Il campione olimpico cinese di nuoto Sun Yang è stato bandito da tutte le gare per un periodo superiore a quattro anni, a partire dal 28 febbraio 2020, poiché è accusato di aver assunto sostanze dopanti. Secondo la Corte di Arbitrato per lo sport (Tas), in seguito a un riesame, Sun avrebbe violato le regole anti-doping nel settembre 2018, rifiutando di sottoporsi a test antidroga e distruggendo le fiale contenenti il suo sangue. Lo stop alle competizioni per un lungo periodo mettono in difficoltà il campione, che si stava preparando per gli imminenti giochi olimpici di Tokyo. La sanzione terminerà quindi nel giugno 2024, ovvero prima dell’apertura dei Giochi di Parigi, quando tuttavia Sun Yang avrà 32 anni.
Non è la prima volta che pendono simili accuse sul campione olimpico. La carriera del 29enne, che ha nel suo palmares tre medaglie d’oro olimpiche, è stata segnata dalla sentenza del febbraio 2020 lo stesso, per cui il Tas lo aveva sospeso per otto anni, applicando la sanzione massima. Quella sentenza fu poi annullata, dopo un ricorso al Tribunale federale svizzero, per poi arrivare alla decisione definitiva comunicata nella giornata di ieri. (Caixin)
Ant in trattative per società di valutazione del credito con aziende statali
Ant Group, controllata dell’imprenditore Jack Ma, è in trattative con le autorità di regolamentazione cinesi per creare una società che metterà i dati dei consumatori del gigante fintech nelle mani dei regolatori. I colloqui tra Ant e le autorità statali potrebbero portare alla formazione di una joint venture, che sarebbe autorizzata come società di valutazione del credito. Le parti avrebbero affrontato durante le trattative l’argomento della gestione di Ant, che potrebbe finire nelle mani delle società statali. Inoltre, si è anche parlato del tipo di dati che sarebbero raccolti e di come i punteggi di credito si adatterebbero meglio ai piani cinesi, per essere poi inseriti un database nazionale. I regolatori stanno spingendo affinché i potenziali azionisti di proprietà statale svolgano un ruolo maggiore nella nuova entità al fine di avere più voce in capitolo sul modo in cui opera.
La nuova organizzazione, che potrebbe essere in vita già dal terzo trimestre di quest’anno, potrebbe portare Ant a cedere il controllo della mole di dati di cui è in possesso sulle abitudini economiche dei cittadini cinesi.
Un bottino ricco, se si pensa che più di un miliardo di persone utilizza i servizi forniti dall’app Alipay di Ant per effettuare acquisti e investimenti. [fonte WSJ ]
Migliaia di video sulla vita spensierata degli uiguri. Ma sono propaganda
“Noi siamo davvero liberi e felici”. Una frase che suona come un mantra in migliaia video che vedono protagonisti diversi abitanti dello Xinjiang, appartenenti alla minoranza degli uiguri, per negare le accuse di genocidio mosse dagli Stati uniti e dall’ex Segretario di Stato Mike Pompeo. Secondo un’inchiesta di NYT e ProPublica, in base a uno studio durato mesi su oltre 3.000 video, le clip sono il risultato della propaganda del Partito comunista cinese, che da mesi ha messo in piedi una campagna per confutare le accuse mosse dalla comunità internazionale. L’operazione ha prodotto e diffuso migliaia di video in cui cittadini dello Xinjiang, con frasi e affermazioni simili tra loro in tutte le clip, negano abusi contro la comunità uigura e accusano i funzionari stranieri e le multinazionali di diffondere fake news sul tema dei diritti umani nella regione nordoccidentale cinese. Nella maggior parte delle clip non compaiono loghi riconducibili al governo di Pechino. Ma i video, analizzati nel loro insieme, mettono in luce indizi di un coordinamento più ampio e articolato, come la presenza dei sottotitoli in lingua inglese, affiancati a quelli della lingua cinese o uigura, nelle clip pubblicate su YouTube e altre piattaforme occidentali. Pechino quindi sta lavorando per trasmettere i suoi messaggi politici a un’audience globale. E siti come Twitter e YouTube, vietati in Cina, stanno giocando un ruolo chiave. Molti dei video analizzati dalle testate americane sono apparse per la prima volta su un’app di notizie del Partito Comunista regionale; poi sono sono stati caricati su YouTube con i sottotitoli in lingua inglese. Tecnica complessa ma collaudata anche sui social network. Su Twitter, una rete di account collegati tra loro ha condiviso i video facendo attenzione a evitare i sistemi della piattaforma per rilevare e bloccare le fake news. Ad alimentare il sistema di diffusione di questi contenuti sono i diplomatici cinesi, sempre più abili sui social media e sulle piattaforme oscurate in Cina. Il sistema è, in sostanza, un megafono per la propaganda per Pechino: in pochi giorni, i video che stabiliscono la versione della realtà del Partito Comunista possono essere girati, modificati e amplificati su internet in tutto il mondo. [fonte NYT ]
Myanmar: Facebook promuove contenuti violenti contro i manifestanti
Facebook alimenta la propaganda della giunta nel Myanmar. È l’accusa dell’ong Global Witness, che ha scoperto come l’algoritmo di raccomandazione di Facebook continui a invitare gli utenti a visualizzare contenuti che violano la sua stessa policy utile a contrastare la diffusione di contenuti e pagine violente. Secondo studi e analisi fatte dal Global Witness, quando un utente inizia a seguire una pagina sostenitrice della giunta, l’algoritmo del social network gli propone altre pagine simili, dove sono condivisi post che incitano alla violenza.
Tra i post presenti su una delle pagine analizzate dalla ong circolava la foto di una giovane donna birmana, accusata di aver dato alle fiamme una fabbrica a Hlaing Tharyar, sui cui pende una taglia di dieci milioni di dollari destinata a chi “la cattura viva o morta”. Altri post, invece, promuovono metodi di violenza e vessazione contro i manifestanti. Per Global Witness, su Facebook in Myanmar circolano anche contenuti che glorificano la violenza militare e la disinformazione, come le affermazioni errate secondo cui Isis è presente in Myanmar e che i militari hanno preso il potere a causa di “frodi elettorali”.
La ong, con il suo rapporto, ritiene che l’algoritmo di raccomandazione Facebook non funzioni, chiedendo che sia soggetto a un controllo indipendente. Il colosso del social network sostiene che il suo staff “monitora da vicino” la situazione in Myanmar in tempo reale e ha preso provvedimenti su eventuali post, pagine o gruppi che infrangono le sue regole. Tuttavia, secondo la ong, i contenuti identificati sono rimasti online per mesi. [fonte The Guardian ]
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.