L’ambasciata cinese ha invitato il governo birmano a prendere misure adeguate dopo che alcune fabbriche nazionali alla periferia di Yangon sono state prese di mira dai manifestanti birmani durante le sanguinose proteste di domenica. Secondo la stampa statale, 32 fabbriche cinesi nella zona industriale di Hlaingthaya sono state vandalizzate, mentre il bilancio delle vittime degli scontri con le forze dell’ordine è salito ad almeno 38 morti per un totale di oltre 120 dall’inizio della crisi. Sono circa 400.000 i cinesi impiegati dalle aziende tessili nel paese. Secondo il Global Times, gli attacchi “erano apparentemente ben organizzati e pianificati”. “Coloro che diffamano la Cina e istigano attacchi contro le fabbriche cinesi sono nemici comuni della Cina e del Myanmar [e] devono essere severamente puniti”, ha ammonito il tabloid nazionalista. I manifestanti sospettano che i golpisti godano del sostegno politico e logistico di di Pechino, un vecchio amico della giunta militare birmana. Sulla scia dei disordini, il ministero degli Esteri di Taiwan ha invitato le aziende nazionali a esporre la bandiera taiwanese per distinguersi da quelle della Repubblica popolare. Per il momento, solo una compagnia taiwanese è stata coinvolta nelle violenze; 10 dei suoi dipendenti, sebbene al sicuro, sono rimasti intrappolati all’interno dei locali. Intanto, questa mattina si è aperto il processo ad Aung San Suu Kyi. La Signora dovrà rispondere di almeno quattro capi d’imputazione, tra cui spicca l’accusa di aver accettato un pagamento illegale di 600 mila dollari e più di 11 chilogrammi d’oro. [fonte GT Reuters, FT, CGTN]
Accordo UE-Cina: si consolida il vantaggio di Pechino nella guerra dei media
Secondo un’analisi pubblicata da Politico, i testi dell’accordo di investimento UE-Cina pubblicati venerdì scorso mostrano che Pechino ha sfruttato l’opportunità per fissare restrizioni draconiane agli investimenti stranieri nei mezzi di informazione e nell’industria dell’intrattenimento, specificando anche che i programmi stranieri non possono essere mostrati tra le 19:00 e le 22:00 senza autorizzazione speciale e che solo i cartoni animati cinesi possono essere mostrati tra le 17:00 e le 22:00. Sebbene i leader europei insistano spesso sul fatto che l’accordo si basi su principi di “reciprocità” con la Cina, la Commissione europea non sarebbe riuscita a introdurre questa logica nel settore delle notizie e dell’informazione, sebbene però gli investitori cinesi sono ampiamente liberi di acquistare servizi di notizie, emittenti, cinema e imprese cinematografiche nell’UE. Questa disuguaglianza è già realtà: mentre i canali controllati dallo stato cinese come CGTN possono essere trasmessi liberamente in tutta Europa, le emittenti pubbliche dell’UE come DW e France 24 sono accessibili solo negli hotel internazionali. Il mese scorso, la Cina ha inoltre completamente bandito BBC World News dopo che il canale ha pubblicato una serie di rapporti investigativi che descrivono in dettaglio i resoconti della persecuzione dei musulmani uiguri nello Xinjiang, nonché sull’origine del coronavirus. Oltre agli investimenti diretti, la Cina ha anche cercato di costruire legami più forti con alcuni partner europei: nel 2015, Pechino ha firmato un memorandum nell’ambito dell’iniziativa Belt and Road (BRI) che includeva i media spagnoli e olandesi e, nel 2019, l’accordo BRI tra Italia e Cina comprendeva una clausola per “promuovere gli scambi e la cooperazione tra i media”. L’accordo sugli investimenti UE-Cina è stato concordato in linea di principio alla fine dello scorso anno, ma richiede l’approvazione del Parlamento europeo prima di poter entrare in vigore. I documenti pubblicati venerdì garantiscono esplicitamente un “trattamento nazionale” agli investitori cinesi che desiderano acquistare servizi di notizie o agenzie di stampa nella maggior parte dei paesi dell’UE. Solo 11 Stati membri – Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Ungheria, Lituania, Malta, Romania, Polonia, Slovenia e Slovacchia – si sono riservati il diritto di non applicare questa clausola. [fonte Politico]
Semiconduttori: Pechino punta alla qualità riducendo i sussidi
La Cina limiterà le agevolazioni fiscali e gli aiuti statali per le società di semiconduttori. E’ quanto annunciato dal Ministero dell’Industria e dell’Information Technology cinese, che ha presentato venerdì scorso una bozza di riforma. Infatti, sebbene l’aumento degli aiuti per i produttori di chip abbia contribuito ad alimentare una crescita di quasi cinque volte degli investimenti nel settore lo scorso anno, i risultati raggiunti dal settore sarebbero scarsi poiché guidati principalmente da governi locali desiderosi di mostrare i propri risultati. Pechino ora cerca dunque di stabilire standard più severi per gli aiuti di Stato in un settore fondamentale affinchè la Cina possa costruire catene di approvvigionamento autosufficienti. Secondo la bozza, alle società di progettazione di chip sarà richiesto di utilizzare un software di automazione della progettazione elettronica, uno strumento essenziale per la progettazione dei processori, chip di memoria, sensori e altri dispositivi semiconduttori più avanzati. Almeno la metà dei dipendenti dovrà avere una laurea e il personale dei dipartimenti di ricerca e sviluppo dovrà rappresentare almeno il 50% della forza lavoro. I requisiti proposti includono inoltre l’obbligo per le aziende di spendere almeno il 6% del ricavo delle vendite in progetti di R&D, nonché di detenere otto o più brevetti o altri diritti di proprietà intellettuale. Nuove indicazioni sono state indirizzate anche ai fornitori di apparecchiature per la produzione di chip, presso i quali i laureati devono rappresentare almeno il 40% dei dipendenti, mentre il personale dedicato a ricerca e sviluppo rappresenterà minimo il 20%. Condizioni simili saranno imposte alle aziende coinvolte in materiali semiconduttori, imballaggi e test. In attesa di un avviso ufficiale sulla questione – previsto per i prossimi mesi – Pechino prevede che queste misure incoraggeranno gli investimenti nel settore dei chip, che nel 2020 hanno raggiunto i 140 miliardi di yuan (21,5 miliardi di dollari), quasi quintuplicando rispetto all’anno precedente. Circa il 70% del nuovo investimento è andato alla progettazione di chip, mentre i materiali e i dispositivi di produzione hanno rappresentato quasi il 20% del totale. La robusta domanda interna ha aiutato i grandi player cinesi a crescere: un esempio è la Semiconductor Manufacturing International Co., che nel 2020 ha conseguito un utile netto di 716 milioni di dollari, circa il triplo rispetto all’anno precedente, con un aumento delle vendite del 25% per un valore di 3,9 miliardi di dollari. [fonte Nikkei]
USA, India, Giappone e Australia uniti contro la diplomazia dei vaccini cinese
Venerdì scorso il Presidente Joe Biden ed i leader di Australia, India e Giappone -paesi insieme noti come Quad – si sono impegnati durante un vertice virtuale a lavorare per garantire “un Indo-Pacifico libero e aperto” e per cooperare sulla sicurezza marittima, sul cyberspazio e sulla ripresa economica post Covid-19, questioni vitali per superare le sfide poste da Pechino. Riguardo ai vaccini, le potenze hanno annunciato in una dichiarazione congiunta che intendono fornire un miliardo di dosi in tutto l’Indo-Pacifico entro la fine del 2022, in quello che è un chiaro tentativo di contrastare l’influenza della Cina nella regione. Gli Stati Uniti sosterranno la società biofarmaceutica indiana Biological E Ltd nell’aumentare la sua capacità di produzione per produrre almeno un miliardo di dosi entro la fine del 2022, incluso un vaccino sviluppato dalla società statunitense Johnson & Johnson, e si sono impegnati a donare almeno 600 milioni di dollari per sostenere la diffusione dei vaccini in tutto l’Indo-Pacifico. I paesi lavoreranno anche con l’Organizzazione mondiale della sanità prendendo parte alla campagna Covax. Negli ultimi mesi il Sud-est asiatico è stato uno dei principali destinatari delle dosi prodotte dalla Cina, con centinaia di migliaia di donazioni inviate in Cambogia, Laos e Filippine. Thailandia e Indonesia. L’efficacia della diplomazia cinese dei vaccini nella regione asiatica è spiegata soprattutto da fatto che le potenze occidentali si sono inizialmente concentrate sulla vaccinazione dei propri cittadini, lasciando spazio alle donazioni cinesi: infatti, sebbene l’Australia abbia avuto un numero relativamente basso di casi, il Giappone ha concentrato le sue risorse nel garantire che le Olimpiadi vadano avanti quest’anno e gli Stati Uniti hanno avuto più infezioni di qualsiasi altro paese al mondo, con più di 29 milioni di casi. Il vaccino è stato uno dei numerosi argomenti discussi al vertice di venerdì, il primo incontro a livello di leader del Quad. Gli Stati Uniti hanno segnalato che il gruppo giocherà un ruolo chiave nella politica indo-pacifica americana, in un momento di crescente tensione con la Cina su una serie di questioni, dalle relazioni commerciali alle violazioni dei diritti umani ad Hong Kong e nel Xinjiang. L’incontro di venerdì ha coinciso con un’importante spinta diplomatica degli Stati Uniti a consolidare le alleanze in Asia e in Europa per contrastare la Cina: questa settimana, il Segretario di Stato Anthony Blinken e il Segretario alla Difesa Lloyd Austin si recheranno inoltre in Giappone e Corea del Sud. [fonte Reuters SCMP]
Ha collaborato Alessandra Colarizi
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.