A poco più di un anno dalla firma dell’accordo sulle nomine vescovili, di ritorno dalla sua ultima missione asiatica, il Papa ha volto lo sguardo alla Cina auspicando un giorno di poter visitare Pechino. Ma il tempismo è quantomai controverso, sopratutto considerato il silenzio mantenuto fino a pochi giorni fa sui fatti di Hong Kong. Durante il volo Tokyo-Roma, nella giornata di martedì, il pontefice ha dichiarato che “non c’è solo Hong Kong, ci sono varie situazioni problematiche che al momento non sono in grado di valutare. Rispetto la pace e chiedo la pace per tutti questi paesi che hanno problemi, anche la Spagna “, ha affermato aggiungendo che “è meglio mettere le cose in prospettiva e chiedere il dialogo, la pace, in modo che i problemi possano essere risolti. E infine, mi piacerebbe andare a Pechino, amo la Cina.” Apprezzando la discrezione, il ministero degli Esteri cinese ha risposto rinnovando la determinazione del governo comunista a migliorare le relazioni bilaterali “con sincerità e positività”. Ma dietro il linguaggio felpato della diplomazia si nascondono ancora tante incognite per i rapporti tra la Santa Sede e il gigante asiatico. Pochi giorni fa l’agenzia di stampa Asia News ha condannato la persecuzione del Mons. Vincenzo Guo Xijin, vescovo sotterraneo ausiliare di Mindong, “braccato di continuo dalle forze della pubblica sicurezza che lo vuole costringere a firmare l’adesione all’ideale di una ‘Chiesa indipendente'”. Il caso ha la sua rilevanza se si considera che la diocesi di Mindong doveva fungere da “progetto pilota” per l’attuazione dell’accordo sino-vaticano. In precedenza, Guo era il vescovo ordinario della diocesi, riconosciuto dalla Santa Sede ma non dal governo. [fonte: SCMP, Asia News]
Una nuova liaison tra Pechino e i tycoon di Hong Kong?
La recente vittoria dei pan-democratici alle elezioni amministrative potrebbe costringere Pechino a cercare appoggio nella lobby del mattone. In passato, il governo cinese si è avvalso del supporto degli immobiliaristi – che controllano anche settori chiave come le telecomunicazioni e le public utilities – per assicurare la stabilita economica e finanziaria di Hong Kong, in cambio dell’accesso al mercato continentale. Le proteste anti-establishment tuttavia hanno portato a galla malumori popolari in gran parte attribuibili ai costi stratosferici delle abitazioni. Negli ultimi mesi, sui media statali non sono mancati commenti velenosi sulla cecità dei tycoon locali (primo tra tutti l’ex uomo più ricco d’Asia Li Ka-shing) davanti alle difficoltà dei cittadini. Secondo gli analisti, le cose potrebbero cambiare in previsione delle prossime elezioni per il leader locale, la cui nomina spetta a una commissione ristretta composta in buona parte da imprenditori (46 su 96 legati al real estate) e rappresentanti dei consigli distrettuali, ora controllati dagli democratici. [fonte: SCMP]
Gli affari occulti di Tik Tok e Huawei nel Xinjiang
Mentre infuriano ancora le polemiche sul caso Feroza Aziz, la ragazza musulmana censurata da Tik Tok per i suoi video pro-uiguri, uno studio dell’Australian Strategic Policy Institute traccia legami diretti tra Douyin, la versione cinese di Tik Tok, e Huawei, il colosso delle telecomunicazioni sanzionato dagli Stati uniti per la sua vicinanza al partito comunista. Secondo il report, ByteDance avrebbe stretto accordi tanto con la divisione digitale della polizia del Xinjiang quanto con il Ministero della Sicurezza pubblica per creare un “nuovo modello di sicurezza e governance sociale di Internet” e promuovere “l’influenza e la credibilità” della forza pubblica a livello nazionale. L’azienda avrebbe inoltre aiutato le autorità locali a migliorare l’immagine delle aree dove la repressione musulmana è stata più violenta. Accuse simili per Huawei, la cui tecnologia è stata messa al servizio dell’invasivo sistema di sorveglianza sociale dispiegato nella regione autonoma. Lo scorso anno, la compagnia ha affiancato il dipartimento di pubblica Sicurezza locale nell’istituzione a Urumqi di un laboratorio per l’innovazione “dell’industria della sicurezza intelligente”. Secondo l’ASPI, la cooperazione tra i giganti del tech e il governo cinese ignora i principi base della privacy e della tutela delle libertà individuali. [fonte: WaPo]
Il Venezuela ricorre allo yuan per aggirare le sanzioni americane
Il Venezuela ha intenzione di ripagare fornitori e contractor cinesi in renminbi attraverso conti aperti oltre Muraglia dalla banca centrale e dalla compagnia petrolifera PDVSA una decina di anni fa. In passato, gli enti pubblici venezuelani hanno retribuito i partner prevalentemente nella valuta locale, il bolivar, o in dollari. Ma l’iperinflazione e le sanzioni statunitensi – che precludono l’accesso al sistema finanziario americano – stanno spingendo Caracas verso altre soluzioni. L’offerta in yuan arriva a stretto giro da un pagamento in euro contanti immessi dall’autorità monetaria nel sistema interbancario. Dal 2007 a oggi, Pechino ha concesso almeno 50 miliardi di prestiti in cambio di petrolio venezuelano, di questi circa 700 milioni sarebbero in valuta cinese. Ma da quando le sanzioni americane hanno messo gli interessi di Pechino a rischio, le importazioni di greggio verso la Cina (secondo proiezioni di esperti) sono precipitate a quota zero lo scorso mese [fonte: Reuters]
Più del 13% delle banche cinese è ad alto rischio
Oltre il 13% delle banche cinesi è da considerarsi ad “alto rischio”. Lo ha dichiarato la banca centrale cinese rilasciando il suo rapporto annuale sulla stabilità finanziaria del paese. La categoria comprende ben 586 banche e istituti finanziari, perlopiù piccole imprese rurali. Numeri in crescita rispetto al 2018, quando a finire nella lista nera è stato solo il 10%. Dall’inizio dell’anno, Pechino è stato costretto a intervenire diverse volte a partire dal salvataggio della Baoshang Bank, il primo in 18 anni. [fonte: Bloomberg]
Sposarsi per ottenere una targa
Sono sempre di più i cinesi di Pechino a rivolgersi ad agenzie specializzate nell’organizzazione di matrimoni finti per aggirare i limiti sull’emissione delle targhe automobilistiche. Nel 2011, per combattere traffico e inquinamento, la capitale ha deciso di centellinare l’assegnazione delle targhe attraverso una lotteria. Con il risultato che oggi ci sono 2600 richieste per ogni targa emessa. Ecco perché c’è chi sta ricorrendo a matrimoni falsi per poter intestare a proprio nome la targa del presunto coniuge. Il tutto per cifre che spaziano dai 160.000 yuan (22.700 dollari) per le targhe utilizzabili su automobili a benzina ai 110.000 yuan per quelle elettriche. L’operazione, che richiede appena una ventina di giorni, si conclude regolarmente in divorzio (compreso nel prezzo) una volta ottenuto lo scopo. Ma non sempre finisce tutto come da programma…[fonte: SCMP]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.