In Cina e Asia – H&M boicottata in Cina per lo stop al cotone dello Xinjiang

In Notizie Brevi, Uncategorized by Serena Console

Le tensioni nate in seno alla tutela dei diritti umani della minoranza degli uiguri nello Xinjiang coinvolgono anche la moda. Il colosso svedese dell’abbigliamento H&M è al centro di un boicottaggio in Cina per essersi rifiutata di acquistare il cotone dello Xinjiang: il diniego si presenta in un momento di forte tensione tra Ue e Cina, con Pechino che cerca di rigettare le accuse di genocidio e lavori forzati nella regione a danno delle minoranze musulmane. Già lo scorso anno, il numero due al mondo dell’abbigliamento retail aveva fatto un passo indietro sull’acquisto del cotone proveniente dalla regione nordoccidentale cinese, affidando a un comunicato l’intenzione di interrompere i rapporti lavorativi con le fabbriche tessili dello Xinjiang. H&M ha voluto in questo modo tutelare i diritti umani, non offrendo alla clientela alcun “manufatto proveniente da questa regione”. La decisione dell’industria di abbigliamento è arrivata dopo che un rapporto del think tank dell’Australian Strategic Policy Institute ha indicato H&M come beneficiario di un programma di trasferimento di lavoro forzato. H&M ha affermato che non è una scelta politica, dal momento che il gruppo “sostiene i principi di apertura e trasparenza nella gestione delle catene di fornitura globali, assicurando il rispetto dell’impegno per lo sviluppo sostenibile delineato dalle Linee guida dell’Ocse per una condotta aziendale responsabile”. Il boicottaggio nei confronti dell’azienda svedese, che ha oltre 500 negozi in Cina, si è alimentato anche sui social network cinesi. I commenti più sprezzanti arrivano dalla Lega della Gioventù Comunista che su Weibo, dove ha più di 15 milioni di follower, ha indirizzato alla società svedese un duro attacco: “Diffamare e boicottare il cotone dello Xinjiang sperando di fare soldi con la Cina? Scordatevelo!”. Alcune celebrità cinesi hanno stracciato i contratti con l’azienda svedese, come la k-pop star Victoria Song. Anche l’attore Huang Xuan ha concluso tutti i rapporti d’affari con H&M, poiché si oppone “risolutamente a qualsiasi forma di comportamento che diffami e offenda la Cina e i diritti umani!”. I media nazionali, invece, riferiscono che i prodotti H&M sono stati rimossi dalle principali piattaforme locali di e-commerce, come JD.com, Taobao e Pinduoduo. Ma ci sono aziende cinesi che sostengono la tesi del Partito comunista. Il produttore cinese di abbigliamento sportivo Anta Sports abbandonerà la Better Cotton Initiative (BCI), un’organizzazione di cotone con sede in Svizzera, mentre continuerà a utilizzare il cotone prodotto dalla regione dello Xinjiang. L’annuncio della compagnia è arrivato dopo che la BCI ha deciso di sospendere la licenza del cotone BCI dallo Xinjiang, poiché ritiene difficile conoscere i diversi processi di produzioni. [fonte SCMP Global Times]

La Cina pubblica report sulle violazione dei diritti umani negli Usa

L’uccisione dell’afroamericano George Floyd e le discriminazioni razziali, l’assalto a Capitol Hill, le vittime del Covid-19, i continui disordini sociali, la disuguaglianza sociale e i disordini tra partiti politici. Sono solo alcuni dei recenti episodi accaduti negli Usa e raccolti nel “Rapporto sulla violazione dei diritti umani negli Stati uniti nel 2020” pubblicato ieri dall’Ufficio informazioni del Consiglio di Stato cinese. Il governo cinese, come ogni anno, stila una lista di elementi che dovrebbero sottolineare la violazione dei diritti umani per mano del governo di Washington. Tuttavia, il recente documento viene diffuso dai media e dagli organi statali cinesi per rispondere alle accuse di genocidio che gli Stati uniti hanno mosso recentemente contro la Cina per il trattamento degli uiguri nello Xinjiang. Pechino inoltre ha ritenuto opportuno diffondere un rapporto dell’università di Jinan che presenta, sotto un’ottica diversa, la condizione dei lavoratori uiguri che lavorano nella provincia del Guangdong: dalle interviste e testimonianze raccolte, i ricercatori hanno voluto raccontare il benessere dei membri della minoranza musulmana, allontanando qualsiasi accusa di lavoro forzato diffuse dal “famigerato pseudo studioso anti-cinese Adrian Zenz”, anch’egli colpito dalla sanzioni cinesi. [Xinhua, Global Times]

Toni distesi durante il vertice sul clima tra Pechino e Bruxelles

Le tensioni tra Pechino, Washington e Bruxelles non hanno posto un freno al dialogo sul clima, già oggetto di discussione durante l’animato vertice in Alaska tra Usa e Cina. Pechino ha aperto i lavori virtuali della quinta sessione del Ministerial on Climate Action (MoCA), la ministeriale che ha visto ospiti Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, Huang Runqiu, ministro cinese dell’Ecologia e dell’Ambiente, e Jonathan Wilkinson, ministro canadese dell’Ambiente e dei Cambiamenti climatici. Il vertice annuale, istituito congiuntamente da Ue, Cina e Canada nel 2017 in risposta all’uscita dell’accordo di Parigi di Donald Trump, si è svolto in clima disteso, nonostante le sanzioni che sono state comminate reciprocamente tra Pechino e Bruxelles lunedì scorso. L’incontro di quest’anno ha rappresentato un trampolino di lancio verso la Cop26 del prossimo novembre, concentrando l’interesse sulla riduzione delle emissioni sulla base della cooperazione e solidarietà reciproca. In vista del vertice virtuale, la Cina aveva chiesto di discutere la definizione di nuovi obiettivi climatici per il 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica prima della Cop26, invitando a presentare i piani per sostenere i paesi più poveri che affrontano le conseguenze del cambiamento climatico. I funzionari europei e statunitensi hanno lasciato intendere che l’attenzione della Cina sul tema è condizionata da interessi di natura personale.
Con l’applicazione delle sanzioni tra Ue e Cina, è in bilico l’approvazione del trattato sugli investimenti da parte dell’europarlamento. In segno di protesta, un incontro sul tema è stato annullato all’indomani dell’applicazione delle sanzioni. Ma la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying ha ricordato che l’intesa non è un “regalo” di una parte all’altra, ma un “vantaggio reciproco”. Il Segretario di Stato Usa Antony Blinken conferma invece parzialità, ribadendo che gli Stati Uniti, sebbene vedano la Cina come una minaccia alla sicurezza collettiva, non costringeranno gli alleati a scegliere tra Pechino e Washington. [fonte Politico , AFP Global Times ]

Taiwan aiuta i paesi alleati ad acquistare i vaccini

Anche Taiwan, nel suo piccolo, avvia una diplomazia dei vaccini. Il governo di Taipei aiuterà i suoi pochi alleati diplomatici ad acquistare i vaccini contro la Covid-19. A una sola condizione però. I fondi concessi non devono essere utilizzati per comprare vaccini cinesi. L’”isola ribelle” ha legami formali solamente con 15 paesi in tutto il mondo, per lo più stati poveri o in via di sviluppo in America Latina, Caraibi e Pacifico. Già dalla scorsa settimana, Taiwan si è mobilitata per aiutare il Paraguay ad acquistare i vaccini Covid-19, nonostante le pressioni esercitate dalla Cina. Sebbene il governo di Taipei abbia fornito mascherine e altre attrezzature ad altri paesi per controllare la pandemia, ha iniziato il suo programma di vaccini solo questa settimana. [fonte Reuters ]

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