I titoli di oggi:
- La Cina manda i primi aiuti umanitari in Ucraina
- Ucraina: i colossi cinesi del tech in grave difficoltà
- La Cina rilancia la narrativa filo-russa su FB
- Le “mosche” nel mirino della Commissione disciplinare cinese
- Corea del Sud: il conservatore Yoon Suk-yeol è il nuovo presidente
La Cina manda i primi aiuti umanitari in Ucraina
La Cina abbraccia la narrativa russa sulla guerra in Ucraina. Dopo 15 giorni di conflitto voluto dal presidente russo Vladimir Putin, Pechino continua a esporre la convinzione che la crisi ucraina sia il frutto del militarismo statunitense e della Nato. Durante il punto stampa, rispondendo a una domanda sulle recenti ricostruzioni del New York Times secondo le quali la Cina era a conoscenza di un’operazione militare russa, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha accusato l’Alleanza atlantica e gli Stati Uniti di avere spinto le tensioni tra Russia e Ucraina fino “al punto di rottura”, esortando gli Usa a “prendere sul serio le preoccupazioni della Cina ed evitare di minare i diritti o interessi di Pechino nella gestione della questione ucraina e dei legami con la Russia”. Non una novità, a dire il vero: è dall’inizio del conflitto che Pechino porta avanti questa linea in modo più o meno chiaro, tanto da non condannare esplicitamente quella russa come un’invasione.
Il concetto del portavoce della diplomazia cinese è stato poi ribadito in un editoriale della Xinhua: bollando le ricostruzioni del NYT come “menzogne” e “calunnie”, l’agenzia di stampa cinese ha condannato l’azione degli Usa. Come riporta l’editoriale, “Spostare la colpa sulla Cina, ingannare il mondo e trasferire la responsabilità dal colpevole della crisi è un’intenzione malevola”. Velato riferimento agli Usa.
Sul fronte umanitario, riprendendo le affermazioni del presidente cinese Xi Jinping durante il colloquio telefonico con il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la Cina ha spedito i primi aiuti per i civili dell’Ucraina. Il portavoce della diplomazia cinese Zhao ha spiegato ai giornalisti che sono partiti i primi aiuti umanitari, per un valore di 5 milioni di yuan (720.000 euro). La spedizione, gestita dalla Croce rossa cinese, prevede l’invio di cibo e altri beni di prima necessità.
Ucraina: i colossi cinesi del tech in grave difficoltà
La guerra in Ucraina è la prima raccontata attraverso i social network. Ma la diffusione e condivisione di video, meme di guerra e propaganda di stato sta creando qualche problema ad alcuni giganti dei social media. Da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio, il social network TikTok – noto per la pubblicazione di brevi video di tutorial e balletti e commenti – è diventato la piattaforma più popolare dove condividere video e foto della guerra.
Il social network di proprietà della società cinese ByteDance ha per questo avviato una discussione interna per capire come moderare video e contenuti sul conflitto che, molto spesso, si sono dimostrati falsi o propagandistici. Ma con scarsi risultati. Alcuni dei moderatori dei contenuti del social, conosciuto anche come Douyin in Cina, si trovano davanti a un dilemma: evitare di consigliare determinati post che promuovono disinformazione filo-russa, rimuovendoli dall’app, oppure limitare gli account dei content creator. In assenza di direttive chiare e precise sulla moderazione dei contenuti relativi alla guerra, si è verificata una gestione incoerente di post e video. TikTok, lo scorso 6 marzo, ha sospeso la pubblicazione di video e di contenuti in diretta dalla Russia per via della nuova legge sulle fake news imposta da Mosca.
Anche i giganti della tecnologia cinese non se la passano bene. I maggiori produttori cinesi di smartphone stanno riducendo le loro esportazioni in Russia a causa del crollo del rublo e delle sanzioni occidentali. I principali produttori cinesi di smartphone Xiaomi, Oppo e Huawei, che rappresentano circa il 60 per cento del mercato russo, hanno dimezzato le loro esportazioni in Russia da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina. A incidere fortemente è stato il calo di oltre il 35 per cento del rublo rispetto al dollaro. La svalutazione della moneta russa ha complicato le vendite dei prodotti cinesi in Russia, senza subire ingenti perdite. I colossi della tecnologia cinese, per registrare un guadagno, dovrebbero addebitare ai clienti russi un prezzo in rubli molto più alto per compensare il tasso di cambio. Una condizione difficile se si considerano le conseguenze sull’economia russa determinate dalle sanzioni occidentali.
Nonostante i buoni rapporti commerciali sino-russi, le aziende cinesi non riescono a sfruttare il vuoto generato dall’esodo di gruppi occidentali dalla Russia.
La Cina rilancia la narrativa filo-russa su FB
La scorsa settimana Meta, l’azienda di Facebook, ha dichiarato di vietare gli annunci dei media statali russi, bloccando la raccomandazione dei loro contenuti. Ma ciò non ha impedito ai paesi vicini a Mosca, come la Cina, di utilizzare i canali statali per acquistare pubblicità e promuovere una narrativa filo-russa. China Global TV Network, il canale cinese controllato dal governo di Pechino che ha quasi 118 milioni di follower su Facebook e 2,4 milioni su Instagram, nell’ultimo mese ha pubblicato 21 contenuti sponsorizzati su Facebook, che contengono notiziari sulla guerra o briefing con i media da parte di funzionari cinesi. Tuttavia non è possibile sapere quanto la CGTN abbia investito in sponsorizzazioni o quali paesi siano stati presi di mira. Secondo quanto riporta Axios, alcuni contenuti sponsorizzati sono rivolti a utenti di Hong Kong, Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan Tajikistan. Molti contenuti sono per lo più clip di notiziari della CGTN che promuovono la disinformazione filo-russa e anti-NATO e minimizzano le azioni della Russia in Ucraina.
Le “mosche” nel mirino della Commissione disciplinare cinese
La Commissione centrale per l’ispezione disciplinare (CCDI) è passata dall’essere una “macchina che induce paura” a una “macchina per modificare il comportamento dei funzionari”. Secondo uno studio di MacroPolo, un think tank interno al Paulson Institute statunitense, il massimo organo di vigilanza del Partito Comunista, che si occupa della lotta alla corruzione, è diventato uno strumento per punire i funzionari che non adempiono ai loro doveri.
Lo studio riporta che la Commissione, tra il 2019 e il 2021, è intervenuta maggiormente per i casi legati alle inadempienze dei funzionari (il 54 per cento) rispetto alle vicende legate alla corruzione finanziaria (46 per cento). Un tentativo, secondo il think tank statunitense, di “modificare il comportamento dei quadri”. Secondo lo studio, la spinta alla lotta alla corruzione è ancora una parte fondamentale del ruolo dell’organo di vigilanza, ma l’attenzione si è spostata sulle “mosche” (funzionari di rango inferiore), anziché sulle “tigri” (gli alti funzionari).
Tra il 2017 e il 2021, il numero di casi presi di mira a livello di contea è aumentato di quasi il 20 per cento, passando da 523.000 a 624.000 episodi. Nello stesso periodo, solo 84 alti funzionari, di cui solo tre erano membri del Comitato centrale, sono stati incarcerati per corruzione. Un bel cambiamento se si guardano i numeri degli anni in cui è partita la campagna anticorruzione lanciata dal presidente Xi. Tra il 2012 e il 2017, 145 “tigri” sono state incarcerate, di cui 42 erano membri del Comitato Centrale.
Corea del Sud: il conservatore Yoon Suk-yeol è il nuovo presidente
Dopo un’amministrazione democratica, la Corea del Sud passa a una leadership conservatrice. Con uno scarsissimo margine di vantaggio (l’1% circa), l’ex procuratore Yoon Suk-yeol del partito di opposizione People Power Party ha vinto contro il democratico Lee Jae-myung. Yoon ha ottenuto il 48,6 per cento delle preferenze contro il 47,8 per cento espresse per Lee. L’affluenza alle urne è stata del 77,1 per cento, leggermente inferiore rispetto alle ultime elezioni del 2017, quando raggiunse il 77,2 per cento. “Congratulazioni al candidato Yoon Suk-yeol”, ha detto Lee ai suoi sostenitori, ammettendo la sua sconfitta (la seconda, dopo la tornata elettorale del 2017).
A pesare sulla vittoria dell’ex procuratore, forse in modo determinante, è stata la decisione dell’altro candidato dell’opposizione, Ahn Cheol-soo, di ritirarsi dalla corsa presidenziale per formare il ticket con Yoon. La vittoria del conservatore cambierà la posizione della Corea del Sud in Asia orientale: Yoon ha promesso, durante la campagna elettorale, un più netto allineamento agli Stati Uniti e una posizione di forza con la Corea del Nord, chiudendo la parentesi della “Sunshine Policy” dell’attuale capo dell’esecutivo Moon Jae-in.
Qui un ritratto del New York Times che permette di conoscere meglio il nuovo presidente della Corea del Sud (che si insedierà nella Casa Blu a maggio).
A cura di Serena Console
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.