La guerra commerciale è già costata alla Cina oltre 2 milioni di posti di lavoro nel settore industriale. Lo rivela uno studio di China International Capital Corp (CICC), secondo il quale lo scorso anno la seconda economia mondiale ha perso complessivamente 5 milioni di posizioni lavorative, pari al 3,4% dell’occupazione totale. Mentre il calo non sarebbe dovuto esclusivamente agli effetti della guerra commerciale – concorrono adeguamenti strutturali interni e fattori ciclici – il rapporto smentisce la vulgata governativa stando alla quale il mercato del lavoro sarebbe da considerarsi “complessivamente stabile”. Secondo CICC, con un calo dell’occupazione del 4,9%, il settore più colpito è quello delle apparecchiature informatiche e delle telecomunicazione, già strangolato dalle misure restrittive degli Usa. Considerato che lo studio non tiene conto dell’aumento al 25% delle tariffe americane su 200 miliardi di dollari di merci cinesi le cifre reali potrebbero essere anche peggiori. Tenere sotto controllo la disoccupazione rappresenta una priorità per mantenere la stabilità sociale [fonte: Scmp]
Bolla finanziaria al neonato Nasdaq cinese
Una bolla finanziaria colpisce lo STAR, il nuovo mercato cinese in stile Nasdaq. Il debutto del mercato lunedì scorso ha visto le azioni registrare guadagni medi del 140%, superando anche le aspettative degli azionisti abituati alle oscillazioni selvagge dei principali mercati azionari del paese, creando ben tre compagnie il cui valore supera il miliardo di dollari. Tuttavia, se il lunedì, al debutto, i valori di Suzhou HYC Technology, Zhejiang Hangke Technology e ArcSoft erano rispettivamente di $2.2 miliardi, $2 miliardi e $1.1 miliardi, oscillazioni in negativo hanno cominciato a manifestarsi già a partire dal martedì. I crolli sono stati decisamente pesanti per i cinque maggiori azionisti individuali di STAR, compresi i miliardari di recente coniati, che hanno perso un totale di 6,94 miliardi di yuan, secondo i calcoli di Reuters. Esperti da Shanghai confermano la gravità della bolla, sottolineando come saranno proprio i piccoli investitori a subirne le conseguenze. Il mercato STAR è stato concepito sia come motore delle riforme del mercato dei capital sia come modo per promuovere le società tecnologiche nazionali nel contesto della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Tuttavia, sebbene dispiegato strategicamente per la riforma finanziaria nazionale, per lo STAR si prospettano volatilità e irrazionalità tipiche dei mercati occidentali, per cui la cautela è consigliata anche per gli investitori istituzionali. Al momento non esiste un indice per il monitoraggio del mercato STAR, ma la Borsa di Shanghai ha dichiarato che ne lancerà uno dopo il debutto della trentesima società [fonte: Reuters, CNN]
Triadi pro-Pechino contro i manifestanti ad Hong Kong
Decine di uomini con magliette bianche e bandiere cinesi hanno aggredito manifestanti e passanti domenica scorsa ad Hong Kong. Il bilancio è di 45 feriti. Tra i sei uomini arrestati per l’attacco, alcuni di loro sono stati riconosciuti come “dragon heads”, ovvero membri di spicco di gang criminali – le “triadi”. Le triadi, nate originariamente nella Cina meridionale, ad oggi operano in diversi continenti e vengono considerate alla stregua di scagnozzi del PCC. In passato, hanno offerto protezione a Deng Xiaoping nel suo viaggio attraverso gli Stati Uniti e furono pubblicamente applauditi come “patriottici” dal ministro della pubblica sicurezza cinese nel 1992. Nonostante gli esperti affermino l’inesistenza di prove di una relazione diretta tra le triadi e Pechino, ufficiali di Hong Kong hanno osservato che l’attacco è avvenuto solo poche ore dopo l’ultimatum lanciato da Pechino in seguito all’assalto dell’ufficio della rappresentanza governativa cinese nella regione amministrativa speciale. Il coinvolgimento di apparenti “dragon heads” rappresenta un’escalation molto preoccupante di una situazione già estremamente polarizzata. Carrie Lam denuncia la violenza da ambo i lati, alcuni legislatori pro-Pechino si congratulano con le “magliette bianche” per “aver difeso le loro case”. Attacchi da parte di gang pro-Pechino sono stati ricorrenti nell’ultima decade e si sono registrati non solo in Cina, ma anche altri luoghi della diaspora cinese, tra cui Taiwan, Australia e Stati Uniti [fonte: WaPO]
L’iconica giacca di pelle di “Top Gun” subisce un re-styling per il mercato cinese
Giovedì scorso la casa cinematografica americana Paramount Pictures ha presentato il nuovo trailer di Top Gun: Maverick, sequel del classico Top Gun degli anni ’80. Già dal giorno successivo, una vera e propria polemica politica è scoppiata sulla rete tra i fan della pellicola a causa dell’iconica giacca di pelle indossata da Cruise nel film originale. Infatti, nel nuovo film, Maverick indossa lo storico giubbotto di pelle, ma dove originalmente vi erano due toppe raffiguranti la bandiera giapponese e quella taiwanese ora troviamo due toppe colorate. Diversi utenti di Twitter hanno ipotizzato che il cambiamento potrebbe essere stato effettuato per compiacere il gigante cinese Tencent Pictures, uno degli investitori e co-marketer di Paramount nella realizzazione del film. Certo, la Cina sta rapidamente diventando uno dei più grandi mercati cinematografici del mondo nonché un enorme mercato per i film di produzione americana, ma ulteriori ragioni politiche potrebbero celarsi dietro la scelta. Anzitutto, le relazioni tra Cina e Giappone sono state a lungo gravose, con tensioni che si sono intensificate negli ultimi anni sulle isole contese nel Mar Cinese Orientale. Ancora, Cina e Taiwan intrattengono relazioni complesse, con gli Stati Uniti che dal 1979 ad oggi hanno continuato ad offrire a Taipei il loro appoggio, non riconoscendo le pretese di Pechino sull’isola e fornendo armamenti e supporto militare. Il caso di Top Gun: Maverick è l’ultimo dei tanti esempi che ci mostrano come le compagnie americane scelgano spesso l’autocensura pur di non precludersi le molteplici opportunità offerte dal mercato cinese [fonte: CNBC]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.