La nostra rassegna quotidiana
La Cina non vuole “causare il caos” nel mondo, ma non cederà “nemmeno un millimetro dei territori lasciati in eredità dagli antenati. Quel che è degli altri non ci interessa”. E’ quanto Xi Jinping ha dichiarato ieri accogliendo Jim Mattis nella Grande Sala del Popolo, primo segretario alla Difesa statunitense a visitare la Cina in quattro anni. Solo appena pochi giorni fa Mattis ha annunciato l’esclusione della Cina dalle esercitazioni 2018 del Pacific Rim (RIMPAC). Le parole di Xi sembrano richiamare indirettamente le frizioni che dividono i due paesi in riferimento alle questione della sovranità sul Mar cinese meridionale e Taiwan. I colloqui, che hanno coinvolto anche il nuovo ministro della Difesa cinese Wei Fenghe, sono stati definiti “aperti e onesti”. “La Cina e gli Stati Uniti possono svilupparsi insieme solo se abbandoniamo ogni conflitto e confronto a vantaggio di rispetto reciproco e cooperazione vantaggiosa per entrambe le parti”, ha aggiunto Wei. L’arrivo di Mattis oltre la Muraglia si inserisce in un tour asiatico mirato a cementare le relazioni con i player regionali alla luce dei negoziati con la Corea del Nord.
Pechino mette un tetto ai compensi delle star
Le autorità cinesi hanno pronti nuovi limiti sugli stipendi delle celebrità per controbilanciare gli effetti dannosi dell’industria dell’intrattenimento, colpevole di promuovere “l’adorazione del denaro” e “distorcere i valori sociali”. Secondo una direttiva pubblicata congiuntamente da cinque agenzie governative — tra cui autorità fiscali e dipartimento della propaganda — i compensi per le performance devono essere limitati al 40% del totale dei costi di produzione, mentre gli attori nel ruolo di protagonisti dovrebbero ricevere non oltre il 70% delle retribuzioni totali per il cast. Le misure arrivano a stretto giro dalle accuse di evasione fiscale contro alcuni noti attori, sospettati di aver raggirato il fisco con contratti contraffatti. Il mercato cinematografico cinese vale ormai 8,6 miliardi di dollari e si appresta per la prima volta a superare quello americano quanto a incassi annuali.
In Cina cambia il modo in cui si sciopera
E dopo i gruisti (ne avevamo parlato qui) è la volta dei camionisti. Da alcuni mesi la Cina è interessata da un’ondata di scioperi settoriali caratterizzati da alcuni elementi di rottura rispetto alle passate forme di contestazione inscenate dai lavoratori. Si tratta di proteste che per la prima volta coinvolgono più società operanti nello stesso settore, con estensione nazionale e organizzate senza il supporto esterno di Ngo. Tutti elementi che parrebbero indicare la progressiva maturazione di un movimento operai in senso proprio. Il caso dei camionisti introduce un’ulteriore questione: quella dei lavoratori autonomi impiegati massicciamente nella sharing economy che ormai interessa i servizi più disparati, dai trasporti alle pulizie. Lo scorso anno erano 70 milioni le persone a operare nel settore, che spesso non prevede forme minime di tutela come contratti regolari, assicurazione sanitaria e ferie retribuite. Secondo China Labour Bulletin, durante le prime dieci settimane del 2018 sono stati rilevati oltre 400 scioperi, più del doppio rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Una bella patata bollente per la leadership cinese ossessionata dalla stabilità sociale.
Ecco come Pechino sta conquistando l’Asia-Pacifico
Pechino ha esteso la propria influenza nell’Asia-Pacifico grazie a una strategia vincente a base di investimenti infrastrutturali e rapporti diplomatici. Secondo una ricerca di AidData, dal 2000 al 2016 la Cina ha investito 45,8 miliardi di dollari nella regione, contro gli appena 273 milioni di aiuti umanitari. Al contempo, i risultati segnalano una “relazione tra il numero di visite ufficiali ricevute da un paese dell’Asia-Pacifico e il suo grado di allineamento in politica estera con la Cina”. “Più un paese riceve visite ufficiali, più è probabile che voti dalla parte della Cina all’Assemblea generale delle Nazioni Unite”. Non è un caso che in cima alla classifica ci sia l’Australia (390 visite), il paese storicamente alleato degli Stati uniti che nell’ultimo anno ha mostrato il più alto grado di insofferenza nei confronti dell’ingerenza cinese nella propria politica interna. Proprio oggi il Senato è chiamato a una nuova legge che impone la registrazione obbligatoria per chi conduce attività di lobbying per conto di altri governi.
In Corea del Nord proseguono i lavori di espansione del sito di Yongbyon
Nonostante l’impegno a perseguire una “denuclearizzare completa”, la Corea del Nord sta continuando a sviluppare il sito nucleare di Yongbyon. Secondo l’autorevole sito 38 North, “immagini satellitari commerciali del 21 giugno mostrano miglioramenti nelle infrastrutture del Centro di ricerca scientifica nucleare di Yongbyon stanno procedendo a un ritmo rapido”. Il sistema di raffreddamento per il reattore di produzione del plutonio ha subito delle modifiche e almeno due nuovi edifici non industriali sono stati costruiti sul sito, probabilmente per ospitare i funzionari in visita. Con sommo disappunto degli esperti, il vertice di Singapore si è concluso con alcuni riferimenti di massima ad una denuclearizzazione della penisola in cambio di garanzie per la sicurezza del regime nordcoreano. Ma “la continuazione dei lavori a Yongbyon non dovrebbe essere associata alla promessa della Corea del Nord di denuclearizzare”, avverte il sito, “si prevede che i quadri del Nord procederanno come al solito fino a quando non verranno emessi ordini specifici da parte di Pyongyang”.
Il bottino di Najib
Contanti, gioielli, borse, orologi di lusso e occhiali da sole per un totale di oltre 1 miliardo di RM, circa 270 milioni di dollari. A tanto ammonta la refurtiva rinvenuta dalla polizia presso la residenza e gli uffici dell’ex premier malese Najib Razak, indagato nel caso del fondo 1Malaysia Development Berhad (1MDB). Si tratta del sequestro più ingente della storia della Malaysia. Secondo il direttore del Commercial Crime Investigation Department, nel complesso sono stati portati via oltre 12.000 gioielli, tra cui 2.200 anelli, 1.400 collane, 2.100 braccialetti, 2.800 paia di orecchini, 1.600 fermagli e 14 diademi. “L’oggetto più costoso è una collana di diamanti gialli e marroni, che ha un valore di almeno 4 milioni di RM”. Da quando assunto l’incarico il mese scorso, il nuovo leader Mahathir Mohamad ha promesso tolleranza zero verso l’impopolare Najib, su ci pesano le accuse di appropriazione indebita, corruzione, perdita di denaro per il governo.