Mercoledì scorso la Cina è stata inserita nel gruppo consultivo del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC), dove svolgerà un ruolo chiave nella selezione degli esperti incaricati del monitoraggio della libertà di parola, del diritto alla salute e del rispetto dei diritti umani nel mondo. La nomina della Cina all’influente gruppo dell’UNHRC, composto da sole cinque nazioni, è stata annunciata in una lettera presentata alle Nazioni Unite dall’Oman a nome del gruppo asiatico e confermata da un avviso sul sito web dell’ONU. L’episodio ha scatenato immediatamente le critiche da parte di numerosi esponenti del mondo accademico e delle ONG internazionali, scettici sulla capacità della Cina di ricoprire tale incarico in maniera coerente, essendo Pechino considerata responsabile di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani – specialmente nei territori del Xinjiang e di Hong Kong – nonché di reiterata soppressione della libertà d’espressione nei confronti dei propri cittadini. Ad incrementare il dissenso sulla nomina cinese vi è poi il fatto che, unendosi al gruppo di esperti scientifici dell’UNHRC, il delegato cinese Jiang Duan sarà in grado di influenzare la selezione di almeno 17 esperti delle Nazioni Unite nel corso del prossimo anno, i quali avranno il potere di indagare, controllare e comunicare pubblicamente su questioni e missioni speciali dell’ONU in tutte le parti del mondo, relative in particolare alla qualità della libertà di parola e di religione. La Cina fungerà inoltre da presidente dei processi di selezione per i mandati speciali ed aiuterà a decidere chi incaricare all’effettuazione di missioni di monitoraggio speciale nei singoli paesi. [fonte:UNWatch]
Cina: la quarantena come pretesto per controllare i dissidenti politici
ll famoso avvocato cinese per i diritti umani Wang Quanzhang, incarcerato per quattro anni e mezzo con l’accusa di sovversione del potere statale, è stato rilasciato sabato scorso, ma gli sarebbe stato impedito di ricongiungersi con sua moglie e suo figlio a Pechino a causa del coronavirus. In un’intervista rilasciata al The Guardian, la moglie di Wang, Li Wenzu, ha espresso il suo timore sul fatto che le autorità stiano usando la pandemia come scusa per in realtà costringere Wang agli arresti domiciliari a tempo indeterminato. Infatti, nonostante Wang sia stato rilasciato, le autorità cinesi lo avrebbero inviato nella sua città natale, Jinan, a circa 400 km a sud di Pechino per essere messo in quarantena, separandolo così dalla moglie e dal figlio. Secondo alcuni esperti di diritto cinese presso la New York University, non è la prima volta che in Cina gli attivisti per i diritti umani vengono rilasciati dal carcere per poi essere di fatto sottoposti ai domiciliari o a restrizioni di movimento di lunga durata, spesso – come nel caso di Wang – accompagnati dal divieto di ricevere visite da amici e famigliari.Wang è stato uno degli oltre 300 avvocati ed attivisti detenuti in un’ondata di repressioni iniziata nel luglio 2015 per aver difeso alcuni membri del gruppo religioso vietato Falun Gong. Il suo processo è avvenuto tre anni e mezzo dopo la sua detenzione e, secondo alcune indiscrezioni, un’ulteriore udienza avrà luogo al termine della quarantena iniziata sabato scorso. [fonte: TheGuardian]
Coronavirus: la Cina ridimensiona i progetti di ricerca sul Covid-19
In una nota emessa venerdì scorso dal Ministero della Scienza e della Tecnologia, le autorità cinesi hanno annunciato la chiusura immediata dei progetti di ricerca che violano le normative farmaceutiche esistenti, che hanno avuto effetti collaterali o nessuna efficacia evidente nel trattamento del Covid-19. La nuova normativa prevede inoltre che tutti gli operatori sanitari impegnati nella ricerca medica debbano presentare al governo informazioni dettagliate sul loro lavoro entro tre giorni dall’inizio delle prime prove di laboratorio, pena l’annullamento dei progetti in questione. Con queste nuove direttive il governo di Pechino cerca di frenare lo spreco di risorse, in particolare di quelle umane, impiegate nella ricerca non autorizzata di trattamenti contro il nuovo coronavirus. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sarebbero infatti ben 557 i progetti scientifici cinesi relativi al Covid-19, molti dei quali impiegano medicinali e trattamenti originariamente destinati alla cura di altre malattie ed ora in via di esaurimento a causa del loro uso massivo nelle ricerche per un vaccino contro il coronavirus. [fonte: SCMP]
Coronavirus: clorochina e Remdesivir venduti online come cura
La vendita di medicine discusse come trattamento per il Covid-19 è salita alle stelle dopo diverse dichiarazioni “promozionali” effettuate dal presidente Trump. Questi medicinali si trovano già in rete tramite Facebook ed altre piattaforme digitali tra cui Alibaba. A rifornirle sono quegli stessi siti che fino a poco tempo fa vendevano il famigerato fentanyl, una droga sintetica – prodotta perlopiù in Cina 50 – volte più potente della morfina che ha causato più di 30.000 morti negli Stati Uniti nel solo 2018. Noti soprattutto con il nome clorochina e Remdesivir, i medicinali anti-covid-19 vengono importati massivamente negli USA camuffati da materiale da ricerca, ma vengono spesso utilizzati come automedicazione dalla popolazione civile con la promessa di risultati miracolosi nella cura di Covid-19. Sebbene i test clinici non abbiano dimostrato una particolare efficacia dei due farmaci rispetto ai trattamenti convenzionali attualmente in uso contro il coronavirus, ciò non ha impedito al presidente Trump di continuare a sostenere pubblicamente il loro uso, in contrasto con tutte le raccomandazioni delle agenzie governative e dell’OMS. Nel frattempo, la vendita di questi prodotti continua senza alcun effettivo controllo sull’uso finale che ne viene effettuato ed attualmente l’unica misura adottata da Alibaba è vietare i riferimenti al coronavirus nelle pubblicità relative alla clorochina. [fonte: SCMP]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.