L’educazione ideologica e la disciplina del Partito non hanno abbastanza presa nei campus universitari. È quanto emerge dall’ultimo incontro tra dirigenti delle maggiori università cinesi e funzionari del ministero della Pubblica Istruzione, che hanno presentato le loro impressioni in seguito a una serie di ispezioni nei principali istituti d’istruzione superiore della Cina. A partire dallo scorso maggio, infatti, 15 squadre di ispettori hanno lavorato per verificare lo stato dei gruppi di Partito e i loro iscritti in 31 delle migliori università cinesi. I funzionari hanno denunciato una serie di “problemi su larga scala e radicati nella comunità universitaria”, di cui moltissimi relativi all’aderenza ai valori promossi dal Partito comunista cinese. “Alcune scuole hanno rallentato il loro lavoro ideologico nella nuova era, [causando] rischi collaterali di vario grado”, ha detto uno dei funzionari durante l’incontro. L’applicazione rigorosa del controllo del Partito è in ritardo…e persistono problemi come la corruzione nella ricerca scientifica e negli investimenti per le infrastrutture”.
Il Comitato centrale del partito aveva già richiesto l’ispezione del lavoro dei membri del Pcc all’interno delle università nel 2017, mentre oggi ritorna il giro di vite sulle personalità corrotte anche per mantenere la stabilità politica in concomitanza con il Pleum di novembre (che si concentra proprio sul tema dell’ideologia di Partito). La stretta sulla disciplina dei membri del Pcc nelle università è emblematica della preoccupazione interna alla leadership cinese intorno al mondo accademico, un’altra tappa nella campagna anti corruzione del presidente. Dal 2016 Xi Jinping ha promesso di trasformare le università del Paese in “roccaforti della leadership del Partito” che “sostengono fermamente la corretta direzione politica” e assicurano che la dottrina del partito domini le menti dei loro accademici e studenti. [Fonte. Scmp]
Un centro dati per lo sviluppo sostenibile
La Cina ha appena inaugurato un nuovo istituto di ricerca dedicato alla raccolta e alla condivisione di dati completamente orientato verso gli obbiettivi di sostenibilità per il 2030 promossi dalle Nazioni unite (anche noti come Sustainable development goals). Il progetto era già stato annunciato dal presidente Xi Jinping in occasione dell’Assemblea generale Onu dello scorso settembre 2020, ma solo lunedì 6 settembre Pechino ha lanciato l’inizio delle attività. Operativo sotto l’Accademia cinese delle scienze (Cas), il centro rappresenta un nuovo strumento utile alla cooperazione internazionale sui temi della sostenibilità ambientale e sociale, in un quadro dove la Cina cerca sempre di più di promuoversi come nazione virtuosa in fatto di politiche e target climatici.
Il lancio del nuovo istituto segnala un’altra tappa sulla strada della regolamentazione dei big data, che Pechino ha classificato come fattore di produzione insieme a terra, lavoro, capitale e tecnologia. Le nuove leggi sulla sicurezza dei dati hanno, infatti, dato un’ulteriore spinta al sovranismo digitale della Cina, restringendo il campo di operatività degli operatori privati. Con il nuovo centro, al contrario, la Cina desidera aprire nuovi spazi alla condivisione di cui il Governo si fa diretto responsabile della cooperazione internazionale sullo sviluppo sostenibile. [Fonte: SCMP]
Repressione? Pechino conferma il sostegno al settore privato
Il vice premier Liu He ha promesso che il Governo continuerà a sostenere le imprese del settore privato. Un discorso che arriva giusto in tempo, mentre in tutto il mondo si moltiplicano le notizie sul giro di vite intorno alle grandi aziende cinesi (big tech in primis). Nel suo discorso, avvenuto in occasione del forum sull’economia digitale del 6 settembre, Liu He afferma che “le linee guida e le politiche per sostenere l’economia privata non sono cambiate, e non cambieranno in futuro”. Parole che cercano di rassicurare gli investitori, dopo che l’ondata di controlli e restrizioni in ottica anti trust ha creato non pochi squilibri e incertezze sui mercati. Ma, come fa notare il vice premier, l’economia privata contribuisce per oltre il 50% delle entrate fiscali, oltre il 60% del Pil e l’80% dell’occupazione urbana in Cina: un importante contributo all’economia nazionale che va trattato con delicatezza.
Insieme ai veti sulle quotazioni in borsa e la stretta intorno alle operazioni di grandi compagnie come Alibaba e Didi, in effetti, Pechino non cessa di promuovere nuove politiche per l’inclusione economica degli attori privati, in particolare delle piccole-medie imprese. L’ultima notizia riguarda Heqin, città del Guangdong dove verrà istituita una nuova zona di “cooperazione economica” con l’obbiettivo di diversificare le entrate della regione amministrativa speciale di Macao, dove tutt’ora gran parte dell’economia gira intorno al mondo del gioco d’azzardo. Il progetto prevede sgravi fiscali per le aziende dei settori più promettenti e all’avanguardia (senza escludere turismo, cultura e medicina tradizionale cinese), minori restrizioni in termini di capitale umano internazionale. Il tutto, e questo rimane chiaro, con l’appoggio e la direzione della autorità locali. [Fonte: Reuters, Caixin]
Il successo dell’app statale contro le frodi
In Cina una app contro le frodi sviluppata dal dipartimento di indagine penale del Ministero della Pubblica Sicurezza è ufficialmente stata consacrata come uno dei programmi più scaricati degli ultimi mesi. Lanciata lo scorso marzo, l’app “Centro nazionale antifrode” è entrata nella top 10 delle app iOS a partire da agosto. Il suo compito è quello di raccogliere le segnalazioni dei cittadini, ma anche di individuare messaggi e chiamate “sospetti”. Per promuovere la app sono state mobilitate molte risorse, partendo da una campagna promozionale sponsorizzata dalla Polizia per la sicurezza del cyberspazio, per arrivare ai codici Qr proiettati sugli schermi che consentono di scaricare il software sul proprio telefono.
Quello che emerge è una forte spinta per convincere i cittadini cinesi a installare la app sui propri smartphone, mentre in alcuni contesti è stato richiesto tassativamente il download, per esempio come criterio di accesso da mostrare agli agenti di sicurezza prima di entrare allo Shenzhen Convention and Exhibition Center. Il resto è effetto spillover legato alle piattaforme di social media: live streaming, brevi video promozionali e l’endorsement di alcuni influencer hanno fatto il resto del lavoro. Secondo quanto dichiarato da Liu Zhongyi, capo del dipartimento investigativo penale del ministero, da gennaio a maggio 2021 le autorità di sicurezza hanno catturato 154 mila sospetti coinvolti in casi di frode informatica. [Fonte: SCMP]
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.