Procederà sotto il controllo serrato dei militari e della polizia bangladeshi il rimpatrio della prima tranche di 2200 rifugiati rohingya fuggiti nell’ultimo anno dallo stato Rakhine. Con un anno di ritardo rispetto agli accordi preventivamente raggiunti tra Dacca e Naypyidaw, le operazioni dovrebbero cominciare oggi, nonostante la contrarietà delle Nazioni Uniti, impensierite dalla situazione di instabilità in cui continua a vertere l’ovest del Myanmar. Il condizionale è d’obbligo perchè in realtà “nessuno vuole tornare”. Secondo il Guardian nelle ultime ore, per sfuggire a un rimpatrio forzato, i rifugiati hanno abbandonato i campi profughi in alcuni casi tentando persino il suicidio. La UNHCR ha già annunciato che non fornirà supporto se, come da programma, verranno dirottati in altri centri di accoglienza provvisori anziché vedersi concesso il ritorno nei villaggi d’origine.
Xinjiang, 15 paesi occidentali chiedono la fine della repressione
Quindici nazioni occidentali – guidate dal Canada – avrebbero indirizzato una lettera alle autorità cinesi richiedendo un incontro con il segretario del partito del Xinjiang, la regione musulmana interessata da una recente ondata di detenzioni extragiudiziali mirate ufficialmente a debellare il terrorismo. Il testo, autografato dai rispettivi ambasciatori, esprime “profondamente turbamento” per il “trattamento delle minoranze etniche, in particolare gli individui di etnia uigura, nella regione autonoma uigura dello Xinjiang”. “Al fine di comprendere meglio la situazione, chiediamo un incontro al più presto per discutere di queste preoccupazioni.” La controffensiva diplomatica rompe il disinteresse protratto della comunità internazionale. Mentre da anni Pechino governa il Far West con il pugno di ferro, fino a pochi mesi fa la questione uigura era pressoché ignorata all’estero. Tutt’ora i paesi islamici, molti dei quali posizionati lungo la Belt and Road, continuano generalmente a preferire il silenzio temendo un taglio dei capitali cinesi. Secondo l’esclusiva della Reuters l’iniziativa coinvolge, tra gli altri, gli ambasciatori di Canada, Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Germania, Olanda e Australia.
L’AI è un sogno (cinese)?
Descritta da Xi Jinping come la punta di diamante della nuova strategia di crescita cinese, il settore dell’intelligenza artificiale “made in China” sembra avere già il fiato corto. Secondo il ABI Research, mentre lo scorso anno la Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di investimenti nel settore privato, rasentando i 5 miliardi di dollari, nei primi sei mesi del 2018 sono stati iniettati appena 1,6 miliardi, meno di un terzo degli Usa. Siamo davanti all’ennesima bolla cinese? Come spiega l’analista della società Lian Jye Su, “ci troviamo in un momento in cui gli utilizzi generici sono stati già affrontati. E la costruzione di chatbot generici per scopi generici è molto più semplice della realizzazione di algoritmi specifici per settori come il settore bancario, l’edilizia e il mining in quanto è necessaria la conoscenza del settore e la disponibilità economica da parte dell’industria.” Non tutti concordano. Secondo un altro esperto consultato dal FT, la Cina non è l’America, abituata a pensare in termini di tecnologia superavanzata. “Noi stiamo cercando un tipo di intelligenza artificiale ‘abbastanza buona’ per fare la differenza.” Esemplare è il progetto di una società di apprendimento online online che, pur non riuscendo a mettere a punto conversazioni individuali con gli studenti, personalizza sufficientemente il contesto in base alle risposte così da dare all’utente l’impressione di avere un vero insegnante. “Non è straordinario, ma porta il costo delle lezioni a meno di 1 dollaro.”
La Cina è il paese più ottimista del mondo
Secondo un rapporto pubblicato dall’Economist Intelligence Unit (EIU), oltre il 91,4% dei cinesi crede che il proprio paese sarà migliore nel prossimo decennio. L’indagine, condotta in 50 stati diversi, evidenzia una maggiore soddisfazione verso i governi in carica tra gli intervistati nei mercati emergenti dell’Asia e dell’Africa rispetto a quelli provenienti dai paesi della regione OCSE. Secondo lo studio, l’atteggiamento ottimista della maggioranza dei cinesi verso il futuro è attribuibile al senso di benessere generato dalla politica di riforma e apertura, di cui quest’anno ricorre il 40esimo anniversario. L’EIU mette inoltre in risalto il ruolo positivo svolto dall’innovazione e la ricerca nel nuovo modello di crescita cinese.
Usa militarmente in affanno
L’equilibrio militare mondiale si è spostato verso Europa, Asia e Medio Oriente, minando la fiducia degli alleati americani e aumentando le probabilità di una guerra. E’ quanto mette in evidenza un rapporto presentato al Congresso dalla National Defence Strategy Commission, secondo il quale “le forze armate statunitensi potrebbero subire perdite inaccettabilmente elevate di importanti beni capitali in un prossimo conflitto. Potrebbero lottare per vincere, o forse perdere, una guerra contro la Cina o la Russia “. Stando al report, “gli Stati Uniti rischiano particolarmente di essere sopraffatti nel caso in cui l’esercito sia costretto a combattere su due o più fronti contemporaneamente”. L’avvertimento arriva dopo che la Casa Bianca ha incaricato il Pentagono di ridimensionare il budget militare per il prossimo anno di circa il 4,5% a causa dell’aumento del deficit federale sulla scia del taglio delle imposte dello scorso anno.