Una nuova disposizione inclusa nel nuovo disegno di legge del National Defense Authorization Act (NDAA) minaccia di limitare l’assistenza militari ai paesi che affidano il proprio 5G a Huawei e ZTE. Secondo la bozza, il Pentagono dovrà considerare tutti “i rischi per il personale, le attrezzature e le operazioni” prima di inviare il personale militare nei paesi alleati. Le due aziende cinesi sono citate esplicitamente. Le aziende fornitrici di equipaggiamento 5G dovranno essere dunque messe sotto esame prima di installare “sistemi d’arma principali” o procedere con il dispiegamento di truppe aggiuntive “assegnate in modo permanente” e con almeno le dimensioni di un battaglione. Il disegno di legge – in attesa del voto del Congresso – è stato reso pubblico poco dopo che il direttore dell’intelligence nazionale John Ratcliffe, per la prima volta, ha etichettato pubblicamente la Cina come la minaccia n. 1 per gli Stati Uniti. Gli ultimi sviluppi rischiano di complicare non poco il lavoro del presidente eletto Joe Biden. Infatti, anche dopo che l’amministrazione Trump avrà lasciato l’incarico il 20 gennaio prossimo, la nuova legge – se firmata – passerà in eredità al nuovo segretario alla Difesa. La forza del disegno di legge dipenderà dunque dalla pressione che gli USA eserciteranno sui propri partner ed alleati, alcuni dei quali potrebbero essere più restii ad ‘abbandonare Huawei. Mentre alcuni paesi, come il Regno Unito, si sono dimostrati più proattivi nel seguire Washington ed hanno precluso al colosso di Shenzhen la possibilità di partecipare alle proprio reti 5G, altri partner – come la Corea del Sud, più dipendente economicamente dalle infrastrutture cinesi – potrebbero trovarsi “intrappolati” e costretti a scegliere tra il supporto militare di Washington e la cooperazione economica con Pechino. [fonte SCMP]
JD.com diventa la prima piattaforma online ad accettare la valuta digitale cinese
Sabato scorso la società di e-commerce cinese JD.com Inc. ha dichiarato di essere diventata la prima piattaforma virtuale del paese ad accettare la valuta digitale nazionale. Secondo quanto pubblicato dall’account WeChat ufficiale dell’azienda, JD Digits – la divisione fintech della società – accetterà lo yuan digitale come metodo di pagamento per alcuni prodotti in vendita sulla sua piattaforma online, come parte di una campagna promozionale dedicata ai cittadini di Suzhou, vicino a Shanghai, durante la quale il governo municipale e la banca centrale cinese (PBOC) faranno omaggio di 200 “buste rosse” in yuan digitali a 100.000 consumatori selezionati tramite una lotteria. Quella di Suzhou è la seconda lotteria digitale di questo tipo: la PBOC ha infatti recentemente emesso 10 milioni di yuan di valuta digitale a 50.000 consumatori selezionati a caso anche nella città di Shenzhen. ll governatore della PBOC Yi Gang ha dichiarato il mese scorso che più di 2 miliardi di yuan digitali sono stati spesi finora, in un totale di 4 milioni di transazioni. Lo yuan digitale cinese è una delle iniziative di valuta digitale più avanzate al mondo, dopo che le altre valute digitali private, come Bitcoin e Libra di Facebook, sono state duramente boicottate dai regolatori internazionali. [fonte Reuters]
Mar Cinese Meridionale: le roccaforti cinesi sono davvero inespugnabili?
Dal 2015 la Cina sta trasformando le barriere coralline e gli atolli che occupa nell’arcipelago conteso delle Spratly in isole artificiali dotate di piste di atterraggio ed altre strutture militari, posizionando inoltre attrezzature militari come cannoni antiaerei e sistemi d’arma ravvicinati per aumentare il proprio controllo militare e strategico nel Mar Cinese Meridionale. Tuttavia, un articolo apparso nell’ultima edizione della rivista cinese Naval and Merchant Ships, ha evidenziato come queste isole artificiali, di cruciale importanza per salvaguardare la sovranità cinese e mantenere una presenza militare nella regione, presenterebbero alcune importanti lacune difensive dovute a quattro caratteristiche principali: la loro distanza dalla terraferma, le dimensioni ridotte, la capacità limitata delle loro piste di atterraggio e le molteplici rotte dalle quali potrebbero essere attaccate. L’articolo prende come esempio Fiery Cross Reef che, seppur fornito di pista d’atterraggio, dista 1.000 km dalla città cinese più vicina, Sanya nella provincia di Hainan: tale distanza implica che le navi di supporto al combattimento più veloci della Cina avrebbero bisogno di più di 20 ore per raggiungere l’isola. Inoltre, le isole sarebbero troppo lontane anche per schierare efficacemente i J-16, i cacciabombardieri più avanzati della Cina: i caccia non solo non potrebbero pattugliare l’area a causa della distanza, ma potrebbero essere facilmente intercettati o attaccati dalle navi nemiche di stanza nel Mar Cinese Meridionale. Secondo la rivista, in caso di conflitto, le strutture attualmente presenti sulle isole artificiali cinesi non sarebbero poi in grado di ospitare più di un aereo, e anche se un velivolo fosse perennemente stanziato sulla pista, ciò impedirebbe ad altri velivoli di utilizzarla, fattore problematico in un contesto geografico come quello del Mar Cinese Meridionale, che richiede un’ampia reattività nel dispiegamento delle forze in caso di conflitto. La rivista ha infine affermato che le isole artificiali sarebbero troppo piccole per sopravvivere a gravi attacchi, principalmente poiché sono piatte e dotate di scarsa vegetazione e protezioni rocciose naturali: in caso di attacco, l’esercito cinese dovrebbe costruire rifugi difensivi con materiali trasportati dalla Cina continentale, non potendo resistere non solo agli attacchi missilistici prolungati,ma anche dagli attacchi navali provenienti dalle località vicine – come l’isola filippina di Palawan, a est delle Spratlys, o dallo Stretto di Malacca. [fonte SCMP]
Vienna: porta d’accesso all’Europa per le spie nordcoreane
Il servizio di intelligence austriaco ha recentemente rilevato una crescente attività da parte delle spie nordcoreane nella sua capitale Vienna. La Corea del Nord, in particolare a causa della crescente pressione finanziaria derivante dalla contrazione del commercio con la Cina e alle dure sanzioni economiche imposte dalla comunità internazionale in relazione al suo programma nucleare, ha fatto di Vienna il centro operativo più importante del suo regime in Europa, con fonti che vorrebbero almeno 10 spie nordcoreane attualmente in azione a Vienna, incaricate non solo di svolgere attività illegali di contrabbando e di raccogliere informazioni, ma anche di supervisionare il personale diplomatico di Pyongyang. La capitale austriaca è un ritrovo preferito dalle spie per le alle sue reti commerciali, e alle varie organizzazioni internazionali che vi hanno sede. L’ex capitale imperiale è da sempre stata un punto chiave per il contrabbando nordcoreano, attività illegale che consentirebbe alla famiglia Kim di ottenere i beni necessari per sviluppare il proprio programma nucleare, acquistare armi, beni di lusso e generare così una cospicua entrata economica atta a risollevare la sua economia in difficoltà. Secondo alcuni esperti, se il neoeletto presidente degli Stati Uniti, Biden, farà meglio del suo predecessore nel dirigere le negoziazioni sul nucleare nordcoreano attraverso l’AIEA, l’organismo delle Nazioni Unite responsabile della supervisione nucleare con sede a Vienna, la capitale austriaca aumenterà la sua importanza strategica sia negli occhi di Pyongyang che in quelli delle potenze occidentali. [fonte Bloomberg]
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.