Poteva essere un’occasione per riaffermare concretamente il proprio sostegno al multilateralismo davanti al disimpegno americano. Invece il meeting virtuale – promosso ieri dall’Ue per rafforzare la cooperazione internazionale e raccogliere fondi da destinare alle cure antivirus – ha visto la Cina mantenere una posizione defilata. Unico dei 40 paesi partecipanti a non essere rappresentato da un leader bensì dall’ambasciatore a Bruxelles. Dei quasi 8 miliardi di dollari raccolti, Pechino non ha messo nemmeno un centesimo, spiegando di aver contribuito a sufficienza omaggiando le nazioni in difficoltà con forniture mediche – sebbene dichiaratamente attraverso canali commerciali. Finora l’impegno cinese nei confronti dell’Oms è fermo a 50 milioni di dollari; in confronto solo nella giornata di ieri l’Italia ha promesso di contribuire allo sviluppo comune di un vaccino con 140 milioni. Ma c’è chi ha fatto peggio del gigante asiatico. Stati Uniti e Russia non hanno nemmeno preso parte al vertice. [fonte: SCMP]
Con Covid Pechino rischia un’altra Tian’anmen
Covid-19 rischia di far precipitare le relazioni tra Pechino e il resto del mondo ai minimi dal massacro di piazza Tian’anmen. E’ quanto avverte un report sottoposto alla leadership cinese da un think tank del ministero della Sicurezza dello Stato, stando al quale la crisi innescata dall’epidemia potrebbe persino spingere Cina e Stati Uniti a uno scontro armato. Secondo il rapporto, Washington, considerando l’ascesa cinese una minaccia per la sicurezza economica e nazionale nonché una sfida per le democrazie occidentali, starebbe portando avanti una campagna denigratoria con lo scopo di indebolire il partito comunista. Non solo. Il sentimento anticinese scatenato dall’epidemia rischia anche di ostacolare la penetrazione degli investimenti all’estero compromettendo il progetto Belt and Road e spingendo gli Stati uniti a intensificare il sostegno finanziario e militare agli alleati asiatici, destabilizzando gli equilibri regionali. Il documento è stato paragonato dall’intelligence cinese al “Telegramma Novikov” con cui l’ambasciatore sovietico a Washington nel 1949 mise in guardia dalle mire egemonica degli Stati Uniti all’indomani della seconda guerra mondiale. [fonte: Reuters]
Covid-19: l’intelligence mette in dubbio le accuse di Washington
Donald Trump si appresta a firmare un ordine esecutivo che imporrà alle agenzie federali di acquisire materiale medico solo ed esclusivamente “made in Usa”. Lo ha annunciato ieri Peter Navarro spiegando che la decisione è stata presa in risposta alla scarsa trasparenza con cui Pechino ha gestito l’import-export di protezioni sanitarie nei primi mesi del contagio. Secondo un rapporto dell’intelligence statunitense, la Cina avrebbe minimizzato la gravità dell’epidemia per incrementare le proprie scorte a discapito degli altri paesi. Un’accusa che rischia di creare nuove crepe nelle relazioni tra le due superpotenze. Negli ultimi giorni, tanto Trump quanto Pompeo hanno confermato che “prove concrete” permettono di rintracciare la provenienza del virus nel laboratorio di Wuhan, una tesi maneggiata con cautela dai servizi americani. E non solo. Anche l’intelligence australiana ha espresso perplessità nei confronti della versione statunitense, inoltrata ai paesi alleati del gruppo Five Eyes sottoforma di un dossier costruito sulla base di articoli giornalistici e notizie pubbliche non verificabili. Secondo il NYT, difficilmente Washington sarà in grado di provare quanto sostenuto dal momento che rendere note le informazioni riservate raccolte rischierebbe di far luce sulle attività di spionaggio condotte dai servizi segreti americani contro la Cina. [fonte: SCMP, NYT, Sydney Morning Herald]
Vaccino in Cina fa rima con corruzione
La corsa alla realizzazione di un vaccino è ormai una competizione internazionale che vede la Cina in testa alla classifica con quattro aziende farmaceutiche già impegnate nella fase di sperimentazione umana. Più di Stati Uniti e Gran Bretagna messi insieme. Si tratta di un primato agevolato dal supporto governativo che non sembra, però, premiare la qualità. Non ci riferiamo solo allo scandalo sui vaccini scadenti che nel 2018 ha coinvolto la Changchun Changsheng. Secondo il NYT, due delle quattro compagnie impegnate nella guerra contro il coronaviorus hanno conti in sospeso con la giustizia: la Wuhan Institute of Biological Products, costretta a pagare oltre 71mila dollari di risarcimento per alcuni “effetti anomali” causati dai suoi vaccini. L’azienda è stata inoltre coinvolta in tre casi di corruzione per aver tentato di convincere le autorità sanitarie provinciali ad acquistare i propri prodotti in cambio di mazzette. Un’accusa diretta anche contro il general manager di Sinovac Biotech, l’altra società a competere per il primato nella lotta a Covid-19. Proprio episodi come questi hanno compromesso la reputazione dell’industria farmaceutica cinese spingendo gran parte dei cittadini a preferire medicinali d’importazione [fonte: NYT]
Dalla Cina le automobili antivirus
Macchine a prova di virus. E’ l’ultima trovata delle aziende automobilistiche cinesi per resuscitare le vendite, crollate dell’80% nel mese di febbraio, il calo più brusco degli ultimi vent’anni. Con lo slogan “Healthy Car Project”, Geely, uno dei principali produttori di auto cinesi, ha lanciato veicoli con materiali antimicrobici e sistemi di filtraggio che permettono di limitare l’ingresso di particelle nocive, mentre SAIC, proprietaria del marchio automobilistico britannico MG, offre tra le funzioni opzionali una lampada a raggi ultravioletti per sterilizzare l’aria che passa attraverso il sistema di climatizzazione. L’obiettivo è quello di rendere l’abitacolo sicuro come se i passeggeri indossassero una mascherina. Possibile? Secondo gli esperti si tratterebbe sopratutto di una campagna pubblicitaria per rilanciare il settore in tempi di crisi. [fonte: BBC]
Hong Kong: crescita ai minimi dal ’79, colpito l’immobiliare
Per la prima volta dal 2009, nel primo trimestre dell’anno, il mercato immobiliare di Hong Kong non ha riportato nessuna transazione da parte di acquirenti della Cina continentale. Lo rivela CBRE Group Inc., che – stimando un giro d’affari per oltre 10 milioni di dollari – attribuisce l’insolito trend all’epidemia di coronavirus che da gennaio paralizza l’economia della Greater China. Come effetto diretto della fuga cinese i prezzi dell’immobiliare hongkonghese hanno registrato un netto calo, con gli spazi ad uso d’ufficio in declino dell’8,9% rispetto al 2019, mentre gli appartamenti di lusso si sono deprezzati del 4,5%. Nell’ultimo decennio, i capitali in arrivo dalla mainland hanno contato per il 60% degli acquisti internazionali della regione amministrativa speciale. Ma le proteste degli ultimi anni e il crescente malumore nei confronti del’ingerenza cinese nella vita locale hanno allontanato nuovi investimenti. Un processo ora accelerato dal virus. Secondo le proiezioni del governo, nel primo trimestre l’economia di Hong Kong ha riportato una contrazione dell’8,9% su base annua, la peggiore performance dal 1974. [fonte: Bloomberg, Reuters]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.