È partita questa mattina (ore 9:22 cinesi) la navicella spaziale Shenzhou-12 (“vaso divino”) che trasporta i primi tre astronauti cinesi diretti alla stazione spaziale in costruzione. Il loro compito sarà gestire e monitorare la fase 3 del progetto, che è articolato in 11 missioni. La loro permanenza durerà tre mesi, mentre la fine dei lavori è prevista per il 2022. Pechino non ha mai partecipato alle missioni della Stazione spaziale internazionale (Iss), frenata dagli Stati Uniti che temevano il transfer tecnologico. Ora Tiangong (“palazzo celeste”) si appresta a diventare l’unica stazione spaziale operativa, anche se la Nasa sta valutando di estendere la vita della Iss fino al 2028. Altro atteggiamento, invece, quello della Russia, che sta portando avanti con decisione la collaborazione con Pechino in materia di missioni spaziali. Dopo anni di promesse a vuoto, Mosca ha iniziato a progettare degli ambiziosi piani per una corsa allo spazio lontana dagli Stati Uniti, che accusa di sabotaggio per come ne hanno ostacolato lo sviluppo tecnologico. Tra i piani sul tavolo, una missione automatizzata su un asteroide nel 2024 e la prima base di ricerca permanente al polo Sud lunare entro il 2030. [Fonti: Nikkei, NYT]
Hong Kong: Raid e arresti all’Apple Daily
Cinque dirigenti del quotidiano pro-democrazia Apple Daily sono stati arrestati stamattina. Contestualmente, circa 500 agenti hanno effettuato una maxi retata negli uffici del giornale, la seconda nel giro di dieci mesi. Un portavoce della Polizia di Hong Kong ha confermato gli arresti aggiungendo che i cinque – prelevati dalle loro abitazioni all’alba – sono sospettati di collusione con paesi o elementi stranieri, un reato disciplinato dalla legge sulla sicurezza nazionale introdotta lo scorso anno. Nel raid sono stati perquisiti i computer dei giornalisti. In tweet, l’ Apple Daily ha precisato che gli arrestati sono il direttore capo Ryan Law, l’amministratore delegato Cheung Kim-hung, il direttore operativo Chow Tat-kuen, il vicedirettore Chan Puiman, e il caporedattore Cheung Chi-wai. Il segretario alla sicurezza John Lee ha giustificato l’operazione spiegando che la testata fa “uso del lavoro giornalistico come strumento per minacciare la sicurezza nazionale. I normali giornalisti sono diversi da queste persone. Per favore, mantenete le distanze da loro”. Secondo Mark Simon, braccio destro di Lai, le autorità hanno erroneamente etichettato tre redattori come “company directors” per mascherare il reale obiettivo dell’operazione: mettere a tacere i giornalisti. A preoccupare è soprattutto l’imputazione. Stando a quanto dichiarato dal capo della polizia, l’arresto fa seguito alla pubblicazione di 30 articoli – in cui veniva auspicata l’imposizione di sanzioni internazionali contro la Cina e Hong Kong – usciti in cinese e inglese a partire dal 2019. Quindi prima dell’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, che almeno ufficialmente non dovrebbe avere valore retroattivo. Jimmy Lai, proprietario della testata, lo scorso mese è stato condannato a 14 mesi di reclusione per aver co-organizzato una manifestazione il primo ottobre 2019. Accuse più pesanti ai sensi della nuova legge – se confermate – terranno l’attivista dietro le sbarre potenzialmente per diversi anni. In seguito al raid, stamattina la polizia ha proceduto a congelare gli assets di Apple Daily Limited, Apple Daily Printing Limited e Apple Daily Intellect Limited per un valore complessivo di 2,3 milioni di dollari. [fonte Bloomberg, Hong Kong Free Press, GT]
2020 anno horribilis per gli investimenti cinesi in Europa
Crollano gli investimenti cinesi in Europa. È quanto emerge dall’ultimo rapporto congiunto tra la società di consulenza Rhodium Group e del think tank tedesco Mercator Institute for China Studies (MERICS). Nel 2020 gli investimenti diretti esteri cinesi (IDE) in Gran Bretagna e nei 27 paesi Ue sono scesi a 6,5 miliardi di euro da 11,7 miliardi di euro nel 2019, un calo del 45%. A stravolgere gli equilibri sarebbero stati i rinnovati assetti politici atlantisti, ma è la pandemia ad aver giocato un ruolo decisivo in questa fase. A causa del Covid19 i volumi globali di IDE sono crollati del 38% nel 2020 rispetto all’anno precedente: è il livello più basso dal 2005, scrive l’OCSE.
Ora il timore dei governi è che la crisi scateni una corsa alle fusioni e acquisizioni transfrontaliere da parte degli investitori cinesi, ma anche la Cina ha ridotto il suo slancio all’estero. L’investimento globale della Cina è sceso al minimo per la prima volta in 13 anni, con operazioni di fusione e acquisizione dal valore di soli 25 miliardi di euro: un calo del 45% rispetto al 2019. A frenare gli investimenti cinesi in Europa ha contribuito lo stop ai negoziati per l’accordo sugli investimenti Cina-Ue, oltre al generale sentimento pubblico di antagonismo verso Pechino. [Fonte: SCMP]
Corea del Nord: “Situazione alimentare tesa”
La Corea del Nord fa i fronti con una nuova crisi alimentare? Martedì Kim Jong-un ha presieduto una riunione plenaria del Comitato centrale del Partito dei lavoratori per esaminare i progressi su politiche e misure per risolvere i problemi dell’economia nazionale, racconta l’agenzia di stampa ufficiale KCNA. In quest’occasione ha ribadito i progressi economici di Pyongyang, ma non ha negato che la situazione del primo settore sti attraversando un periodo di difficoltà. “La situazione alimentare del paese sta diventando tesa poiché il settore agricolo non è riuscito a soddisfare il suo piano di produzione di grano a causa dei danni del tifone dello scorso anno”, ha detto Kim.
La Corea del Nord non ha mai confermato alcun caso di Covid19 entro i confini nazionali, ma proprio a causa della pandemia anche uno dei paesi più isolati al mondo inizia ad andare in sofferenza. Le prime spie di crisi si erano registrate a gennaio, quando Kim ha ammesso che il suo precedente piano economico quinquennale era fallito in quasi tutti i settori , dall’energia alla carenza di cibo, il tutto esacerbato dalle sanzioni, dalla pandemia e dalle inondazioni.
Giappone (ancora) senza legge contro la discriminazione LGBTQ+
L’ultima sessione del Parlamento giapponese di mercoledì 16 giugno si è conclusa senza nulla di fatto: la promessa non è stata mantenuta, anzi. Forse ha proprio finito di esistere sull’agenda politica dell’attuale governo. Il disegno di legge in questione riguarda la discriminazione contro persone della comunità LGBTQ+. Ad aggravare la situazione ci sarebbero stati inoltre dei commenti discriminatori contro le minoranze sessuali durante il la discussione, scatenando proteste fuori dalla sede del partito a Tokyo.
Nel mirino finisce ancora una volta il partito di maggioranza a cui appartiene lo stesso premier Suga, il Partito Liberal Democratico, che di recente ha assistito a un importante calo dei consensi. Soprattutto se alle elezioni del 2019 per la camera alta aveva paventato la possibilità di appoggiare il disegno di legge. Ora gli attivisti chiedono spiegazioni, soprattutto a fronte dell’immagine che Tokyo cerca di recuperare con le imminenti Olimpiadi. “La Carta Olimpica vieta chiaramente la discriminazione”, ha affermato Gon Matsunaka, capo della Pride House Tokyo, un gruppo che promuove la comprensione sui temi LGBTQ+. “Questa è una violazione del contratto con il Comitato Olimpico Internazionale”. Il Giappone è l’unico paese dei G7 ad essere in ritardo in materia di leggi sulla tutela delle minoranze sessuali, anche se di recente sembra aver fatto passi avanti sul riconoscimento delle unioni omosessuali dopo che a marzo un tribunale ha sancito la legalità di un’unione gay. [Fonte: Bloomberg]
Ha collaborato Alessandra Colarizi
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.