I titoli di oggi:
- Il vicepresidente cinese all’incoronazione di re Carlo III
- La Belt and Road Initiative guarda all’Afghanistan
- La polizia di Hong Kong sequestra la “Pillar of Shame”
- Minacce cinesi contro legislatore canadese
- Morti nascoste nella tragedia nella miniera dello Hebei
- Kishida primo premier giapponese a visitare Seul in 12 anni
Il vicepresidente cinese all’incoronazione di re Carlo III
Il vicepresidente della Repubblica popolare cinese, Han Zheng, si è recato a Londra nel weekend per assistere all’incoronazione di Carlo III a re del Regno Unito. Ma la sua trasferta non si è limitata ai convenevoli cerimoniali. Pechino e Londra hanno approfittato dell’evento per distendere le proprie relazioni bilaterali dopo anni di crescenti tensioni legate a Hong Kong, Xinjiang, tecnologia e sicurezza. Come riportato da Xinhua, Han ha incontrato sia i vertici della casa reale (Carlo III e il principe William), sia quelli del governo, tra cui (“brevemente”) il primo ministro Rishi Sunak, il suo vice Oliver Dowden e il ministro degli esteri James Cleverly. Secondo quanto pubblicato dallo stesso Cleverly su Twitter, il ministro britannico ha “chiarito [ad Han Zheng] la visione del Regno Unito su Hong Kong, Xinjiang e Taiwan”, manifestando però la volontà di Londra di collaborare con la Cina sul cambiamento climatico e sulle questioni economiche. Il South China Morning Post ha evidenziato come, dopo la nomina di Sunak a primo ministro, il Regno Unito abbia ammorbidito il proprio approccio nei confronti della Repubblica popolare, per non compromettere in particolare commercio e investimenti. Anche re Carlo, secondo Xinhua, ha espresso la “speranza di un’ulteriore cooperazione tra i due paesi in un’ampia gamma di settori”, legati soprattutto allo sviluppo sostenibile. Dal canto suo, il presidente Xi Jinping – oltre alle congratulazioni al nuovo monarca – ha dichiarato che “la parte cinese è pronta a lavorare con quella britannica per rafforzare l’amicizia tra i due popoli”.
La Belt and Road Initiative guarda all’Afghanistan
Sabato scorso il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha incontrato a Islamabad il suo omologo pakistano Bilawal Bhutto Zardari e quello afgano Amir Khan Muttaqi in occasione del quinto dialogo trilaterale dei ministri degli Esteri dei tre paesi. In una dichiarazione congiunta tra Cina e Pakistan si legge che “le due parti hanno concordato di continuare a fornire assistenza umanitaria ed economica al popolo afgano”. Come riportato da The Hindu, i tre ministri hanno anche promosso “la cooperazione antiterrorismo”. Una questione, quella della minaccia terroristica, che preoccupa molto Pechino (c’entrano gli uiguri. Ne abbiamo parlato qui). Sul fronte economico, le parti hanno deciso di includere l’estensione del Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), un’iniziativa del valore di 60 miliardi di dollari nell’ambito della Belt and Road Initiative, per contribuire alla ricostruzione del paese. Non è la prima volta che il governo talebano ha espresso la volontà di ottenere investimenti infrastrutturali nell’ambito del CPEC, per far fronte alle gravi ristrettezze economiche: già lo scorso gennaio Kabul ha firmato un contratto della durata di 25 anni per l’esplorazione e l’estrazione di petrolio nelle regioni settentrionali con un’azienda cinese, la Xinjiang Central Asia Petroleum and Gas (CAPEIC). Si tratta del più importante investimento estero nel paese dalla conquista dei talebani.
Minacce cinesi contro legislatore canadese
“Il governo [di Justin Trudeau] ne era conoscenza e non ha fatto nulla”. Sono le parole rilasciate ai giornalisti la scorsa settimana da Michael Chong, membro della Camera dei Comuni del Canada che è stato recentemente identificato come il bersaglio di una campagna di molestie condotta dalla Cina. Le minacce sono iniziate dopo che Chong ha votato a favore di una mozione parlamentare del febbraio 2021 che condannava come “genocidio” le azioni di Pechino contro gli Uiguri nello Xinjiang. Il Guardian ha riportato le informazioni condivise dal giornale canadese Globe and Mail, secondo cui il diplomatico del consolato cinese di Toronto Zhao Wei avrebbe avuto un ruolo nelle molestie. La ministra degli Affari esteri Mélanie Joly non ha confermato il ruolo di Zhao Wei. Giovedì scorso, di fronte a una commissione parlamentare, Joy ha parlato comunque delle difficoltà di espellere un diplomatico, e ha aggiunto di aver convocato l’ambasciatore cinese Cong Peiwu per far luce sulla vicenda. L’ambasciata cinese a Ottawa ha detto che la situazione mostra i tentativi di “alcuni politici e media canadesi” di “attaccare e screditare la Cina”. Pechino ha definito “totalmente assurde” le accuse contro il diplomatico.
La polizia di Hong Kong sequestra la “Pillar of Shame”
La polizia di Hong Kong ha sequestrato la “Pillar of Shame”, cioè la statua dello scultore danese Jens Galschiøt che commemora le vittime delle repressioni di piazza Tien’anmen del 1989. La scultura – che rappresenta un insieme di corpi ammassati, e alta circa 7 metri – era chiusa dentro un container dal dicembre del 2021, quando venne rimossa dall’Università di Hong Kong, dove era esposta al pubblico. Come riporta il Wall Street Journal, la polizia ha comunicato di aver sequestrato “un reperto relativo a un caso di incitamento alla sovversione”. Il timore di Galschiøt, da come ha dichiarato, è che “la useranno come prova contro il movimento democratico”.
Intanto, la scorsa settimana TikTok ha sospeso per un paio di giorni l’account dell’Acton Institute. Il think tank americano aveva pubblicato il 18 aprile un documentario su Jimmy Lai, l’editore dell’Apple Daily (giornale pro-democrazia di Hong Kong chiuso nell’estate del 2021) in carcere da più di due anni. Prima della sospensione dell’account, in due settimane la promozione del documentario (intitolato “The Hong Konger”) aveva raggiunto le 4 milioni di visualizzazioni. Il Wall Street Journal ha parlato dell’accaduto con un duro pezzo di opinione e, secondo quanto riportato dallo stesso quotidiano statunitense, due ore dopo la pubblicazione dell’articolo un portavoce di TikTok ha contattato la redazione dicendo che l’account era stato rimosso per errore e che era stato ripristinato.
Morti nascoste nella tragedia nella miniera dello Hebei
Il 2 settembre scorso si è verificata l’inondazione di una miniera di ferro nella contea di Qianxi, nella provincia settentrionale di Hebei. Secondo il recente rapporto del comitato provinciale di gestione delle emergenze l’incidente ha causato la morte di 14 lavoratori. Uno risulterebbe ancora disperso. Ma le indagini hanno anche svelato i tentativi da parte dei funzionari locali di sminuire la gravità di quanto accaduto. Nelle prime ore dalla tragedia, infatti, le autorità della contea avrebbero inviato un rapporto falso ai superiori, nel quale si menzionavano solo due dispersi. Nei giorni successivi avrebbero anche trasferito in segreto i corpi di 12 lavoratori in un’altra località. Ma la scoperta di un terzo cadavere da parte dei soccorritori ha indotto le autorità provinciali ad avviare le indagini. Venti persone, tra cui funzionali locali e dirigenti della miniera, sono ora agli arresti.
Kishida primo premier giapponese a visitare Seul in 12 anni
Il primo ministro giapponese Fumio Kishida ha dichiarato che il suo cuore “sanguina” pensando alle sofferenze subite dai coreani durante la colonizzazione giapponese (1910-1945). “Il mio cuore sanguina per le esperienze molto difficili e tristi di così tante persone nelle dure circostanze dei tempi”, ha detto Kishida ieri a Seul dopo un bilaterale con il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol. “La cooperazione e il coordinamento tra la Corea del Sud e il Giappone sono essenziali non solo per gli interessi comuni dei due paesi, ma anche per la pace e la prosperità nel mondo di fronte all’attuale grave situazione internazionale”, ha risposto Yoon accogliendo Kishida a Seul, il primo primo ministro nipponico a visitare la capitale sudcoreana in 12 anni. La Cina non è stata menzionata espressamente, ma i due leader non hanno mancato di affermare totale convergenza nella difesa dei diritti umani e della stabilità nell’Indo-Pacifico. La visita di Yoon è stata duramente criticata dalla stampa nazionalista cinese. A stretto giro dalla visita, il Global Times ha accusato il presidente sudcoreano di “aggravare il collasso della situazione nell’Asia Nordorientale”, “seguendo ciecamente gli Stati Uniti”. L’ambasciata di Seul a Pechino ha presentato una lettera di protesta.
A cura di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno; ha collaborato Alessandra Colarizi