Capitalismo di stato vs libero mercato al G20
Il G20 potrebbe diventare nuovo terreno di scontro tra la Cina e la comunità internazionale: la querelle è emersa venerdì scorso quando il Business 20, gruppo consultivo che rappresenta il settore privato all’interno del G20, ha chiuso il suo ottavo incontro annuale dichiarando guerra alle distorsioni causate dall’intervento statale sui mercati. Il comunicato, che verrà discusso a novembre dai leader del gruppo dei 20, ha incontrato le critiche del semigovernativo China Council for the Promotion of International Trade, che ha denunciato la mancanza di un dibattito obiettivo sulla questione, nonostante le riserve mostrate dalla parte cinese. L’episodio segna una rara spaccatura all’interno dell’organizzazione nata dopo la crisi finanziaria internazionale per dar voce alle economie emergenti. Senza citare la Cina, il B20 si è fatto promotore di “una significativa diminuzione, limitazione e / o completa eliminazione delle politiche che prevedono un trattamento preferenziale per le aziende di stato”. Quello delle SOEs è un argomento particolarmente d’attualità oltre la Muraglia, dove la guerra tariffaria con gli Stati Uniti ha aperto un dibattito all’interno della dirigenza sulla necessità di raggiungere l”autosussistenza in quei settori compresi nel piano “made in china 2025”, dove le società di stato impazzano. E c’è anche chi ha auspicato la messa in soffitta del settore privato.
La lotta all’evasione fiscale colpisce il soft power cinese
Il caso di Fan Bingbing, l’attrice trattenuta per due mesi in segreto e accusata di evasione fiscale, ha aperto un vaso di Pandora nel settore cinematografico e non solo. Nel Jiangsu, la provincia dove l’attrice ha il suo studio, la State Administration of Taxation ha chiesto tolleranza zero per i responsabile di “cattiva gestione”, facendo i nomi di almeno cinque funzionari dell’ufficio fiscale della città di Wuxi sottoposti a rimproveri o rimossi dai loro incarichi. Quello di Fan è solo l’episodio più eclatante di un problema endemico e arriva proprio mentre le autorità cinesi si preparano a riformare le politiche fiscali e il sistema di riscossione delle imposte. Nella giornata di lunedì, l’authority del settore ha lanciato una campagna di “autoispezione” per società e persone fisiche operanti nell’industria dell’entartainment promettendo l’esenzione o una riduzione delle sanzioni amministrative per chi pagherà quanto evaso dal 2016 entro febbraio. Ma il ritorno alla legalità ha un prezzo: secondo gli esperti la “caccia alle streghe” ha già sospeso gran parte delle produzioni “made in China” con il rischio di una paralisi dell’industria cinematografica nazionale, quella su cui Pechino punta di più per rilanciare il soft power cinese.
La digitalizzazione e le due Cine
La diffusione disomogenea di benessere e tecnologia sta portando alla formazione di due Cine: una benestante, urbana e informatizzata; l’altra rurale, arretrata e disinformata. Secondo un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, dal 1990 a oggi, la disuguaglianza di reddito ha registrato un aumento in Cina più che in qualsiasi altra regione in via di sviluppo. Tra le concause spiccano la mancanza di opportunità educative nella campagne e uno scarso livello di digitalizzazione. Infatti, sebbene il gigante asiatico conti ben oltre 800 milioni di internauti, due cinesi su cinque non hanno accesso alla rete e il 42.3 di questi subisce la forma più stringente di censura.
Il clima nuovo terreno di scontro tra Cina e Usa
Quello del clima promette di essere un ulteriore campo di battaglia tra Cina e Stati Uniti. Con il governo Trump ormai deciso ad abbandonare gli impegni presi dal suo predecessore nell’accordo di Parigi per limitare l’innalzamento delle temperature entro il 2020, la governance del clima globale passa nelle mani della Cina primo emettitore al mondo. Già nel mese di settembre, all’indomani del meeting delle Nazioni Unite sul Clima di Bangkok, Pechino per voce di Xie Zhenhua, rappresentante speciale per la questione dei cambiamenti climatici, affermava di aver raggiunto un accordo con altri paesi firmatari dell’accordo di Parigi per non arretrare ne rinegoziare gli impegni presi e lanciava una bordata all’America “ l’atteggiamento di alcuni paesi è stato deludente giacché hanno ignorato quel trend irreversibile che è la decarbonizzazione”.