Ora che in tutto lo Hubei – compresa Wuhan – il livello d’allarme è sceso al grado più basso, rimane solo una zona della Cina ad essere considerata ad “alto rischio” Covid: Chaoyang, il quartiere diplomatico di Pechino. Lo riporta il Scmp, secondo il quale alle 18,00 di domenica la sede delle ambasciate e dello shopping pechinese era l’unica zona rossa segnalata dall’app sviluppata dal governo per monitorare la diffusione dell’epidemia attraverso 2587 distretti e contee del paese. Pechino non riporta nuove infezioni da giovedì. Il direttore del Centro locale per la prevenzione e il controllo delle malattie ha giustificato la decisione segnalando la formazione di un cluster preoccupante, divampato da un caso importato. Ma è probabile che la prudenza sia piuttosto motivata dalla necessità di proteggere il cuore politico del paese, soprattutto ora che si comincia a discutere la data dell’attesa Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese. Questo potrebbe spiegare anche perché invece nella provincia dello Heilongjiang, lungo il confine poroso con la Russia, il pericolo di un contagio viene ancora considerato di “livello medio” nonostante l’aumento vertiginoso delle infezioni. Nel solo capoluogo di Harbin, sabato sono stati registrati 36 nuovi casi conclamati e 18 asintomatici. L’incremento degli ultimi giorni pare essere perlopiù collegato a un super spreader responsabile – direttamente e indirettamente – del contagio di almeno 50 persone. [fonte: SCMP, Global Times]
Indagato viceministro della sicurezza pubblica
Sun Lijun, viceministro della sicurezza pubblica, è indagato per “gravi violazioni della disciplina”, eufemismo utilizzato dalle autorità cinesi nei casi di corruzione. L’inchiesta – che segue la condanna a 13 anni dell’altro ex viceministro e capo dell’Interpol Meng Hongwei – verrà condotta dalla Commissione disciplinare del Pcc e dalla Commissione nazionale per la supervisione. Dai media statali si apprende solo che il comitato di partito del ministero ha approvato l’iniziativa e promesso di “di essere leale, seguire e difendere il nucleo” (leggi: Xi Jinping). In amancanza di dettagli, alcune informazioni sulla carriera di Sun permettono, tuttavia, di avanzare alcune ipotesi: la caduta in disgrazia potrebbe essere collegata al periodo in cui Sun aveva servito come assistente di Meng Jianzhu, l’ex segretario della Commissione centrale per gli affari politici e legali. Ma il viceministro aveva anche svolto il ruolo di capo dell’ufficio di pubblica sicurezza responsabile per gli affari di Taiwan, Macao e Hong Kong, la regione amministrativa speciale che da mesi protesta contro l’ingerenza cinese. Pechino ha già provveduto a sostituire due uomini chiave nella gestione dei rappori con l’ex colonia britannica. L’ultima pista viene suggerita tra le righe dal South China Morning Post e da alcuni media statali. In tempi recenti Sun era stato spedito a Wuhan per combattere l’epidemia. Annunciando l’apertura delle indagini, il ministero ha riaffermato la necessità di preservare la sicurezza nazionale e la stabilità sociale nonostante i progressi riscontrati nella lotta al virus. Non è quindi da escludere un collegamento con l’epidemia già costata il posto a funzionari di vari livelli. [fonte: GT, SCMP]
La Cina stringe la sua morsa sul Mar Cinese Meridionale
Pechino ha annunciato sabato scorso l’istituzione di due nuovi distretti amministrativi – Xisha e Nansha – nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale. I nuovi dipartimenti saranno sotto il controllo dalle autorità del governo locale di Sansha, una città nell’isola meridionale di Hainan, e governeranno le Isole Paracelso e la Macclesfield Bank – aree rivendicate da Vietnam e Taiwan – così come le Isole Spratly e le loro acque adiacenti, contese tra diverse potenze regionali. Le nuove misure adottate dal governo di Pechino non sono del tutto inaspettate: già all’inizio del mese gli USA avevano sottolineato la loro preoccupazione in relazione all’affondamento da parte della Cina di un peschereccio vietnamita nelle vicinanze delle Isole Paracelso, evidenziando come Pechino avesse anche intrapreso la costruzione di nuove stazioni di ricerca nelle basi militari costruite su Fiery Cross Reef, quest’ultima ora sede della neonata amministrazione di Nansha. La nuova riorganizzazione geopolitica sembrerebbe rispondere alla necessità di assicurare a Pechino l’egemonia nella regione: infatti, poiché le isole artificiali e le infrastrutture militari essenziali nel Mar Meridionale Cinese sono già ben sviluppate, i nuovi distretti renderanno più efficace il controllo amministrativo dell’area da parte della Cina, a discapito delle rivendicazioni territoriali da parte delle Filippine e del Vietnam. Contestualmente, nella giornata di ieri, le autorità cinesi hanno annunciato la standardizzazione dei nomi di 25 isolotti e 55 formazioni sommerse [fonte:SCMP, GT]
L’india inasprisce i controlli sugli investimenti esteri
In una nota del 17 aprile il Ministero del Commercio indiano ha annunciato diverse modifiche alle norme federali che regolano gli investimenti provenienti dall’estero. Secondo le nuove normative, tutti i paesi che condividono un confine terrestre con l’India e che intendano investire nel territorio indiano dovranno richiedere l’approvazione del governo. Restrizioni simili sono già in atto nei confronti di Bangladesh e Pakistan, ma fino ad ora non sono state applicate agli altri paesi confinanti, tra cui Cina, Bhutan, Myanmar e Nepal. Sebbene la nota del Ministero indiano non menzioni specificatamente la Cina, sembrerebbe che le riforme mirino a limitare le acquisizioni cinesi in India, esponenzialmente in crescita dal 2014. Infatti, stando ai dati del Ministero del Commercio di Pechino, negli ultimi cinque anni gli investimenti cinesi in India avrebbero raggiunto un valore pari a 8 miliardi di dollari, con un notevole incremento soprattutto nel settore privato. Tuttavia, una ricerca condotta da Brookings nel marzo scorso ha dimostrato che i dati del governo cinese potrebbero sottostimare il reale ammontare degli investimenti cinesi in India, in quanto non includono nel computo né le acquisizioni cinesi di partecipazioni nel settore tecnologico indiano, né gli investimenti in India attraverso paesi terzi. Includendo questi dati, il valore degli investimenti cinesi in India raggiungerebbe un valore pari a 26 miliardi di dollari, ovvero tre volte la cifra ufficialmente dichiarata dalle autorità cinesi. [fonte: Reuters ; Brookings]
Avigan: il Giappone dribbla la Cina e rilancia la produzione domestica
L’epidemia di Covid-19 ha messo in ginocchio il sistema sanitario giapponese, ormai da giorni sprovvisto del medicinale antinfluenzale Avigan, comunemente usato nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19. L’Avigan – ed in particolare il suo ingrediente principale, l’acido malonico – viene prodotto in Cina e poi esportato verso il Giappone, ma la crescente domanda domestica in Cina continentale, unita alla sua commercializzazione in molteplici varianti generiche, ne sta rendendo impossibile l’esportazione. Per sopperire a questa mancanza, il premier Shinzo Abe ha richiesto a due tra le maggiori aziende giapponesi di iniziare a produrre acido malonico per il mercato interno. La prima è la casa farmaceutica Denka che inizierà da subito a riprendere la produzione il medicinale, bloccata nel 2017, con l’obiettivo di intensificarla già a partire da luglio. Ad affiancare Denka vi sarà poi Kaneka, una società chimica giapponese, che ha annunciato la riconversione dei propri siti produttivi in fabbriche di composti farmaceutici destinati alla produzione di Avigan. Sebbene il governo giapponese si sia mosso rapidamente, i lunghi processi normativi per l’approvazione dei farmaci rendono improbabile una ripresa a pieno titolo della produzione fino a dopo luglio. Inoltre, ulteriori difficoltà sorgeranno dai costi di produzione, che in Giappone sono di circa 10 volte più alti che in Cina. Infatti, produrre 50 yen (46 centesimi) di acido malonico in Giappone potrebbe costare oltre 100 yen e si stima che questa cifra, moltiplicata per il numero di pazienti e le dosi necessarie a ciascuno, si tradurrebbe in un costo complessivo pari 16,2 miliardi di yen (circa $ 150 milioni). [fonte: Nikkei]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.