L’accordo provvisorio sugli investimenti Cina-Ue (CAI) è in bilico. Certo, si sapeva già. Concluso lo scorso dicembre grazie al supporto della Commissione europea, di Francia e Germania, il trattato ha incontrato fin da subito le resistenze del Parlamento di Strasburgo, incaricato di ratificare il testo che andrà approvato anche dal Consiglio europeo, ovvero dai 27 paesi membri. Per i detrattori, gli impegni presi da Pechino in materia di lavoro forzato sono parole vuote se confrontate con quanto sta avvenendo – o si sospetta stia avvenendo – nello Xinjiang. Lo scorso marzo, il trattamento delle minoranze islamiche nella regione autonoma ha ispirato una raffica di sanzioni incrociate tra Cina e Ue che ha spinto molti eurodeputati (vittima delle ritorsioni cinesi) a puntare i piedi. Di ieri la notizia che la Commissione europea ha sospeso le trattative in sede parlamentare. Secondo quanto chiarito dalla portavoce del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis – in risposta una fuorviante breaking news di AFP – la parte tecnica dell’accordo (revisione legale e traduzione) è ancora in corso, ma il clima teso non permette di portare avanti il processo di ratifica. Per essere più chiari: “il processo di ratifica del CAI non può essere separato dalle dinamiche in evoluzione del più ampio rapporto UE-Cina. In questo contesto, le sanzioni di ritorsione cinesi … sono inaccettabili e deplorevoli. Le prospettive di ratifica dipenderanno da come evolverà la situazione”. Come sottolineato dagli esperti, la sessione parlamentare di maggio potrebbe terminare con una condanna a morte per l’accordo. O quantomeno con un prolungamento del procedimento di formalizzazione, che Berlino e Parigi speravano di concludere entro il 2022. Per il momento La porta sembra restare socchiusa. Secondo il corrispondente per la Cina di Politico a Bruxelles, “alcuni ambienti del Parlamento stanno già dando segni di disponibilità a ratificare l’accordo a pochi mesi [dalla firma], sperando che i loro colleghi ne scorgano il valore nonostante le scomode contropartite”. D’altronde è indicativo che il CAI sia stato espressamente menzionato nella recente strategia indo-pacifica, approvata da tutti e 27 i paesi membri. [fonte SCMP]
La Cina al centro del G7
Myanmar, Siria, Russia ma soprattutto tanta Cina. Il G7 allargato, ospitato da Londra, ha visto il gigante asiatico dominare l’agenda dei paesi del blocco, stavolta affiancati dai colleghi di Australia, India, Corea del Sud e dell’Asean. Ovvero delle principali democrazie asiatiche. Secondo diversi resoconti, il dossier cinese ha monopolizzato buona parte dei colloqui: circa due ore, rispetto ai 30 minuti di Myanmar e Siria, e ai 90 minuti dedicati alla Russia. L’incontro – che pone le basi per il vertice dei rispettivi leader previsto per giugno – giunge nel pieno di una nuova escalation tra Pechino, Washington e Bruxelles. Dopo le sanzioni incrociate sul Xinjiang, in Cina non è passato inosservato il crescente allineamento dell’Ue alla posizione dura degli Stati uniti. Posizione che l’amministrazione Biden afferma sia indirizzata semplicemente a “sostenere l’ordine internazionale basato su regole”, non a contenere l’ascesa cinese. In quest’ottica in sede G7 si sta valutando la proposta americana per la creazione di un meccanismo con cui difendere i paesi amici dalle ritorsioni economiche di Pechino, oltre al lancio di un gruppo dal nome evocativo – “gli amici di Hong Kong” – all’interno del quale discutere sul futuro incerto dell’ex colonia britannica. Ma la Cina, che non ama gli accerchiamenti, difficilmente incasserà il colpo senza batter ciglio. Allo stesso tempo, la progressiva diffusione del virus in Asia – dopo un anno tutto sommato tranquillo – sta mettendo a repentaglio la produzione in molti di quei paesi (come l’India) su cui l’Occidente contava di fare affidamento per allentare la dipendenza dal “made in China”. [fonte Bloomberg, Reuters]
Rappresentante cinese tra i quattro vicepresidenti dell’Omc
Tra i nuovi quattro vicepresidenti dell’Organizzazione mondiale del commercio c’è anche Zhang Xiangchen, già rappresentante permanente della Cina presso l’agenzia internazionale dal 2017. Zhang, che in patria ricopre l’incarico di vice ministro del Commercio , ha avuto la meglio sul candidato indiano Mohan Kumar andando a riempire la posizione che tradizionalmente spetta all’Asia: le altre tre sono distribuite tra Stati uniti, Unione europea e un paese emergente. Quella di Zhang è l’ultima di una serie di nomine che negli ultimi anni hanno visto i funzionari cinesi ascendere ai vertici delle principali organizzazioni internazionali. L’intento è facilmente intuibile: un numero crescente di insider consentirà di perorare più facilmente la causa di Pechino nelle principali piazze globali. [fonte Reuters]
I vaccini cinesi al vaglio dell’EMA e dell’Oms
L’Ema, l’agenzia dell’Unione europea per la valutazione dei medicinali, ha avviato l’iter di valutazione del vaccino anti-Covid-19 Vero Cell, sviluppato dalla cinese Sinovac. Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea ha ufficialmente iniziato il processo di revisione ciclica (rolling review) per il vaccino inattivato, che contiene cioè il coronavirus non in grado di causare malattia. I risultati preliminari di studi di laboratorio (preclinici) e di studi clinici “suggeriscono che il vaccino innesca la produzione di anticorpi mirati contro Sars-CoV-2 e può aiutare a proteggere dalla malattia”, ha spiegato l’ente regolatore. Intanto, nell’attesa di decidere se approvare o meno un utilizzo internazionale dei sieri cines Sinovac e Sinopharm, l’Oms ha rilasciato l’esito di valutazioni preliminari discusse durante un incontro alla fine di aprile. Mentre gli esperti hanno riscontrato un “alto livello di fiducia” sull’efficacia del vaccino Sinopharm a due dosi negli adulti di età compresa tra 18 e 59 anni – con un’efficacia stimata complessivamente al 78% -, la mancanza di dati sufficienti non permette di considerare adeguatamente i rischi per la popolazione over 60. Lo stesso problema pare sia emerso con il Coronavac, nonostante siano disponibili maggiori informazioni. [fonte SCMP, Reuters]
4 maggio: i giovani optano per il “turismo rosso”
Come ogni 4 maggio, anche quest’anno, la Cina ha ricordato il movimento di nuova cultura, la mobilitazione intellettuale che nel 1919 vide i giovani cinesi lottare per una radicale riforma culturale e difendere in prima linea gli interessi nazionali minacciati dalle potenze imperialiste. Le proteste spianarono la strada alla nascita del partito comunista cinese. Quest’anno, in previsione del centenario del Pcc (1 luglio), la ricorrenza è stata celebrata con una serie di iniziative patriottiche. Complice il mega ponte per il May Day. Domato il virus ma non abbastanza per viaggiare all’estero, molte persone si sono recate in visita presso i cosiddetti siti del “turismo rosso”. Secondo un sondaggio Tongcheng Tourism Institute, ad aver optato per i tour nostalgici sono stati soprattutto i più giovani: oltre il 40% dei visitatori risulta avere un’età compresa tra 21 e 30 anni, il gruppo più numeroso in assoluto, mentre la fascia sotto i 40 anni ha rappresentata l’89,1% del totale. Numeri che troverebbero conferma in un recente rapporto di Fliggy, la piattaforma di prenotazione viaggi online del Gruppo Alibaba,stando al quale le prenotazioni di viaggi patriottici da parte dei nati negli anni 2000 hanno visto un aumento del 630% su base annua. [fonte GT]
Myanmar: il governo ombra annuncia Forza di difesa popolare
Il governo di unità nazionale del Myanmar (NUG), che comprende membri del parlamento estromessi dalla giunta golpista insieme ai leader delle proteste e delle minoranze etniche, ha comunicato la nascita di una Forza di difesa popolare. Nella dichiarazione pubblicata su Facebook, il NUG spiega che non permetterà ai militari di usare la violenza contro la popolazione. La nuova Forza di difesa si pone come precursore di un esercito d’Unione federale con l’obiettivo finale di “avviare riforme efficaci nel settore della sicurezza al fine di porre fine a 70 anni di guerra civile”. [fonte NIKKEI]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.