Tredici mesi e mezzo di carcere. E’ la pena comminata stamattina a Joshua Wong, il volto delle proteste di Hong Kong. L’accusa è di aver promosso un’assemblea illegale quando lo scorso anno i manifestanti presero di mira il quartier generale della polizia. Sentenze più lievi prevedono rispettivamente 10 e 7 anni per gli attivisti Agnes Chow e Ivan Lam. I tre si erano dichiarati colpevoli la scorsa settimana. I fatti di Hong Kong hanno conquistato rilevanza internazionale. Nella giornata di ieri una lettera firmata da 150 parlamentari di 18 paesi ha chiesto giustizia per i 12 cittadini hongkonghesi arrestati dalle autorità cinesi mentre cercavano di raggiungere Taiwan via mare. Di ieri la notizia del fermo di sette persone per aver sistemato in diverse aree della città degli stand con la scritta “Save 12”. I fermati, tra cui alcuni membri del gruppo pro-democrazia St-Politicism”, hanno voluto ricordare i 12 fuggitivi arrestati e imprigionati in Cina a 100 giorni dal loro fermo. [fonte SCMP,Reuters]
La Cina nel mirino della NATO
“La NATO deve dedicare molto più tempo, risorse politiche e azioni per affrontare le sfide alla sicurezza poste dalla Cina”. E’ quanto afferma un rapporto compilato da un gruppo di esperti dell’organizzazione presentato ieri a Bruxelles. che invita ad effettuare una valutazione della superpotenza in termini di “capacità nazionali, peso economico e obiettivi ideologici”. Secondo il Segretario generale Jens Stoltenberg, i paesi membri devono ” sviluppare una strategia politica per avvicinarsi a un mondo in cui la Cina assumerà un’importanza crescente fino al 2030″. “La Cina si sta avvicinando a noi, sta investendo pesantemente in infrastrutture nei paesi della NATO in Europa”, ha spiegato Stoltenberg. Il gigante asiatico è entrato nei radar della NATO nel dicembre 2019, quando il paese è stato menzionato per la prima volta come una sfida per il blocco atlantico. Quest’oggi verrà compiuto un ulteriore passo avanti quando i ministri degli esteri NATO saranno raggiunti per la prima volta dai rappresentanti dei paesi dell’Asia-Pacifico per presenziare a una sessione online dedicata alla Cina. La manovra “anticinese” giunge nel pieno di una crisi esistenziale dell’Alleanza atlantica, ritenuta inadeguata tanto dall’America di Trump quanto dalla Francia di Macron.
[fonte Bloomberg]
Chengdu e Chongqing in corsa per le Olimpiadi del 2032
Mentre procedono ancora i preparativi per le Olimpiadi invernali di Pechino 2022, la Cina è già pronta a presentare nuovamente la propria candidatura per i Giochi del 2032. Secondo la Xinhua stavolta però saranno le città di Chengdu e Chongqing a gareggiare congiuntamente per ospitare il prestigioso evento. Come spiega l’agenzia di stato, la decisione tiene conto delle “forti caratteristiche urbane e culturali delle due città” ed è mirata ad accrescerne “l’influenza internazionale e la competitività”. Da alcuni anni le due megalopoli del Sud-Ovest sono diventate un cluster produttivo dinamico e un importante snodo logistico della “Belt and Road Initiative”. In futuro Pechino punta a renderle il quarto hub industriale più grande del paese sfruttando l’esperienza maturata nella produzione di software (Chengdu) e hardware (Chongqing). La corsa alle Olimpiadi aiuterebbe a migliorarne lo standing anche oltreconfine. L’agenda sportiva di Chengdu e della provincia del Sichuan è già piuttosto fitta e comprende l’organizzazione delle Universiadi estive del 2021, il Campionato mondiale di tennis da tavolo 2022, il Torneo della Coppa d’Asia 2023 e i Giochi mondiali del 2025. [fonte SupChina]
Nonostante Covid, cresce il peso della Cina nei commerci mondiali
Non solo gli Stati Uniti. I contraccolpi della pandemia sulla catena di approvvigionamento globale hanno indotto molti paesi a rivedere la rete delle proprie forniture, soprattutto per quanto concerne i settori strategici. Tanto in Asia quanto in Europa, si è parlato molto della necessità di diversificare per ridurre la dipendenza dalla Cina. Ad oggi tuttavia i numeri sembrano attestare l’esatto contrario: dall’inizio dell’epidemia l’export del gigante asiatico è diventato ancora più presente a livello internazionale, passando dalla quota del 17% di marzo al 24% di aprile. Tanto che il bilancio annuo si è tenuto costante superando il picco massimo del 17% registrata nel 2015. Il rimbalzo dei consumi in Europa e negli Stati Uniti nel corso del 2020 ha trainato la domanda di merci cinesi, facendo schizzare le esportazioni dall’ex Celeste Impero al di sopra dei livelli pre-guerra commerciale con Washington. Il trend, secondo gli esperti, potrebbe subire un’accelerata grazie alla RCEP, l’accordo di partenariato commerciale firmato il 15 novembre che prevede l’istituzione di una zona di libero scambio in Asia. Secondo uno studio del Peterson Institute for International Economics, le esportazioni globali aumenteranno di 500 miliardi di dollari nel 2030 grazie a una riduzione delle tariffe. La Cina sarà il paese a trarne i maggiori benefici, con un aumento dell’export di 248 miliardi di dollari. Contestualmente, stando a una ricerca pubblicata ieri da HSBC, la Cina ha superato gli Stati Uniti diventando il più primo mercato estero per le aziende dell’Asia-Pacifico. Il rapporto afferma che il 29% delle aziende intervistate ha indicato la Cina come il loro principale partner commerciale, un + 1% in più rispetto agli States. [fonte NIKKEI]
Cala l’interesse dei paesi occidentali per gli studi sinologici
“Conosci il nemico come conosci te stesso” , diceva lo stratega cinese Sun Tzu. Eppure, nonostante la Cina abbia acquisito centralità nell’agenda estera dell’Occidente, nel mondo accademico l’interesse per gli studi cinesi è in calo. Secondo l’Economist, gli sforzi con cui Pechino ha cercato di promuovere l’interesse per la lingua cinese hanno generato una curiosità passeggera: “l’entusiasmo per gli studi sinologici a livello universitario rimane debole. La paura della Cina e le restrizioni da essa imposte sono in parte da biasimare.” In Gran Bretagna il numero degli studenti universitari che studiano la Cina è diminuito costantemente dal 2017, scendendo lo scorso anno a 90 su 1.434. Un sondaggio del 2019 dimostra che in Australia – paese con cui Pechino è ai ferri corti – si sta assistendo a un fenomeno analogo: il numero degli australiani impegnati a studiare il paese asiatico è “ovviamente diminuito” negli ultimi cinque anni con conseguente “progressivo svuotamento” delle competenze cinesi in Australia. Nelle università americane le iscrizioni ai programmi in lingua cinese hanno toccato quota 60.000 nel 2013, ma tre anni dopo si è registrata una diminuzione di oltre 8.000 unità. Le motivazioni sono molteplici. Stando al settimanale economico, a influire concorre l’aumento di cinesi madrelingua con formazione occidentale, l’inasprimento delle politiche sui visti per la Cina, il recente arresto di accademici stranieri impegnati nello studio di tematiche sensibili. Oltre alle difficoltà oggettive riscontrate nell’apprendimento di una lingua non certo semplice. Un fattore che però non sembra aver disincentivato l’interesse per il giapponese. [fonte Economist]
5G: le aziende giapponesi pronte a rimpiazzare Huawei
Il Giappone si appresta a rimpiazzare la Cina nella corsa allo sviluppo della rete di quinta generazione. E’ quanto suggeriscono gli ultimi sviluppi in Gran Bretagna e India dove il colosso cinese Huawei è stato fatto fuori a favore di due aziende nipponiche. Secondo quanto riportato dal ministro del Commercio internazionale britannico, Nippon Electric Corporation è stata incaricata di realizzare la banda larga d’oltremanica con un sistema che permette di incorporare componenti prodotti di altri operatori. La notizia del progetto -che dovrebbero concludersi entro il prossimo anno – è arrivata contestualmente a un’anticipazione del piano di espulsione delle apparecchiature Huawei, che non potranno essere più acquistate dal settembre 2021. Entro il 2027 la rete nazionale dovrà essere completamente Huawei-free. In india sarà invece Rakuten a sostituire l’azienda di Shenzhen mettendo a disposizione un sistema 5G basato sul “Cloud” per ridurre i costi di installazione e funzionamento. La collaborazione tecnologica tra Tokyo e Nuova Delhi sarà ufficializzata in dicembre con la firma di un memorandum d’intesa. Fra le altre cose, l’accordo prevede future sinergie nello sviluppo e la commercializzazione del 6G, atteso tra una decina di anni. L’avanzata di Nec e Rakuten rompe il monopolio delle europee Nokia ed Ericsson, le uniche aziende ad aver offerto un’alternativa al Made in China. In Asia, le due compagnie sono state già scelte per la realizzazione del 5G di Taiwan e Singapore. [fonte NIKKEI, Asia Times]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.