Pechino sta strumentalizzando i visti come arma di ritorsione contro i giornalisti “come mai prima d’ora”. E’ l’accusa contenuta nel report annuale del Foreign Correspondents’ Club of China pubblicato a pochi giorni dall’espulsione di tre giornalisti del Wall Street Journal. Secondo il rapporto, almeno 12 corrispondenti hanno ricevuto credenziali valide per sei mesi o anche meno, più del doppio dell’anno precedente. Due sono invece i giornalisti ad aver ricevuto visti per solo un mese dall’inizio del 2020. Segno che potrebbero presto essere allontanati a loro volta. L’indagine rivela inoltre che nel corso dello scorso anno la maggior parte dei giornalisti intervistati – l’82% – ha subito interferenze durante l’esercizio della professione, incluse molestie o violenze. Tutti gli episodi sembrano mettere in luce piuttosto inequivocabilmente le intenzioni intimidatorie delle autorità. Gli ultimi reporter allontanati o a cui è stato negato il rinnovo del visto avevano trattato argomenti sensibili, dagli affari della famiglia di Xi Jinping alle politiche etniche dello Xinjiang. Nel caso dei giornalisti del WSJ, l’espulsione è stata ufficialmente collegata alla pubblicazione di un articolo dal titolo “razzista”. Nessuno dei tre corrispondenti aveva avuto alcun ruolo nella stesura del pezzo. [fonte: FCCC REPORT]
Pechino bandisce contenuti negativi e illegali dal web
Da sabato il web cinese è soggetto a regole più ferree. Approvate alla fine dello scorso anno, le misure lanciate dalla Cyberspace Administration incoraggiano i contenuti “positivi” escludendo tutto ciò che viene ritenuto “negativo” o “illegale”. Secondo la stampa statale, saranno severamente vietati 11 tipi di contenuti online “impropri”, come rumors e contenuti che violano la Costituzione cinese, danneggiano la sicurezza nazionale, rivelano segreti di stato, insultano eroi nazionali e danneggiano l’unità nazionale. Le misure – che coinvolgono netizen, editori di e-media e piattaforme online – arrivano in un momento particolarmente sensibile.
Secondo il Global Times, “nel tentativo di frenare la diffusione di rumors relativi all’epidemia di coronavirus, la polizia di Pechino ha già indagato e gestito 27 casi punendo 27 trasgressori secondo la legge. Diverse piattaforme tra cui Baidu e Huxiu sono state invitate a correggere la pubblicazione di contenuti impropri sull’epidemia.” Lunedì, su Weibo, il topic “governance dell’ecosistema di notizie online” ha totalizzato 3 milioni di visualizzazioni. Molte delle osservazioni più risentite sono state cancellate. Stando agli esperti, la mancanza di uno standard chiaro per determinare cosa vada considerato copme “negativo” espone gli utenti a possibili abusi. [fonte: Global Times, Guardian]
Coronavirus: mentre Pechino aiuta Tehran, la Russia si protegge
Lo scorso sabato una squadra di esperti cinesi è arrivata a Teheran per aiutare il governo iraniano a combattere il focolaio di coronavirus che, con 46 morti confermate, è finora il più mortale fuori dalla Cina. Secondo le cifre rilasciate dal ministero della Salute iraniano, il numero di casi confermati in Iran è aumentato di oltre il 50% in una sola settimana, mettendo allo scoperto la carenza di forniture mediche ed infrastrutture necessarie per contenere la rapida diffusione malattia. Mentre altre tre squadre mediche cinesi saranno inviate in Iran per combattere il virus, alcune potenze hanno deciso di agire d’anticipo ed operare una stretta politica di chiusure delle frontiere e del traffico aereo per i cittadini provenienti da Cina, Iran e Corea del Sud. È il caso della Russia, che in questa settimana sta ricevendo aspre critiche da parte dei governi di Cina ed Iran che la accusano di praticare politiche migratorie discriminatorie contro i loro cittadini. Infatti, secondo quanto riportato dal South China Morning Post, la Russia avrebbe chiuso i suoi 4300 km di confine terrestre con la Cina già a fine gennaio, negando inoltre ai privati cittadini di Cina e Iran il visto di accesso al paese. L’ambasciata cinese a Mosca ha dichiarato venerdì scorso che le autorità dovrebbero mantenere posizioni “moderate e non discriminatorie” nel trattamento dei cinesi, affermato che l’identificazione e il monitoraggio dei cittadini sulla base della nazionalità anziché dei loro spostamenti sia un trattamento ingiusto. [fonte: SCMP, WSJ]
Coronavirus: leader della setta coreana indagato per omicidio
Domenica scorsa il governo di Seoul ha chiesto ai pubblici ministeri di lanciare un’investigazione per omicidio a carico di Lee Man-hee, il fondatore della chiesa di Shincheonji ed altri 11 membri, accusati di aver nascosto alle autorità i nomi degli adepti affetti da coronavirus. L’accusa avviene in concomitanza con l’accertamento, da parte delle autorità sanitarie, di 3.730 casi e 21 morti per coronavirus, di cui più della metà sarebbero stati contagiati da membri della Chiesa di Shincheonji nella città meridionale di Daegu.Mentre si attendono i risultati dei test medici per il leader Lee Man-hee, le autorità hanno già interrogato tutti i 230.000 membri della setta, di cui ben 9000 manifestavano giù sintomi del COVID-19. Tra gli accusati, vi è anche l’adepta sessantunenne ritenuta la principale responsabile della propagazione del coronavirus a Daigu, poiché si era rifiutata di sottoporsi ai test medici pur di continuare a partecipare alle attività religiose della chiesa di Shincheonji. [fonte: BBC]
Dalla Cina il primo trapianto polmonare doppio per un paziente affetto da COVID-19
Un team medico cinese ha eseguito con successo il primo trapianto polmonare doppio al mondo per un paziente infetto dal virus COVID-19. L’intervento, avvenuto sabato scorso nell’ospedale pubblico di Wuxi, è di grande importanza per la ricerca medica sulle cure per il nuovo coronavirus, in quanto ha definito per la prima volta le condizioni mediche per i pazienti con COVID-19 che devono sottoporsi a un trapianto.L’epidemia di COVID-19 ha portato il governo cinese ad investire massivamente nella ricerca, affinché la Cina si converta rapidamente nel referente scientifico principale per combattere il virus. In quest’ottica, domenica scorsa Pechino ha annunciato che prenderà misure per rimpatriare I cittadini cinesi residenti in paesi ad alto rischio di contagio per poter assicurare loro un adeguato trattamento in patria.Sebbene al momento il portavoce del Ministero degli Esteri cinese non abbia menzionato nessun paese in particolare da cui far cominciare il rimpatrio, articoli pubblicati da alcune riviste vicine al PCC sembrerebbero puntare il dito proprio sull’Italia, la cui gestione dell’epidemia è stata accolta con scetticismo e preoccupazione non solo dalla comunità cinese in Italia ma anche dalla leadership cinese. [fonte: Global Times]
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Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.