I titoli di oggi:
- Il commercio tra Cina e Russia è cresciuto del 30,4%
- La Cina ratificherà convenzioni dell’ILO sul lavoro forzato
- Hong Kong: Lee pronto ad applicare l’articolo 23
- I giovani cinesi puntano sulla gig economy
- Dopo il default, lo Sri Lanka confida nell’aiuto cinese
- Portaerei americana nel Mar del Giappone per la prima volta dal 2017
Huawei sta abbandonando la Russia? Così sembrerebbe da alcune recenti indiscrezioni circolate su Forbes e il giornale locale Izvestia, secondo cui il colosso di Shenzhen avrebbe proceduto a licenziare parte del personale impiegato presso l’ufficio di Mosca, oltre ad aver sospeso nuovi contratti per la fornitura di apparecchiature di rete agli operatori locali. Alla fine di marzo, Guo Ping, vicepresidente della compagnia, aveva dichiarato che la società stava valutando i rischi per le sue operazioni dopo l’invasione russa e le relative sanzioni internazionali. Ericsson, principale rivale di Huawei, ha sospeso tutte le attività nel paese lunedì scorso. Le apparecchiature del gigante cinese sono presenti in proporzioni consistenti nel 3G e 4G russo. Il protagonismo dell’azienda nel paese era diventato anche maggiore dopo l’annessione della Crimea e l’isolamento di Mosca in Europa. Secondo gli esperti è improbabile che quello di Huawei sia un addio, quanto piuttosto di un disimpegno temporaneo nell’attesa che la situazione si stabilizzi. Secondo un’indagine dell’Università di Yale, fino all’11 aprile erano 43 le società cinesi ad aver dato segni di voler restare nel paese nonostante la guerra. Inclusa Huawei.
Intanto proprio stamattina, le autorità doganali cinesi hanno rilasciato i dati sui commerci con la Russia. Nel primo trimestre del 2022 gli scambi sono aumentati del 30,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il valore complessivo è di 243 miliardi di yuan, contro gli appena 29,5 miliardi delle transazioni intrattenute con l’Ucraina. Secondo Reuters, l’andamento di import ed export si è mantenuto in linea con il passato, riconfermando l’importanza delle forniture russe nei settori energetico e agricolo. Per Bloomberg, tuttavia, la leggera flessione nelle esportazioni cinesi potrebbe segnalare una maggiore cautela.
La Cina ratificherà convenzioni dell’ILO sul lavoro forzato
Pechino ratificherà le convenzioni 1930 e 1957 dell’ILO sul lavoro forzato. Lo hanno dichiarato i media statali lunedì in previsione di una riunione del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo che si terrà la prossima settimana. Il tempismo dell’annuncio non è casuale. Il mese prossimo una delegazione guidata dall’alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet, visiterà lo Xinjiang, dove si ritiene che migliaia di uiguri siano stati sottoposti a varie forme di lavoro coatto nell’ambito del sistema di rieducazione, con cui Pechino vuole contenere il radicalismo islamico.
La ratifica delle due convenzioni era una delle condizioni richieste da Bruxelles al momento della firma dell’accordo bilaterale sugli investimenti Cina-Ue (CAI). Il trattato è stato congelato dal parlamento di Strasburgo dopo l’imposizione di sanzioni incrociate proprio in merito alle violazioni delle libertà personali nella regione autonoma cinese. Da allora i rapporti tra il blocco dei 27 e il gigante asiatico sono diventati glaciali. Il gesto dovrebbe quindi servire a ripristinare un clima favorevole e superare l’empasse. Il condizionale è d’obbligo perché le voci che arrivano da Bruxelles sono tutt’altro che concilianti. Secondo il SCMP, infatti, l’Ue starebbe studiando con gli Stati uniti l’applicabilità alla Cina di sanzioni analoghe a quelle comminate alla Russia. Pechino non sembra sul punto di invadere Taiwan. Ma l’eventualità di una guerra nello Stretto continua a impensierire le cancellerie occidentali.
Hong Kong: Lee pronto ad applicare l’articolo 23
John Lee, l’ex capo della polizia di Hong Kong, si è aggiudicato 786 voti, ben più delle 188 preferenze necessarie per presentare la candidatura ufficiale alle prossime elezioni. Le prime dall’introduzione del meccanismo di screening che permette la vittoria ai soli patrioti. Per il momento Lee, sostenuto da Pechino per il suo expertise nella sicurezza, gareggia per il posto di chief executive senza sfidanti. Una sua nomina – come ammesso ieri – spianerebbe la strada all’applicazione del famigerato articolo 23 della Basic Law, che richiede al governo locale di emanare leggi per vietare qualsiasi atto di tradimento, secessione, sedizione o sovversione contro il governo centrale. Con l’inizio della pandemia e la fine delle proteste pro-democrazia, Hong Kong sembrava non essere più una priorità per l’Occidente. Le cose sono cambiate dopo gli arresti di massa dell’ultimo anno. Per la seconda volta in una settimana nella giornata di ieri il Dipartimento di Stato americano ha rilasciato un comunicato molto critico sulla situazione nell’ex colonia britannica. Il rapporto sostiene che gli hongkonghesi hanno perso la capacità di “cambiare pacificamente il loro governo attraverso elezioni libere ed eque”.
I giovani cinesi puntano sulla gig economy
Quest’anno saranno 10,76 milioni gli studenti cinesi ad affacciarsi sul mercato del lavoro, 1,67 milioni in più rispetto allo scorso anno. Le prospettive non sono delle migliori: impieghi un tempo ambiti, nell’immobiliare e nel settore tecnologico, dopo un anno di ferrea regolamentazione, non sono più in grado di offrire un futuro brillante come in passato. Secondo un sondaggio del 2021 condotto dal sito di reclutamento 51job.com, il 39% degli studenti delle migliori università cinesi preferisce ormai cercare lavoro nelle imprese statali, segno di come la stabilità sia un requisito molto apprezzato. Ma non l’unico. Sono infatti sempre di più i giovani a preferire occupazioni elastiche che permettono di avere più tempo libero. D’altronde la gig economy si è arricchita professioni stravaganti e ben remunerate: creatore di avatar, assistente allo shopping e operatore di hotline contro l’insonnia sono alcuni degli impieghi più popolari. Secondo un rapporto di Ali Research, entro il 2036, in Cina, la gig economy attirerà circa 400 milioni di liberi professionisti.
Dopo il default, lo Sri Lanka confida nell’aiuto cinese
Dopo mesi di crisi economica, lo Sri Lanka ieri ha ufficializzato il default. Il governo di Colombo ha sospeso i pagamenti del debito estero, che ammonta a 51 miliardi di dollari, dopo averne dichiarato l’insolvenza. Una decisione estrema che dovrebbe permettere al paese insulare di preservare le magre riserve in valuta estera per continuare a importare beni essenziali. La sospensione dei rimborsi a obbligazionisti, creditori bilaterali e prestatori istituzionali è prevista fino a quando non verrà approvata una ristrutturazione del debito. Il governo di Mahinda Rajapaksa è in contatto con il Fmi per un piano di salvataggio. Non sono buone notizie per la Cina, che detiene il 10% del debito srilankese. Poco prima dell’annuncio, nella giornata di ieri, l’ambasciatore in Cina Palitha Kohona aveva dichiarato di confidare nell’erogazione di nuovi finanziamenti cinesi per 2,5 miliardi di dollari.
Portaerei americana nel Mar del Giappone per la prima volta dal 2017
Per la prima volta dal 2017, una portaerei americana sta scorrazzando nel Mar del Giappone, a est della penisola coreana. La flottiglia, guidata dall’Abramo Lincoln, quinta unità della classe Nimitz, rimarrà nel tratto di mare per cinque giorni. Il tempismo è indicativo: a breve la Corea del Nord celebrerà una serie di anniversari, tra cui i 90 anni dalla fondazione dell’esercito e 110 anni dalla nascita del presidente eterno Kim Il-sung. Nel Regno eremita le date importanti vengono di solito festeggiate con parate militari, ma anche con provocazioni belliciste. Dopo la ripresa dei recenti lanci missilistici, gli esperti non escludono infatti che Pyongyang possa tentare un nuovo test nucleare. Lo suggeriscono movimenti insoliti presso il sito di Punggye-ri, smantellato nel 2018 per facilitare i negoziati con l’amministrazione Trump.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.