La repressione ad Hong Kong, l’uso del lavoro forzato nello Xinjiang e l’escalation militare nello Stretto di Taiwan: sono questi alcuni degli argomenti affrontati dalla dichiarazione congiunta dai leader G7 alla fine del vertice annuale tenutosi a Carbis Bay. Il comunicato, il primo che menziona direttamente ed indirettamente la Cina, richiede inoltre un altro studio internazionale sull’origine del coronavirus in Cina e offre un piano alternativo alla Belt and Road cinese – un investimento di 100 miliardi di dollari che i paesi G7 destineranno a paesi terzi per promuovere migliori standard climatici. A tal proposito, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha chiarito che lo schema per intensificare gli investimenti del G7 in Africa mirerebbe esattamente a contrastare la crescente influenza di Pechino. Per quanto riguarda la questione del lavoro forzato, sebbene la relativa sezione del comunicato non abbia specificamente nominato alcun paese, la formulazione è chiara: gli Stati Uniti, il Canada e l’UE – che hanno unito le forze già all’inizio di quest’anno per sanzionare collettivamente la Cina sulla questione –”lavoreranno insieme” per garantire che le catene di approvvigionamento globali siano libere dall’uso del lavoro forzato”. Un piano più dettagliato a questo proposito sarà presentato entro ottobre. La pandemia di coronavirus è stata unulteriore punto cardine del summit di Carbis Bay, dove i paesi G7 hanno reiterato la richiesta di ulteriori indagini sulle origini del coronavirus, accusando inoltre indirettamente Cina e la Russia di utilizzare i vaccini come strumento geopolitico per ottenere concessioni strategiche da altri paesi e per danneggiare l’Occidente. Al termine del summit sono arrivati i primi commenti a caldo dagli alti funzionari dei paesi G7: un funzionario dell’UE ha affermato che molti paesi sono d’accordo nel seguire l’Europa nella formulazione di un nuovo “approccio multiforme” verso la Cina che coniughi partenariato, concorrenza e rivalità sistemica. D’altra parte, il funzionario della Casa Bianca ha descritto la dichiarazione congiunta come una vittoria per l’amministrazione Biden, sotto la quale sarebbe in atto una “convergenza strategica” delle politiche estere delle più grandi democrazie del mondo. Parole taglienti contro Pechino sono arrivate anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e da Mario Draghi, che ha affermato che l’approccio verso la Cina dovrà essere fondato su tre elementi: cooperazione, competizione e “franchezza”. Secondo Draghi, la Cina è “un’autocrazia che non aderisce alle regole” , con la quale è necessario cooperare, consci però della rivalità – economica ma soprattutto ideologica – in atto tra Pechino e l’Occidente. Draghi si è infine soffermato sulla franchezza come principio guida della politica estera occidentale nei confronti del paese di mezzo. Citando Biden, il presidente del Consiglio ha sottolineato la necessità di sfidare l’ideologia cinese sul piano internazionale, in quanto “il silenzio” sulle questioni di diritti umani risulterebbe in “complicità”. Ne consegue l’avvio di una revisione della partecipazione italiana al progetto Belt and Road. “Riguardo a questo specifico accordo, lo valuteremo con attenzione”, ha risposto alla stampa il premier. [fonte Politico; SCMP, NIKKEI]
Pechino approva una nuova legge sulla sicurezza dei dati
Giovedì scorso la Cina ha approvato una nuova legge sulla sicurezza dei dati. Secondo il testo di legge, tutte le aziende che trasferiscono i “dati fondamentali” dello stato cinese all’estero senza l’adeguata approvazione di Pechino dovranno affrontare una sanzione fino a 10 milioni di yuan (1,56 milioni di dollari); Pechino si riserverà inoltre il diritto di far chiudere tali aziende, una sanzione che non esisteva in una precedente bozza della legge che era stata sottoposta a revisione ad aprile scorso. Inoltre, vi sarà l’obbligo per le imprese cinesi di migliorare le proprie pratiche di protezione dei dati, pena una multa fino a 2 milioni di yuan. Pechino spera che il settore digitale svolga un ruolo più importante nell’economia del paese e sta cercando di stabilire un regime di governance dei dati che trovi un equilibrio tra un forte controllo del governo, un mercato sano e competitivo e la protezione della privacy dei consumatori. Tuttavia, molti esperti concordano sul fatto che la nuova legge sulla sicurezza dei dati renderà più difficile per le aziende, in particolare quelle con operazioni transfrontaliere, navigare in un contesto normativo sempre più complicato: la legge entrerà in vigore già partire dal prossimo 1° settembre, lasciando alle imprese pochissimo tempo per armonizzare le loro operazioni. La nuova regolamentazione fornisce infine una definizione ampia di ciò che conta come “dati fondamentali”, ovvero qualsiasi dato che riguarda la sicurezza nazionale ed economica, il benessere delle persone e l’interesse pubblico: trattando i dati come un problema di sicurezza nazionale, tali informazioni archiviate a livello nazionale saranno ora protette dal braccio lungo della giurisdizione statunitense. La nuova legge cinese sui dati potrebbe infatti essere in conflitto con il CLOUD Act americano: approvato nel 2018, il protocollo consente alle forze dell’ordine statunitensi di richiedere l’accesso ai dati online indipendentemente dal paese in cui sono archiviate le informazioni. [fonte SCMP]
Cina: si suicida il funzionario locale responsabile della maratona mortale
Le autorità della contea di Jingtai, nel nord-ovest della Cina, hanno confermato che un capo del partito locale è stato trovato senza vita. Il fatto sarebbe relazionato con le inchieste sulla morte di 21 corridori in una maratona estrema tenutasi il mese scorso a Baiyin, nella provincia del Gansu. Il suicidio di Li Zuobi, capo del partito della contea di Jingtai, è stato reso pubblico venerdì scorso in seguito all’annuncio, da parte delle autorità provinciali, dei risultati di un’indagine sulla tragedia della Yellow River Stone Forest Park Marathon, avvenuta il mese scorso e nella quale hanno perso la vita 21 dei 172 partecipanti. Secondo quanto annunciato dalle autorità, altri cinque membri della compagnia che ha organizzato la maratona sono attualmente detenuti e dovranno affrontare accuse penali ed altri funzionari locali del partito sono stati sanzionati con misure che includono ammonimenti amministrativi, perdita del lavoro e detenzione. La rapidità delle indagini e la prontezza con cui sono state comminate le misure disciplinari a carico dei quadri locali sono un tema ricorrente nella politica cinese degli ultimi anni: è infatti pratica comune per le autorità centrali di Pechino incolpare o detenere gli esponenti locali del Partito in attesa dell’esito delle indagini per dimostrare che il governo centrale sta agendo rapidamente durante una crisi. Pechino la scorsa settimana ha inoltre sospeso le ultra maratone e altre gare di lunga distanza a livello nazionale. La contea di Jingtai si trova nella periferia settentrionale di Baiyin, una città ultimamente in decadenza a causa dell’esaurirsi delle sue ricchezze minerarie. Tristemente nota in Cina per la disoccupazione cronica e gli alti tassi di criminalità, Baiyin aveva deciso di ospitare la maratona come strategia per cercare di migliorare la propria immagine a livello nazionale. [fonte SCMP]
Il Zhejiang mira ad aumentare il reddito pro capite del 30% entro il 2025
Nonostante lo sforzo di Pechino per modernizzare le aree rurali della Cina, che si è concretizzato in un budget di ben 530,5 miliardi di yuan (83 miliardi di dollari) allocato a sostegno dei residenti poveri del paese tra il 2016 e il 2020, gli abitanti delle campagne cinesi devono affrontare un divario sempre più ampio nella disparità di reddito rispetto ai residenti delle aree urbane. Il reddito rurale complessivo è infatti aumentato dell’82% dal 2013, ma la differenza di reddito effettivo pro-capite tra zone rurali e urbane si è ampliata del 57% sullo stesso periodo. Pechino sembra però aver deciso di rinnovare i propri sforzi ridurre tale divario: un esempio è la provincia del Zhejiang, nella Cina orientale, che diventerà la zona pilota della grande visione del presidente Xi Jinping di ridurre il divario di reddito tra residenti rurali e urbani e di raggiungere “la prosperità comune”. La provincia mira ad aumentare il suo PIL pro-capite del 30% fino a raggiungere 130.000 yuan (20.340 dollari) entro il 2025, secondo quanto affermano le linee guida rilasciate congiuntamente dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e dal Consiglio di Stato giovedì scorso. In base alle stime di Caixin basate sui dati economici pubblicati dal quotidiano statale China Daily, nel 2020 il PIL pro capite del Zhejiang era di circa 100.000 yuan, 1,63 volte quello della media nazionale. La provincia ha una popolazione di 64,56 milioni, l’ottava provincia più popolosa del paese, di cui il 72,17% vive nelle aree urbane e il 27,83% nelle regioni rurali. Secondo le fonti governative, ci si aspetta che l’innovazione svolga un ruolo fondamentale nel perseguimento della prosperità comune in Zhejiang: nuove riforme saranno messe in atto in campi come l’innovazione scientifica e tecnologica, la digitalizzazione, i sistemi di distribuzione, lo sviluppo coordinato tra aree urbane e rurali. La spinta all’innovazione si concentrerà probabilmente sull’ottimizzazione delle catene di produzione e sull’elaborazione di prodotti ad alto valore aggiunto. [fonte Nikkei, Caixin]
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.