Venerdì scorso migliaia di delegati cinesi hanno applaudito quando il premier Li Keqiang ha annunciato nella Sala Grande di Pechino che il paese agirà con forza sul cambiamento climatico, mirando ad aumentare l’uso delle energie rinnovabili entro il 2025. Tuttavia, se si parla di emissioni di gas serra – la metrica chiave che determinerà se il mondo frenerà un aumento della temperatura globale – secondo molti esperti gli obiettivi del nuovo piano quinquennale sono stati deludenti. Pechino non ha infatti fissato un obiettivo chiaro per le emissioni, né ha anticipato la data in cui si aspetta che raggiungano il picco, attualmente prevista per il 2030. L’unico obiettivo dichiarato – ovvero ridurre le emissioni per unità di prodotto interno lordo del 18% in cinque anni – è lo stesso già presente nel piano stilato nel 2016. Il nuovo piano quinquennale è l’ultimo segnale che la Cina sta impiegando un approccio a due velocità per affrontare il cambiamento climatico. Mentre a breve termine offre miglioramenti incrementali, come la riduzione dell’intensità delle emissioni, a lungo termine Pechino riserverà più fondi per la ricerca in tecnologie come l’idrogeno e lo stoccaggio delle batterie che spera consentiranno alla nazione in seguito di accelerare gli sforzi per raggiungere il suo obiettivo del 2060. Questo inizio lento sembra suggerire che il governo ha bisogno di ripristinare una crescita economica costante mentre gran parte del pianeta rimane nella morsa della pandemia, per permettere di preservare l’ordine sociale e continuare a ridurre la povertà nel paese. L’incertezza sulla rapidità con cui ciò può accadere si riflette nel piano, che, per la prima volta nella storia recente, non include un obiettivo numerico quinquennale per la crescita del PIL. Inoltre, il nuovo piano quinquennale sembra mancare di impegno sulla riduzione dell’uso di combustibili fossili: sebbene premier Li Keqiang abbia dichiarato che la Cina continuerà a promuovere l’uso pulito ed efficiente del carburante nei prossimi cinque anni, il principale gruppo industriale del settore fossile in Cina ha affermato che il consumo sarà probabilmente leggermente superiore nel 2025 rispetto al 2020, con l’obiettivo di continuare a migliorare la sicurezza energetica, preoccupazione fondamentale per la Cina, più grande importatore mondiale di combustibili. Accanto a modesti obiettivi nel settore dei combustibili fossi, il nuovo piano quinquennale di Pechino cita ulteriori target energetici e climatici, come ridurre il consumo di energia e le emissioni di carbonio per unità di PIL rispettivamente del 13,5% e del 18% ed aumentare la capacità di produzione di energia nucleare a 70 gigawatt – da quasi 50 GW alla fine del 2020. Altri obiettivi potrebbero essere aggiunti entro la fine dell’anno, in quanto il governo cinese dovrebbe rilasciare un ulteriore piano quinquennale ad hoc per il settore energetico. Il premier Li Keqiang ha inoltre promesso la pubblicazione di un piano di lavoro per mostrare come la Cina mira a raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030. [fonte Bloomberg]
La “Cina digitale”: nuove normative per i dati personali
La “Cina digitale” è stato uno dei temi principali del più grande raduno politico annuale della Cina, conosciuto come “Due Sessioni”. A questo proposito, il premier cinese Li Keqiang ha sottolineato nel suo rapporto di lavoro al Congresso nazionale del popolo (NPC) la necessità di uno “sviluppo guidato dall’innovazione”, che prevede un ruolo centrale di due atti legislativi fondamentali per Pechino: la legge sulla protezione dei dati personali e la legge sulla sicurezza dei dati, entrambe basate sul quadro esistente istituito dalla legge sulla sicurezza informatica. La legge sulla protezione delle informazioni personali si concentra sulla protezione della privacy personale, mentre quella sulla sicurezza dei dati mira maggiormente a proteggere la sicurezza nazionale, stabilendo regole sui mercati dei dati personali e su come il governo raccoglie e gestisce tali informazioni. Nel nuovo piano, la Cina mira ad aumentare il valore aggiunto nell’economia digitale al 10% del prodotto interno lordo entro il 2025, partendo dal 7,8% nel 2020. Ulteriore attenzione sarà data anche alla promozione di nuove industrie digitali, tra cui intelligenza artificiale, big data, blockchain e cloud computing, oltre che all’ espansione dell’uso delle tecnologie 5G a più settori come i trasporti intelligenti e la logistica. Il nuovo piano quinquennale incoraggia specificamente le aziende a condividere dati da servizi di ricerca, e-commerce e social media per lo sviluppo di una piattaforma di big data di terze parti. Nel 2019, l’economia digitale cinese è stata valutata a 5,2 trilioni di yuan (803,4 miliardi di dollari), la seconda più grande economia digitale al mondo, rappresentando il 36% del prodotto nazionale lordo della Cina, secondo una stima della China Academy of Information and Communications Technology. Pur cercando di aumentare la digitalizzazione, il 14 ° piano quinquennale stringerà il controllo delle piattaforme Internet, continuando un giro di vite del governo sulle pratiche monopolistiche e sulla concorrenza sleale. Questo maggiore controllo normativo da parte del governo centrale sui Big Tech arriverà in concomitanza con l’esplorazione – da parte di Pechino – di nuovi quadri legali e regole etiche nei campi della guida autonoma, dei servizi sanitari online, della tecnologia finanziaria e della consegna intelligente. [fonte SCMP]
“Nomadland” di Chloe Zhao censurato in Cina
“Nomadland” di Chloe Zhao è stato censurato silenziosamente dal web cinese venerdì scorso, acuni giorni dopo che una polemica nazionalista è esplosa online riguardo questioni legate alla cittadinanza della direttrice, in relazione ad una frase che aveva pronunciato a una rivista americana quasi dieci anni fa.L’improvvisa censura online sembra far presagire che l’uscita nelle sale del dramma interpretato da Frances McDormand è in pericolo – anche se all’inizio della settimana i media statali ufficiali avevano festeggiato la vittoria di Zhao ai Golden Globe come ragione di orgoglio per la Cina. Il film ha ottenuto l’approvazione per un’uscita nelle sale il 23 aprile tramite la National Arthouse Alliance of Cinemas (NAAC).Il dibattito sul web è stato alimentato da un’intervista rilasciata da Zhao nel 2013. In essa, la regista, nata a Pechino ma cresciuta negli Stati Uniti, ha spiegato di essere stata attratta dalle tematiche americane a causa della sua educazione in Cina, ” un luogo dove ci sono bugie dappertutto”. La rivista ha cancellato la sezione contenente l’intervista già a metà febbraio, giorni prima che fosse annunciata la data di uscita di Nomadland in Cina, ma ciò non è bastato ad arrestare la censura cinese: ad oggi, una ricerca Weibo per l’hashtag “#Nomadland” restituisce il messaggio che l’argomento viola le leggi, i regolamenti e politiche della Cina e, da venerdì scorso, i poster promozionali del film sono scomparsi da Douban già dalle prime ore del mattino. La data di uscita inizialmente indicata è inoltre improvvisamente scomparsa ed anche le ricerche degli hashtag “#Nomadland” e “#Nomadland Release Date” su Weibo attualmente restituiscono un messaggio di errore. Un segnale più preoccupante per le prospettive di incassi del film sul suolo cinese è arrivato infine delle principali biglietterie online cinesi, Maoyan e Tao Piaopiao, che si sono mosse per rimuovere la data di uscita del film dai loro elenchi. Mentre la NAAC non ha ancora risposto alla richiesta di chiarimenti riguardo alla data di rilascio del film, alcune fonti indicano, tuttavia, che vi siano ancora speranze per il rilascio di Nomadland nelle sale cinesi, e che il silenzio possa essere semplicemente una decisione dei produttori di mantenere un basso profilo promozionale. Mentre si attendono notizie ufficiali, su Douban gli utenti che discutono della censura si sono lamentati del fatto che l’arte di Zhao fosse stata politicizzata a tal punto da non concedere alcuno spazio alle critiche cinematografiche sulla pellicola. [fonte Variety]
Huawei perde terreno nel mercato mobile internazionale
Secondo quanto affermato da una ricerca del gruppo Dell’Oro, nel 2020 Huawei Technologies Co. avrebbe perso terreno contro i rivali occidentali Nokia ed Ericsson nei mercati delle apparecchiature cellulari fuori dalla Cina, marcando un chiaro segnale del fatto che la campagna statunitense per frenare il produttore cinese sta iniziando ad avere un impatto sul mercato globale. La quota di fatturato di Huawei derivante dalla vendita di apparecchiature wireless in tutto il mondo, Cina esclusa, è diminuita di 2 punti percentuali, fermandosi a circa il 20% nel 2020. Huawei è rimasta al terzo posto dietro ai rivali Ericsson e Nokia, che hanno consolidato le proprie quote di mercato “ex Cina” rispettivamente intorno al 35% e 25%. Huawei alla fine dello scorso anno ha inoltre perso il titolo di più grande produttore di smartphone al mondo, scendendo al quinto posto sotto il peso della pressione degli Stati Uniti. Lo stesso fondatore di Huawei, Ren Zhengfen, ha affermato in un discorso ai dipendenti che le entrate e i profitti di Huawei sono aumentati nonostante le sue sfide, sottolineando però la necessità di abbandonare “alcuni paesi, alcuni clienti, alcuni prodotti e alcuni scenari”. Includendo le vendite cinesi, Huawei rimane il più grande fornitore di apparecchiature wireless al mondo e la sua quota globale è cresciuta lo scorso anno, poiché nel 2020 la Cina è diventata il più grande mercato del settore, eclissando gli USA con un valore di 35 miliardi di dollari. Al di fuori della Cina, tuttavia, Washington sta consolidando i suoi sforzi per limitare le possibilità di Huawei per fornire attrezzature 5G agli alleati occidentali: le nazioni che hanno emanato o stanno prendendo in considerazione tali restrizioni – tra cui Australia, Regno Unito e molti altri paesi europei – comprendono oltre il 60% del mercato mondiale delle apparecchiature cellulari e più di 25 fornitori di telecomunicazioni europei sono passati da Huawei a un altro fornitore negli ultimi anni. La posizione statunitense sembrerebbe immutata anche sotto la nuova amministrazione Biden, che ha affermato che considera Huawei una minaccia alla sicurezza e che lavorerà con gli alleati per proteggere le loro reti di telecomunicazioni. Mentre alcuni importanti mercati esteri, in particolare la Germania, rimangono aperti a Huawei, in Cina le vendite di Huawei sono aumentate. La società ha fornito la metà di tutti gli ordini di apparecchiature 5G in Cina lo scorso anno, con la rivale cinese ZTE Corp. che si è piazzata al secondo posto con il 29% delle quote di mercato, secondo un’analisi di Jefferies. [fonte WSJ]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.