I titoli di oggi:
- La leadership cinese si riunisce prima del Congresso
- Nuovi controlli Usa sull’export di tecnologia
- Gli Usa rivedono la propria strategia artica
- Pechino rafforza il Great Firewall prima del Congresso
- Turismo al ribasso ma Pechino apre agli investimenti esteri
- Elon Musk propone una zona amministrativa speciale cinese a Taiwan
- Sparatoria di massa in un asilo nido in Thailandia
Si è aperta ieri la settima sessione plenaria del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese. I più alti funzionari, circa 370 tra membri effettivi e supplenti, si sono riuniti a Pechino per preparare i lavori del 20° Congresso, che prenderà avvio domenica prossima. Durante l’incontro a porte chiuse, il Presidente Xi Jinping, anche Segretario Generale del Comitato, ha presentato un rapporto di lavoro a nome del Politburo. Wang Huning, membro del Comitato permanente del Politburo e principale ideologo del PCC, ha presentato una bozza di emendamento allo statuto del Partito, che probabilmente rafforzerà la posizione di Xi come leader supremo. Nella stessa giornata, Yang Xuedong, professore di scienze politiche all’Università Tsinghua, ha commentato al Global Times che i lavori preparatori “si stanno svolgendo in modo ordinato” e che sono stati deliberati “documenti di grande importanza”.
Nuovi controlli Usa sull’export di tecnologia
Cos’è un supercomputer? Secondo Washington, un sistema capace di elaborare 100 petaflop (100 miliardi di operazioni al secondo) in 41600 piedi cubi (1178 metri cubi circa). La definizione è mutevole, e gli analisti dicono che quella appena stabilita dagli Usa potrebbe essere facilmente aggirata tramite soluzioni creative: utilizzando, ad esempio, cavi in fibra ottica per “distribuire” la potenza di calcolo in uno spazio più ampio. L’interesse rispetto a tale questione si lega ai controlli introdotti venerdì scorso dall’amministrazione Biden, che impediranno alle aziende di ogni nazionalità di fornire a entità cinesi hardware o software con componentistica americana. In un briefing con i media, gli alti funzionari del governo Usa hanno dichiarato che le misure colpiranno solo i sistemi cinesi più avanzati. Come appunto i supercomputer, capaci di sviluppare armi nucleari e altre tecnologie militare e che quindi rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Ma ci si domanda se i centri dati di alcuni dei grandi colossi del tech cinese come Tencent e Alibaba possano raggiungere presto lo status di supercomputer. Si teme che invece che colpire solo le aziende “critiche”, i limiti alle esportazioni infliggeranno un duro colpo alle attività commerciali legate a settori strategici, come i semiconduttori, con serie conseguenze per la filiera internazionale.
Gli Usa rivedono la propria strategia artica
Rafforzare la presenza militare statunitense e aumentare le esercitazioni con i paesi partner per “scoraggiare l’aggressione nell’Artico soprattutto da parte della Russia”: sono alcuni degli obiettivi della nuova strategia decennale per l’Artico resa nota da Washington venerdì scorso. Le risorse energetiche e minerarie dell’area fanno gola a tutti, e il progressivo scioglimento dei ghiacciai ne sta facilitando l’estrazione. Alle ambizioni di Cina e Russia nell’Artico abbiamo dedicato un approfondimento all’intero dell’ebook dello scorso febbraio: nel 2018 Pechino aveva rilasciato un documento in cui si definiva uno stato “semi-artico” e in cui introduceva la cosiddetta “Via della Seta polare”, un rotta economica che coinvolgerebbe i paesi artici integrando l’attuale Belt and Road Initiative. Mosca, forte dei suoi 24 mila chilometri di costa artica, nell’ultimo decennio ha riaperto centinaia di basi militari di epoca sovietica nella regione e a oggi ha sei navi rompighiaccio operative. Cina e Stati Uniti ne hanno due. A tal proposito il Senato statunitense ha approvato il mese scorso il Coast Guard Authorization Act, che stanzierà oltre 840 milioni di dollari per il potenziamento della flotta rompighiaccio.
Pechino rafforza il Great Firewall prima del Congresso
In questi giorni molti utenti del web cinese lamenterebbero serie difficoltà nell’utilizzare applicazioni molto diffuse come WeChat, Douyin o Weibo. A riportarlo è Radio Free Asia, agenzia di stampa finanziata dal governo americano, che ha condiviso testimonianze sull’impossibilità di mandare messaggi nei gruppi WeChat e di utilizzare le VPN (il Virtual Private Network, servizio che nascondendo l’indirizzo IP di un utente consente l’accesso a siti web altrimenti censurati). Il 4 ottobre scorso l’account Twitter @observerincn ha affermato di non riuscire ad avere una conversazione normale “in nessuna delle chat di gruppo” e ha sostenuto che molti gruppi social in cui è stata riscontrata la presenza di messaggi “sensibili” sono stati censurati. Di fatto a settembre la Cyberspace Administration of China ha lanciato una campagna contro le “notizie false” per ripulire il web dai contenuti problematici in vista del XX Congresso, che inizierà i lavori il prossimo il 16 ottobre. Secondo fonti di RFA, tuttavia, gli organi di Pechino starebbero operando un vero e proprio “aggiornamento tecnologico” delle modalità di censura: invece che limitarsi a bloccare la connessione tra un cliente e un server web, si starebbero servendo sempre più spesso della “ispezione approfondita dei pacchetti” (DPI), una tecnica più avanzata e pervasiva.
Turismo al ribasso ma Pechino apre agli investimenti esteri
Numeri a ribasso per la “golden week”, la settimana di vacanza che segue la Festa Nazionale della Repubblica popolare cinese, che in periodi pre-pandemici era uno dei più floridi per il settore turistico interno. I viaggi sono stati 422 milioni, con un calo di oltre il 60% rispetto al 2019 e del 18,2% rispetto alla stagione dello scorso anno. Le entrate di questa settimana nel settore turistico ammontano a 287,2 miliardi di yuan, il 44,2% dei livelli pre-pandemia. Il settore ha subito un duro colpo in questi ultimi due anni, con il divieto imposto nel 2020 di compieri viaggi internazionali per motivi “non essenziali” e a causa delle continue chiusure a intermittenza per la politica Zero Covid. Ma ora Pechino sembra lanciare segnali di apertura. Sabato il Consiglio di Stato ha annunciato che il settore dei viaggi potrà aprirsi agli investimenti stranieri, autorizzando le agenzie di viaggio qualificate a organizzare tour all’estero (a esclusione di Taiwan). L’allentamento, che riguarda altri settori dei servizi come l’assistenza agli anziani, rientra in un progetto pilota attivo fino al 2024 nelle città di Chongqing, Shanghai e Tianjin, e nella provincia di Hainan. L’annuncio giunge in un contesto di crescente preoccupazione per gli investitori stranieri, allarmati dalle consequenze della strategia nazionale di contenimento del Covid, dell’inasprirsi del contesto geopolitico e di altre questioni più tecniche, come la sicurezza dei dati.
Elon Musk propone una zona amministrativa speciale cinese a Taiwan
In un’intervista al Financial Times pubblicata venerdì, Elon Musk ha reso nota la sua proposta per risolvere le tensioni tra Cina e Taiwan. Avvertendo che il conflitto sull’isola, a detta sua inevitabile, impatterà non solo su Tesla ma anche su Apple e sull’economia in generale, ha suggerito di creare a Taiwan una zona amministrativa speciale. Secondo Musk, Taiwan avrebbe buone possibilità di ottenere un accordo “più clemente di quello di Hong Kong”, anche se la soluzione “probabilmente non renderà tutti felici”.
Il Ministero degli Esteri taiwanese ha rifiutato di rispondere alle affermazioni di Musk. Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha invece ribadito che Taiwan è un “affare interno”, e che Pechino, aderendo al principio della riunificazione pacifica, “distruggerà risolutamente” il separatismo taiwanese. Già ad inizio della scorsa settimana, il miliardario si era espresso sul conflitto russo-ucraino, suggerendo la cessione definitiva della Crimea alla Russia da parte dell’Ucraina.
Sparatoria di massa in un asilo nido in Thailandia
Nella giornata di giovedì, Panya Kamrab, trentaquatrenne, si è reso protagonista di un’uccisione di massa in un centro per l’infanzia nella provincia di Nong Bua Lamphu, nel nord-est della Thailandia, causando la morte di 22 bambini. L’arma utilizzata durante l’attacco dall’assalitore, ex agente di polizia, era stata ottenuta legalmente, prima che venisse sospeso a gennaio e poi licenziato per uso di droghe. Il caso ha riacceso i riflettori sulla necessità di rivedere le normative vigenti per il possesso di armi e di agire sul fiorente mercato nero di armi da fuoco illegali. Damrongsak Kittiprapas, capo della polizia nazionale, ha dichiarato venerdì che saranno discussi con il Ministero degli Interni i piani per il rafforzamento dei controlli.
Intanto domenica, due giornalisti della CNN sono stati trattenuti dalla polizia mentre cercavano di raggiungere la scena del crimine con visti turistici.
A cura di Vittoria Mazzieri e Michelle Cabula