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In Cina e Asia – Ministro della Difesa cinese: “Alcuni paesi” amano imporre le loro regole agli altri

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Ministro della Difesa cinese: “Alcuni paesi” amano imporre le loro regole agli altri
  • Arresti e censura per l’anniversario dei fatti di piazza Tiananmen
  • Covid: la Cina ha indagato sulla “fuga del virus dal laboratorio” di Wuhan
  • Cina: l’aggressione di un giornalista scatena dibattito sui social
  • Il (criticato) piano di pace indonesiano per l’Ucraina
  • Il DPP di Taiwan si scusa per il caso #MeToo
  • La Russia si riprende le componenti d’arma da India e Myanmar
  • India: un errore nel sistema di segnalazione elettronica dietro la strage ferroviaria

Nell’ultimo giorno dello Shangri-La Dialogue, il summit sulla sicurezza dell’Asia-Pacifico che si è svolto dal 2 al 4 giugno a Singapore, il ministro della Difesa Li Shangfu ha rivolto una critica poco velata agli Stati Uniti: ha detto che “alcuni paesi” amano imporre le loro regole agli altri, usando però “due pesi e due misure”. Ma i toni si sono fatti più moderati quando sono state menzionate direttamente le relazioni tra le due potenze: Li ha riconosciuto come “innegabile” il fatto che un conflitto tra i due paesi “sarebbe un disastro insopportabile per il mondo” e ha chiesto “azioni concrete” dagli Usa per prevenire un ulteriore peggioramento dei legami. Nelle ore precedenti si sono registrati rimproveri incrociati: il ministro della Difesa statunitense Lloyd Austin ha criticato il suo omologo cinese per avergli negato un colloquio privato al margine del summit della Difesa (“una necessità”, secondo il funzionario Usa, per prevenire eventuali ricadute nella regione). L’esercito cinese ha ammonito Stati Uniti e Canada per aver “deliberatamente provocato rischi” per una navigazione congiunta nelle acque. I due paesi hanno definito il transito del cacciatorpediniere Usa e la nave canadese un transito “di routine” e “in conformità con il diritto internazionale”.

A Singapore Li Shangfu ha invece incontrato il segretario della Difesa giapponese Yasukazu Hamada e quello australiano Richard Marles, in due meeting separati. Li e Hamada hanno sottolineato l’importanza di “continuare a promuovere il dialogo e gli scambi” e di preservare una “relazione costruttiva e stabile attraverso una discussione franca”. Alle preoccupazioni di Hamada “in materia di sicurezza” sulla situazione del Mar Cinese Meridionale (e sulle ingerenze di Pechino nelle acque al largo delle isole Senkaku, amministrate da Tokyo e che la Cina chiama Diaoyu), Li ha risposto che le relazioni bilaterali non si possono limitare a tale questione. Toni meno concilianti su Taiwan. Sia durante l’incontro che nel discorso pubblico di domenica Li ha ribadito la posizione della Repubblica popolare e ha affermato che l’isola è “al centro degli interessi fondamentali della Cina” e rimane una questione di politica interna. I colloqui con Marles hanno segnato passi avanti nell’avvicinamento tra Pechino e Canberra: i due leader hanno rimarcato la necessità di eliminare le restrizioni alle esportazioni di vino e orzo dall’Australia, questioni già discusse nelle scorse settimane durante la visita del ministro australiano del commercio Don Farrell a Pechino.

A margine dello Shangri-La Dialogue si è tenuto anche il primo colloquio quadrilaterale di Australia, Giappone, Filippine e Stati Uniti. Secondo il resoconto fornito dal ministro giapponese i quattro leader “hanno riaffermato di condividere la visione di un Indo-Pacifico libero e aperto e di impegnarsi collettivamente per garantire che tale visione continui a prosperare”. Il segretario della Difesa Usa Austin ha twittato che lo scopo era di “discutere le opportunità di espandere la cooperazione [..] anche nel Mar Cinese Meridionale”. L’accordo riflette i legami più stretti di Manila con Washington, come dimostra la visita del presidente Ferdinand Marcos Jr. alla Casa Bianca del mese scorso.

Intanto, funzionari cinesi e americani stanno continuando a incontrarsi con l’obiettivo di impedire un ulteriore deterioramento delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Mentre non ci sono ancora conferme sulla presunta visita segreta del direttore della CIA, William Burns, in Cina, come riportato dal South China Morning Post, Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato americano per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, è partito domenica alla volta della Repubblica popolare per una missione ufficiale. Insieme a lui Sarah Beran, direttrice senior del Consiglio di sicurezza nazionale per gli affari con Cina e Taiwan. Tra gli obiettivi principali del viaggio c’è probabilmente la volontà di spianare la strada a una possibile visita del presidente americano Joe Biden in Cina. Prima di tornare negli Stati Uniti il 10 giugno, Kritenbrink si recherà anche in Nuova Zelanda per partecipare al dialogo strategico tra Wellington e Washington.

Arresti e censura per l’anniversario dei fatti di piazza Tiananmen

La piattaforma di video brevi Douyin (di cui TikTok è la versione occidentale) ha inviato precise indicazioni ai suoi account ufficiali: nelle ore precedenti e successive al 34esimo anniversario del massacro di piazza Tiananmen del 4 giugno 1989, ai principali influencer è stato chiesto di “prestare attenzione” alla presenza nella sezione dei commenti di “emoji con candele accese, numeri con implicazioni poco chiare, slogan, carri armati” e altri elementi considerati tabù. Da anni il Partito censura i contenuti che ricordano la strage (aggiornandosi continuamente rispetto alla creatività dei netizens, qui un post Instagram che riporta degli esempi).

Per decenni Hong Kong è stata l’unica città cinese che ha ospitato una commemorazione pubblica su larga scala, ma l’imposizione della legge sulla sicurezza nazionale nel 2020 è coincisa con il divieto totale di qualsiasi manifestazione. In un comunicato di sabato scorso la polizia della città ha confermato di aver trattenuto (ma poi rilasciato) almeno 23 persone, di cui almeno quattro per aver “compiuto atti con intento sedizioso” e altrettante per sospetto di aver “violato la pace”. Per tutto il giorno gli agenti hanno pattugliato il centrale Victoria Park e il quartier dello shopping Causeway Bay, bloccando alcuni attivisti e artisti (come i noti Lau Ka-yee e Kwan Chun-pong) che hanno messo in scena proteste individuali. Per le Nazioni Unite è un segno “allarmante”. Su Twitter l’Alto commissario per i diritti umani ha chiesto il rilascio di chi è stato detenuto per “aver esercitato la libertà di espressione e di riunione pacifica”. Il ministero degli Esteri cinese ha risposto condannando “l’inutile manipolazione politica” di “forze esterne”.

Covid: la Cina ha indagato sulla “fuga del virus dal laboratorio” di Wuhan

In un’intervista al podcast di BCC Radio 4 “Fever: The Hunt for Covid’s Origin”, George Gao, ex capo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha detto che la Cina ha indagato per capire se la pandemia da Covid fosse veramente iniziata a causa di una fuoriuscita del virus dal Wuhan Institute of Virology. Secondo Gao, oggi vicepresidente della National Natural Science Fondation of China, alla fine “non è stato trovato alcun illecito”. Lo scienziato ha poi aggiunto che “non sappiamo davvero da dove provenga il virus (…) la questione è ancora aperta”. Come sottolineato dal Financial Times, i commenti di Gao non sono in contrasto con la propaganda cinese, ma rappresentano la prima ammissione del fatto che Pechino avrebbe preso sul serio la teoria della “fuga dal laboratorio”. Un’ipotesi che è stata a lungo fonte di scontro tra Cina e Stati Uniti.

Cina: l’aggressione di un giornalista scatena dibattito sui social

Tre poliziotti cinesi sono stati accusati di aver picchiato un giornalista che stava svolgendo un’indagine sulla misteriosa morte di due insegnanti a Bijie, nella provincia del Guizhou, lo scorso 23 maggio. Il governo di Bijie ha dichiarato che gli agenti sono stati sospesi e arrestati. Non si tratta del primo caso di aggressione a giornalisti in Cina, ma questa volta l’accaduto ha generato un acceso dibattito pubblico riguardo l’ostilità e le pesanti restrizioni nei confronti dei reporter nella Repubblica popolare. Come riportato dal South China Morning Post, le notizie dell’attacco a Li (questo il cognome del giornalista di Jimu News) hanno raggiunto le cinque milioni di visualizzazioni sui social, raccogliendo molti commenti indignati. L’aggressiome contro il cronista è stata condannata anche da diversi media statali. Il giornalismo in Cina è “in una fase di soffocamento”, ha dichiarato Zhan Jiang, professore in pensione della Beijing Foreign Studies University. Nel 2016, durante una visita alle redazioni dei media di Stato, Xi Jinping ha detto che tutti i reportage e i commenti dovrebbero seguire la “giusta direzione”. Secondo Zhan, le intimidazioni e gli attacchi ai giornalisti riflettono anche le pressioni subite dai governi locali, ai quali Pechino richiede di mantenere la stabilità sociale prima di ogni altra cosa.

Il DPP di Taiwan si scusa per il caso #MeToo

Nei giorni scorsi i funzionari del Partito Progressista Democratico (DPP) della presidente taiwanese Tsai Ing-wen si sono scusati pubblicamente a seguito di un caso legato al movimento #MeToo. Lo scandalo è venuto a galla quando una ex impiegata del partito si è lamentata su Facebook per come i funzionari hanno gestito la sua denuncia di molestie sessuali nei confronti di un appaltatore. Il post ha portato alle dimissioni di Hsu Chia-tien dalla carica di vice segretaria generale del DPP, che nel suo ruolo di capo del Dipartimento per lo sviluppo delle donne del partito avrebbe respinto le richieste di una indagine completa su quanto accaduto. La presidente Tsai ha condannato le molestie sessuali e ha sottolineato l’importanza di dare “la priorità ai diritti delle vittime”. Lai Ching-te, candidato del partito alle elezioni presidenziali del prossimo gennaio, ha detto ai giornalisti che avrebbe avviato un’indagine sul caso e si è anche scusato con la denunciante in un post su Facebook. Ma nelle ore successive, come si legge in un thread del politologo dello ANU Taiwan Studies Program Sung Wen-Ti, alcuni esponenti del DPP avrebbero tentato di minimizzare le accuse. Pare che qualcuno abbia insinuato che si è trattato di un’operazione di screditamento da parte del partito di opposizione Guomindang (GMD). Ma come riportato da Sung nelle ore successive il movimento del #MeToo taiwanese ha veicolato nuove accuse contro una figura di spicco del GMD.

Il (criticato) piano di pace indonesiano per l’Ucraina

Il ministro della Difesa indonesiano, Prabowo Subianto, ha presentato un piano di pace per l’Ucraina durante un discorso tenuto sabato allo Shangri-La Dialogue di Singapore. La proposta in più punti di Prabowo (uno dei candidati alle elezioni presidenziali indonesiane del 2024) prevede, a seguito di un cessate il fuoco, la creazione di una zona smilitarizzata di 30 km grazie a un arretramento di Ucraina e Russia di 15 km dalle rispettive posizioni più avanzate sul fronte. A quel punto il mantenimento dello status quo spetterebbe alle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, che poi avrebbero il compito di organizzare un referendum per “accertare la volontà della maggioranza della popolazione nei territori contesi”. Come sottolineato da Reuters, il governo di Kiev ha rigettato l’idea. Il ministro della Difesa ucraino Oleksii Reznikov ha dichiarato che “sembra un piano russo”, mentre l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell, ha risposto dicendo che servirebbe raggiungere “una pace giusta, non una pace di resa”. L’Indonesia ha condannato l’invasione della Russia in Ucraina, ma Prabowo, ricordando anche alcuni dei conflitti in Asia del passato, ha detto che le reazioni globali alla guerra in Ucraina sono state “troppo emotive”.

Cui Tiankai, consigliere della delegazione cinese allo Shangri-La Dialogue, ha detto invece di aver “apprezzato” il piano indonesiano, aggiungendo che il conflitto dimostra il fallimento nella gestione della propria sicurezza da parte dell’Europa. E che quindi “non c’è bisogno di una NATO asiatica”. Come riportato da Politico, la ministra della Difesa olandese, Kajsa Ollongren, ha definito “molto false” le parole di Cui. “Non si possono incolpare i paesi europei per l’invasione illegale dell’Ucraina da parte della Russia”, ha concluso Ollongren.

La Russia si riprende le componenti d’arma da India e Myanmar

La Russia sta riacquistando componenti per sistemi d’arma precedentemente inviate a India e Myanmar. È quanto sostiene il quotidiano Nikkei Asia Review, che ha analizzato i registri doganali dei tre paesi. Dall’indagine emerge il riacquisto da parte della Russia di componenti per carri armati e missili precedentemente vendute ed esportate ai due partner asiatici. Il quotidiano nipponico ipotizza che Mosca si serva delle componenti per l’ammodernamento di vecchi veicoli corazzati da utilizzare nel conflitto in Ucraina.

India: un errore nel sistema di segnalazione elettronica dietro la strage ferroviaria

Nella giornata di ieri le autorità di Nuova Delhi hanno rilasciato l’esito delle prime indagini sull’incidente ferroviario che quattro giorni fa ha causato la morte di quasi 300 persone e il ferimento di altre mille. La strage pare sia stata provocata da un errore nel sistema di segnalazione elettronica, dotato di un sistema di sicurezza che non si sarebbe attivato. Secondo Jaya Verma Sinha, alto funzionario delle Ferrovie indiane, dalle ricerche è emerso che il treno ad alta velocità Shalimar-Chennai Coromandel Express – diretto alla stazione di Balasore, nell’est del paese – aveva ricevuto in un primo momento l’autorizzazione a percorrere la linea principale, quando improvvisamente il segnale è cambiato e ha imboccato una linea ad anello adiacente dove ha urtato un treno merci fermo. La collisione ha ribaltato le carrozze del Coromandel Express che sono finite su un altro binario, facendo deragliare un altro treno espresso che arrivava in senso opposto.  Solo un’indagine dettagliata rivelerà se l’errore – come sembra – è stato umano o tecnico. Si tratta di uno dei peggiori incidenti ferroviari della storia indiana.

A cura di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno; ha collaborato Alessandra Colarizi