“È necessario parlare agli invasori nella lingua che conoscono: cioè, una guerra deve essere combattuta per scoraggiare l’invasione e la violenza deve essere contrastata dalla violenza. La vittoria è necessaria per ottenere pace e rispetto. La Cina non si arrenderà mai alle minacce, né sarà soggiogata dalla repressione “. In un discorso pregno di citazioni maoiste, questa mattina Xi Jinping ha ricordato il sacrificio dei 200mila volontari cinesi morti durante la “guerra di resistenza contro l’aggressione americana”, meglio nota alle nostre latitudini con il nome di guerra di Corea. Il discorso, tenuto nella Grande Sala del Popolo in piazza Tian’anmen, segue di pochi giorni un intervento dai toni ugualmente perentori ospitato dal museo militare di Pechino per celebrare il 70° anniversario dell’ingresso della Cina nel conflitto. Era il 25 ottobre 1950 e le truppe americane, intervenute in aiuto della Corea del Sud, avanzavano pericolosamente verso il confine sino-coreano. Dopo settant’anni ricordare l’evento serve a veicolare un messaggio più che mai attuale. L’America di Trump è avvertita: “unilateralismo, protezionismo ed egoismo non funzioneranno mai. Ricatti, blocchi e pressioni estreme non porteranno da nessuna parte. Qualsiasi atto di egemonia e bullismo non funzionerà mai”. Come oltre la Muraglia, anche nel Regno Eremita le celebrazioni hanno acquisito valore simbolico. Kim Jong-un ha omaggiato i martiri cinesi – compreso il primogenito di Mao – sepolti nel cimitero di Hoechang. Secondo gli esperti il gesto ha lo scopo di ribadire la vicinanza tra i due popoli e la longevità dell’alleanza con Pechino mentre i colloqui con gli Stati Uniti sono giunti a un punto morto. Un arrivo di Biden alla Casa Bianca potrebbe complicare ulteriormente le cose. Nell’ultimo scontro elettorale prima del voto, l’ex vicepresidente americano ha escluso una sua visita al Nord a meno che Pyongyang non rinunci prima al nucleare. [fonte GT, SCMP, SCMP]
Pechino rivede la legge sulla difesa nazionale
Il parlamento cinese ha cominciato a rivedere la legge sulla difesa nazionale varata nel 1997 e ritenuta ormai obsoleta. Negli ultimi 20 anni, “la situazione strategica è cambiata”, spiega la stampa cinese citando l’instabilità del contesto internazionale a riprova della necessità di nuove misure. La bozza dell’emendamento, passibile di modifiche fino al 19 novembre, prevede per la prima volta la mobilitazione difensiva in risposta alla “minacce agli interessi di sviluppo” e individua come prioritario il rafforzamento della cybersicurezza e la difesa dello spazio elettromagnetico. Secondo la nuova formulazione, le forze armate potranno essere dispiegate “per proteggere i cittadini, le organizzazioni, le unità e le strutture cinesi all’estero, salvaguardando così gli interessi esteri della Cina e partecipando ad attività tra cui missioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, soccorso internazionale, scorta marittima, esercitazioni congiunte e antiterrorismo secondo quanto stipulato dalla Carta delle Nazioni Unite.” Le questioni inerenti alla difesa nazionale verranno discusse congiuntamente dal Consiglio di Stato e dalla Commissione militare centrale. [fonte GT, SCMP]
Riconoscimento facciale: il 65% dei cinesi teme abusi
Anche i cittadini cinesi hanno dubbi sul riconoscimento facciale. Lo rivela un sondaggio realizzato dalla Task Force per la protezione delle informazioni personali sulle app in collaborazione col Nanfang Metropolis Daily. Dalla ricerca emerge che quasi il 65% degli intervistati ritiene che questo tipo di tecnologia possa venire manipolata e utilizzata impropriamente, pur riconoscendone l’utilità in determinati contesti. Le preoccupazioni maggiori riguardano la sicurezza delle informazioni e la privacy.Almeno il 30% degli intervistati ha affermato di aver già subito frodi a causa della fuga di dati. Consapevoli dei problemi le autorità hanno in cantiere una bozza di legge sulla tutela dei dati personali, ma i primi feedback degli esperti non sono incoraggianti. La bozza non sembra fare luce sulle responsabilità legali in caso di violazioni della privacy né prevede la necessità di ottenere il consenso per il trattamento dei dati personali. [fonte GT, Caixin]
Il vintage per raggiungere la neutralità carbonica
La lunga marcia cinese verso la neutralità carbonica è intralciata da pile di indumenti usati. Secondo la Ellen MacArthur Foundation, l’industria della moda rappresenta circa il 10% delle emissioni globali di carbonio, più di quanto prodotto da i voli aerei e trasporto marittimo messi insieme. La diffidenza dei cinesi per l’abbigliamento di seconda mano – ritenuto antigenico – lascia ogni anno il paese davanti a un dilemma: come smaltire 26 milioni di tonnellate di vestiti dismessi, di cui solo l’1% viene riutilizzato o riciclato. Secondo la Textile Recycling Association, gli indumenti di alta qualità raccolti vengono solitamente rivenduti all’estero, tanto che le esportazioni cinesi nel 2015 hanno raggiunto il 6,4% del totale mondiale rispetto a meno dell’1% del 2010. Molti dei capi finiscono in Africa, dove dìeci anni fa il Regno Unito faceva la parte del leone, contando per un quarto delle forniture ricevute dal Kenya. Oggi circa il 30% delle spedizioni arrivano dalla Cina, mentre la quota del Regno Unito è scesa al 17%. [fonte Bloomberg]
Appuntamento al buio: si presentano in 23
Ben 19.800 yuan, circa 2500 euro. E’ il conto che si è visto recapitare un 29enne della provincia del Zhejiang al primo appuntamento con una ragazza che per testare la sua generosità si è presentata a cena con 23 parenti e amici. Per smarcarsi dall’impiccio il poveretto è fuggito lasciando il conto nelle mani della ragazza. Nel frattempo la storia ha fatto il giro del web totalizzando su Weibo 320 milioni di visualizzazioni. “Tocca all’uomo pagare l’uscita?” è l’hashtag a cui il popolo del web ha risposto in alcuni casi lamentando la venalità del gentil sesso, in altri riaffermando la necessità che sia l’uomo a dimostrare senso di responsabilità sopperendo a tutte le spese. La disuguaglianza di genere è un problema che in Cina riguarda entrambi i sessi. [fonte What’s on Weibo]
Giappone e Usa, doppio accerchiamento alla Cina nell’Indo Pacifico
Si è concluso il primo viaggio all’estero del nuovo primo ministro giapponese, Suga Yoshihide. Quattro giorni tra Vietnam e Indonesia, i due snodi vitali dell’area Asean. Un viaggio arrivato in rapida successione con quello del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, che è stato sempre nel Sud-est asiatico ma in altri paesi più diplomaticamente “integrati” negli ingranaggi asiatici del Dragone (in primis Cambogia e Laos). Ad Hanoi, Suga ha incontrato il primo ministro Nguyen Xuan Phuc, col quale ha firmato accordi in materia di commercio, antiterrorismo e (segnale più rilevante) difesa. Tokyo trasferirà tecnologie e attrezzature militari in Vietnam, a partire dai velivoli di pattugliamento marittimo e di trasporto tattico di Kawasaki Aerospace. Allo stesso tempo, però, gli investimenti diretti giapponesi in Vietnam sono crollati del 43% nei primi nove mesi del 2020 (a causa di lentezze nei processi decisionali) tanto che Tokyo ha subito il sorpasso sia della Cina sia della Corea del sud. A Giacarta, l’incontro con il presidente Joko Widodo ha fornito l’occasione per annunciare un prestito da 470 milioni di dollari per il contrasto alla pandemia e l’organizzazione di una ministeriale 2+2 (Esteri e Difesa) per stabilire le modalità di trasferimento di tecnologie difensive nipponiche in Indonesia. Il Giappone opera da tempo nell’area con il cappello della Japan’s Free and Open Indo-Pacific, ma ora sembra aver dato una svolta più “tattica” alla sua presenza nella regione. Attenzione, però, non si tratta di un arruolamento trumpiano: nonostante le imminenti esercitazioni Quad a Malabar (che dopo alcuni anni vedranno la partecipazione congiunta delle forze militari giapponesi, statunitensi, indiane e australiane), Suga ha ribadito il suo no alla formazione di una “Nato asiatica”. Il Giappone, di fronte all’imprevedibilità americana degli ultimi anni, si sta muovendo autonomamente per rinsaldare i legami tra le potenze medie asiatiche nell’ottica di un confronto (non uno scontro) con Pechino. Nel frattempo, Mike Pompeo prepara l’ennesimo tour anti cinese. Stavolta all’interno della sfera d’influenza indiana. Il segretario di Stato Usa sarà infatti in Sri Lanka (che dopo le recenti elezioni legislative si è avvicinato ancora di più al Dragone) e alle Maldive, con le quali è in programma la firma di un nuovo accordo difensivo. Stavolta col placet dell’India, sempre più attenta alle mosse cinesi. Pompeo sarà anche a Nuova Delhi, dove verrà invece firmato un accordo che prevede l’accesso indiano ai dati satellitari americani per migliorare la precisione di missili e droni. [fonte NIKKEI, Strai Times, Reuters]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.