diplomatico canadese Michael Kovrig in viaggio a Pechino. Il fermo dei due cittadini canadesi sarebbe in risposta all’arresto effettuato dalle autorità canadesi di Sabrina Meng Wanzhou, CFO di Huawei, su richiesta degli Stati Uniti, intenzionati ad accusarla di frode per il trasferimento di fondi a Teharan.
Modificato il piano ‘made in China 2025’
Pechino sarebbe già al lavoro per sostituire ‘Made in China 2025’, piano di sviluppo industriale voluto dal Presidente Xi Jinping per rendere la Cina primo paese al mondo nel settore delle industrie high-tech, con una versione più moderata. Gli obiettivi sono da un lato la volontà di attenuare le critiche internazionali che accusano Pechino di volere dominare in maniera aggressiva il settore manifatturiero e dall’altro di permettere ad un maggior numero di aziende straniere di investire in Cina così da venire incontro alle richieste di Washington e Bruxelles. La scelta di Pechino arriva quindi in risposta alle pressioni ricevute dal Presidente Donald Trump che ha fatto scoppiare una guerra commerciale a colpi di tariffe per bilanciare gli squilibri commerciali esistenti tra i due paesi e per garantire un maggior accesso delle aziende americane all’interno del mercato della seconda potenza mondiale.
Il nuovo piano dovrebbe essere rilasciato nei primi mesi del 2019, in concomitanza con la scadenza della tregua commerciale siglata tra Cina e Stati Uniti durante la riunione del G20 in Argentina. Data la lunga lista di promesse non mantenute da Pechino, solo il tempo ci dirà se vedremo realizzarsi un quanto mai essenziale cambio di direzione nelle politiche commerciale della potenza asiatica.
Formalizzato l’arresto di Lu Guang, vincitore del World Press Photo
Pechino ha formalizzato l’arresto di Lu Guang, il fotografo pulipremiato sparito mentre si trovava nel Xinjiang lo scorso mese. Lo ha riferito la moglie su Twitter dopo aver ricevuto la notifica da parte delle autorità di Kashgar. Continuano a rimanere ignote le motivazioni del fermo. Dal 2014 il Xinjiang vive uno stato di militarizzazione mirato ufficialmente a prevenire la radicalizzazione della popolazione islamica locale. L’ultimo contatto con la moglie risale allo scorso 3 novembre, il fotografo si trovava a Urumqi la capitale regionale, da dove avrebbe dovuto muoversi per incontrarsi due giorni dopo con un amico, ma non si è presentato.
CPJ: Cina sul podio per giornalisti arrestati
Insieme a Turchi ed Egitto, la Cina continua a dominare la lista mondiale dei paesi con più giornalisti agli arresti. Lo rivela l’ultimo rapporto di CPJ, secondo il quale al momento sono complessivamente 251 i professionisti del settore in stato di fermo. Per il terzo anno di fila i tre paesi si pongono in cima alla classifica contando per oltre la metà degli arresti. Secondo lo studio, il numero più alto dei 47 casi registrati oltre la Muraglia si conta nel Xinjiang, dove sono stati effettuati almeno dieci arresti nell’ultimo anno. La Repubblica popolare si pone così seconda dopo la Turchia a quota 68.
Obiettivo, raddoppiare il numero degli aeroporti interni
Secondo le autorità dell’aviazione cinese, entro il 2035 vi saranno oltre 450 aeroporti in Cina, il doppio rispetto al numero attuale. Negli ultimi anni sono state investite enormi risorse per rilanciare il sistema di trasporto aereo interno al fine di ridurre la pressione sui principali aeroporti e per connettere le aree più remote del paese. Secondo uno studio rilasciato da DBS Group Research, entro il 2036 oltre 1.5 miliardi di cittadini cinesi voleranno almeno una volta all’anno, aiutati da migliori condizioni economiche. Per quanto vago, il piano di sviluppo rilasciato dalla China Aviation Administration delinea una maggiore presenza del settore privato nell’industria dell’aviazione. L’apertura di nuovi aeroporti beneficerà soprattutto le città di terza e quarta fascia. Secondo Jeff Yu, esperto di aviazione in forza a Roland Berger, per Pechino “il principale metro di paragone sono gli Stati Uniti che, a parità di estensione territoriale, hanno un totale di 789 aeroporti civili”. “La Cina punta dunque a rendere i voli più accessibili ed economici per facilitare gli spostamenti interni”.
Google non ha intenzione di tornare in Cina, per il momento
Per ora, sembra che Google non abbia intenzione di rilanciare il proprio motore di ricerca in Cina anche se la compagnia americana continua a contemplare l’idea. Google, che ha lasciato la Cina nel 2010, ha ricevuto pesanti critiche dai propri dipendenti e dal Congresso americano per la possibilità che, disposta a tutto pur di tornare ad operare nella seconda economia al mondo, la compagnia americana scelga di sottostare ai controlli e alla censura del Great Firewall. Sundar Pichai, CEO di Google, ha dichiarato che, se da un lato un team di 100 ricercatori studia da tempo la natura e le funzioni della ricerca sul web in Cina, “al momento è escluso il possibile ritorno di Google nel gigante asiatico”. Pichai ha aggiunto che non vi è stato alcun contatto con il governo cinese e che in futuro ogni comunicazione sarà trasparente e rispettosa di tutte le parti in gioco. David Cicilline, rappresentante democratico, ha commentato che “allo stato attuale è impensabile che Google possa operare all’interno del mercato cinese senza venire meno alla promessa di tutela dei valori universali, tra cui libertà di espressione e privacy”.