I titoli di oggi:
- La Cina studia la sostituzione della tecnologia straniera
- Cina e Usa allentano le restrizioni sui visti giornalistici
- Merkel ammette di essere stata troppo ingenua con la Cina
- Marcia indietro dell’Ue su Taiwan
La Cina sta accelerando i piani per sostituire la tecnologia Usa e straniera. E per farlo, Pechino consente a un’organizzazione sostenuta dal governo di controllare e approvare i fornitori locali in aree sensibili, che vanno dal cloud ai semiconduttori. Si tratta dall’Information Technology Application Innovation Working Committee, costituita nel 2016 come organo di consulenza del governo. L’organizzazione ha il compito di aiutare a stabilire gli standard del settore e formare il personale per utilizzare software affidabile. Lo scopo è quello di elaborare e mettere in pratica il cosiddetto piano “IT Application Innovation”, meglio noto come Xinchuang. L’organo semi-governativo sceglierà quindi da un paniere di fornitori controllati nell’ambito del piano per fornire tecnologia a settori sensibili, che va dalle banche ai data center che archiviano dati governativi: si tratta di un mercato che potrebbe valere 125 miliardi di dollari (170 miliardi di dollari) entro il 2025. L’organizzazione ha finora certificato centinaia di aziende locali quest’anno come membri del comitato e permette di dare a Pechino più margine per sostituire le aziende tecnologiche straniere in settori sensibili, in modo da accelerare la spinta per aiutare i produttori locali a raggiungere l’autosufficienza tecnologica e superare le sanzioni imposte per la prima volta dall’amministrazione Donald Trump. La spinta a sostituire i fornitori stranieri fa parte di uno sforzo più ampio di Pechino per esercitare il controllo sulla sua vasta industria tecnologica, inclusa la sicurezza dei dati. Il governo ha già costretto i fornitori di servizi cloud esteri come Amazon Web Services e Microsoft a creare joint venture per operare in Cina.
Cina e Usa allentano le restrizioni sui visti giornalistici
I giornalisti statunitensi possono tornare in Cina. Dopo mesi di assenza di reporter e corrispondenti delle principali testate Usa dentro la Grande Muraglia, Pechino fa un passo indietro. Gli Stati Uniti e la Cina hanno siglato un accordo per allentare le restrizioni ai giornalisti stranieri che operano nei due Paesi, mitigando uno scontro diplomatico che ha portato all’espulsione di alcuni giornalisti statunitensi dalla Cina durante l’ultimo anno dell’amministrazione Trump. In base all’accordo, reso pubblico appena un giorno dopo il summit virtuale tra il presidente Usa Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping, tre organizzazioni giornalistiche – The Wall Street Journal, The Washington Post e The New York Times – potranno rimandare i giornalisti in Cina: non è ancora chiaro, però, se la misura riguarderà anche i corrispondenti Usa espulsi nei mesi precedenti. Washington, che emetteva visti limitati a 90 giorni per i giornalisti cinesi, concederà ai reporter della Cina visti per ingressi multipli nell’arco di un anno. Sebbene sia garantita una maggiore apertura, i giornalisti dovranno soddisfare i requisiti per ottenere i visti ai sensi delle leggi di entrambi i paesi. L’accordo è il risultato di mesi di negoziati che però – specificano fonti vicino a Pechino e Washington – non è stato affrontato durante il summit bilaterale tra Xi e Biden. Rimangono ancora aperti diversi dubbi: non è chiaro se l’accordo annulli completamente le azioni di espulsione che la Cina ha intrapreso contro le tre principali testate Usa quando ha iniziato a diffondersi la pandemia in Cina. Ma se da una parte si registra un’apertura della Cina, dall’altra c’è una chiusura di Hong Kong. Sulla falsariga di Pechino, il governo dell’ex colonia britannica ha deciso di non rinnovare il visto giornalistico alla corrispondente dell’Economist Sue-Lin Wong. La Chief Executive Carrie Lam ha rigettato le accuse di reprimere il lavoro dei giornalisti stranieri. “Qualsiasi governo ha discrezionalità nel rilascio dei visti”, ha affermato in conferenza stampa Lam rifiutandosi di fornire spiegazioni in merito al mancato rinnovo del visto giornalistico.
Merkel ammette di essere stata troppo ingenua con la Cina
“Inizialmente siamo stati ingenui con la Cina”. È l’ammissione a Reuters della cancelliera tedesca Angela Merkel, prossima alla chiusura della sua storica carriera politica. La Merkel, che ha sempre spinto per stringere legami commerciali con Pechino, ha ammesso che alcune collaborazioni con la Cina sono state affrontate in maniera “troppo obiettiva”. La politica della Merkel ha visto la Cina diventare il principale partner commerciale della Germania durante i suoi 16 anni in carica, nonostante le preoccupazioni dell’Ue per la concorrenza sleale e lo spionaggio industriale. La cancelliera tedesca ha ribadito il proprio sostegno alla cooperazione della Germania e dell’Ue con la Cina, perché “un completo disaccoppiamento ci danneggerebbe”. La Merkel ha affermato che la Germania è in continua discussione con Pechino sulla proprietà intellettuale e sulla protezione dei brevetti, “sia per quanto riguarda gli studenti cinesi in Germania che le imprese tedesche che operano in Cina”. E, pertanto, la collaborazione tra i due Paesi nel settore della ricerca non dovrebbe essere interrotta. La cancelliera ha poi avvertito che la prosperità della Germania dipende dal potenziale di innovazione e dalle prestazioni di innovazione. Con riferimento all’avanzata tecnologica della Cina, Merkel ha riconosciuto il ruolo primario in alcuni settori di Ue e Stati Uniti, perché altrimenti sorgerebbero grossi problemi. Allo stesso tempo, per le nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale è necessario sviluppare continuamente standard etici nelle liberaldemocrazie per cogliere l’impatto dell’innovazione sulla società. E ha sottolineato come l’Europa sia indietro, rispetto a Cina e Usa, in campi come i computer quantistici e l’intelligenza artificiale. Merkel si è quindi espressa a favore di un’efficace protezione delle infrastrutture strategiche. Un esempio è la legge tedesca per la protezione delle telecomunicazioni, che permette di escludere dalla certificazione del governo federale alcuni produttori di telefoni cellulari. Al riguardo, Merkel ha sottolineato di ritenere ancora importante che singole società non siano “escluse dall’inizio”. È, infatti, necessario “un sistema aperto in cui tutti siano valutati secondo lo stesso standard”.
Marcia indietro dell’Ue su Taiwan
Passo indietro dell’Ue sui rapporti con Taiwan. Come riporta in esclusiva il South China Morning Post, Bruxelles ha rinviato sine die un piano riservato finalizzato a migliorare i legami commerciali con Taipei. L’Ue aveva in cantiere di annunciare venerdì scorso un nuovo accordo strategico per il collegamento con Taiwan su questioni commerciali ed economiche, che prevedeva incontri più regolari, anche ad alti livelli, e collaborazione su settori specifici come tecnologia e semiconduttori. Il piano avrebbe segnato un ampliamento delle consultazioni annuali tra Bruxelles e Taipei, la 32a delle quali si è svolta lo scorso dicembre con la presenza dei viceministri. Secondo fonti riservate del SCMP, è probabile che l’accordo venga rivisitato in un secondo momento, forse in collaborazione con il Parlamento europeo, che ha spinto per rafforzare i rapporti con Taiwan. Evidentemente l’Ue sente di muoversi in una cristalleria e vuole bilanciare al meglio i legami con Taipei, senza irritare Pechino. Nella giornata di martedì è infatti arrivato il monito dell’ambasciatore cinese presso l’Ue, Zhang Ming, che ha avvertito che “qualsiasi tentativo di sviluppare relazioni ufficiali con le autorità di Taiwan non è accettabile perché viola le norme fondamentali delle relazioni internazionali” e ha sottolineato come la Taiwan sia un affare interno della Cina. Sull’altra sponda dell’Atlantico, però, regna ancora confusione sull’approccio che l’amministrazione Usa di Joe Biden vuole adottare con Taipei. Poche ore dopo un lungo vertice virtuale con il presidente cinese Xi Jinping, Biden, parlando con i giornalisti nel New Hampshire, ha affermato che Taiwan “prende le proprie decisioni” e che l’isola è “indipendente”. “Non stiamo incoraggiando l’indipendenza” ha detto qualche ora dopo tentando di aggiustare il tiro. La posizione poco chiara di Washington rischia di compromettere la cordialità ritrovata dopo il summit virtuale con Xi.
A cura di Serena Console
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.