Michael Spavor e Michael Kovrig sono stati rilasciati su cauzione per motivi di salute. Lo riferiscono fonti del Global Times, secondo le quali prima della liberazione i due canadesi avrebbero sottoscritto di proprio pugno una dichiarazione di colpevolezza. L’accusa formale che ha portato all’arresto dei due Michael nel 2018 (solo pochi giorni dopo il fermo della Cfo di Huawei, Meng Wanzhou) è spionaggio. Spavor era stato condannato a 11 anni di reclusione lo scorso mese, incastrato da prove che il giornale nazionalista ritiene inconfutabili: foto di arerei militari cinesi considerate segreti di Stato di secondo livello. Attribuendo il rilascio a motivazioni di salute, Pechino sembra voler negare ancora una volta la tesi dello scambio di “ostaggi”, come suggeriscono le tempistiche del rimpatrio dei tre arrestati. Intanto dagli Stati uniti cominciano ad arrivare le prime indiscrezioni sul dietro le quinte dell’accordo per lo scambio degli “ostaggi”. Secondo il WSJ, le trattative con il governo cinese sarebbero un’iniziativa del dipartimento di Stato, che ha agito senza il coinvolgimento della Casa Bianca. Se così fosse, sembra più difficile che l’epilogo del caso stia a indicare un ripensamento radicale della “China policy” di Biden. [fonte GT, WSJ]
World Internet Conference: i big tech abbracciano pubblicamente la “prosperità comune”
Si è tenuta domenica l’ottava edizione della World Internet Conference (WIC) di Wuzhen, l’immancabile appuntamento che dal dal 2014 riunisce nella nota watertown cinese alcuni dei nomi più noti del tech cinese e internazionale. Lanciato per sponsorizzare a livello globale la visione cinese di cybersicurezza, quest’anno l’evento si è svolto in un clima non dei più distesi. Negli ultimi mesi, alcune delle aziende private che vi hanno preso parte sono state sottoposte a indagini antitrust e controlli sull’utilizzo dei dati. Non è quindi un caso che il tenore delle dichiarazioni rilasciate durante l’incontro sia stato perfettamente in linea con la l’indirizzo politico introdotto dalla leadership nell’ultimo anno. “Le società di piattaforme dovrebbero mobilitarsi per aiutare a risolvere le principali preoccupazioni delle persone e del governo in merito alla gestione aziendale, alla protezione della privacy degli utenti e alla sicurezza dei dati“, ha affermato Daniel Zhang Ceo di Alibaba. “Le economie di piattaforma possono svilupparsi in modo sostenibile solo se sono più inclusive, più eque, più standardizzate e se consentono a più persone e più PMI di partecipare”. Per Lei Jun di Xiaomi, invece, “le imprese appartengono alla società e le grandi imprese dovrebbero prendere l’iniziativa per aiutare quelle più piccole a svilupparsi rapidamente e in modo sano”. Entrambe le dichiarazioni fanno rima con “prosperità comune“, il nuovo mantra dell’amministrazione Xi Jinping che prevede una distribuzione più equa delle ricchezze. Si è invece concentrato sulla questione dei dati Elon Musk, che ha parlato da remoto lodando l’intervento del governo per regolamentare in maniera più stringente la gestione dei dati.
Come ormai da rituale, non sono mancate le rassicurazioni delle autorità. Nel suo discorso di apertura, il vicepremier cinese Liu He, braccio destro di Xi Jinping, ha sottolineato l’importanza delle piccole imprese, affermando che il paese sosterrà lo sviluppo di Internet e dell’economia digitale.
La conferenza di domenica ha fatto anche da sfondo alla divulgazione degli ultimi dati sull’economia digitale che , secondo l’Accademia cinese degli studi sul cyberspazio, nel 2020 ha raggiunto i 39,2 mila miliardi di yuan (poco più di 6 mila). miliardi di dollari). Numeri che elevano il settore al 38,6% del Pil nazionale. [[fonte SCMP]
Cina: giro di vite sulle criptovalute
Le transazioni relative alle criptovalute saranno considerate attività finanziarie illecite, compresi i servizi forniti da scambi off-shore: è quanto affermato dalla People’s Bank of China, che venerdì scorso ha diffuso la notizia sul suo sito web congiuntamente ad altre 11 agenzie governative. La regolamentazione sembrerebbe essere un espediente per chiudere il vuoto legale rimasto dopo che la PBoC a maggio scorso aveva vietato alle istituzioni finanziarie nazionali di fornire servizi di transazione di criptovaluta. Il prezzo del bitcoin è sceso di oltre l’8% subito dopo l’annuncio a poco più di $ 41.000. Dietro al divieto vi sono preoccupazioni relative a frodi, riciclaggio di denaro e consumo eccessivo di energia. Il paese ospita infatti una delle più grandi concentrazioni di minatori di criptovalute del mondo e, fino ad aprile, rappresentava il 46% del tasso di hash globale, la misura della potenza di calcolo utilizzata nell’estrazione e nell’elaborazione delle criptovalute, secondo i dati del Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index. A questo proposito, l’agenzia di pianificazione economica cinese ha affermato che è un compito urgente eliminare dal paese il mining di criptovalute per raggiungere gli obiettivi di carbonio. La Cina aveva già regole che vietano alle banche di offrire servizi relativi alle criptovalute. Per aggirare tali regole, i trader sono passati a piattaforme over-the-counter e scambi offshore. Secondo molti esperti, il divieto della Cina su tutte le attività di trading avrà un impatto a breve termine sulla valutazione della valuta, ma è probabile che le implicazioni a lungo termine vengano smorzate: nonostante i divieti, il paese di mezzo è rimasto un importante mercato globale di criptovalute, per un valore $ 150 milioni, secondo solo agli Stati Uniti. Parallelamente a stringere il controllo sulle criptovalute, la PBoC si sta preparando a svelare il lancio del renminbi digitale. La valuta è prevista per un primo uso di prova durante le Olimpiadi invernali del 2022. [fonte Bloomberg]
Cina: crisi energetica all’orizzonte? Fornitori di Apple e Tesla interrompono la produzione
La Cina potrebbe presto trovarsi ad affrontare una crisi energetica, proprio mentre il caso Evergrande scuote violentemente il sistema finanziario del paese. Quasi la metà delle 23 province cinesi ha infatti mancato gli obiettivi di intensità energetica fissati da Pechino, che ora costringe i governi municipali a limitare il consumo di energia. Tra le province più colpite ci sono Jiangsu, Zhejiang e Guangdong, trio di potenze industriali che rappresentano quasi un terzo dell’economia cinese. Nel paese del Dragone, i prezzi del carbone per il riscaldamento sono più che quadruplicati nell’ultimo mese, complici le preoccupazioni sulla sicurezza delle miniere e sull’inquinamento cos’ come il divieto di importazione dal principale fornitore, l’Australia. Le aziende cinesi ne stanno già pagando le conseguenze: la Yunnan Aluminium Co., uno dei più grandi produttori cinesi di alluminio, ha ridotto la produzione a causa delle pressioni di Pechino sul risparmio energetico. Lo shock inizia a farsi sentire anche nel Jiangsu, dove le acciaierie hanno chiuso e alcune città stanno spegnendo i lampioni. Nel vicino Zhejiang invece, sono state chiuse circa 160 aziende ad alta intensità energetica, tra cui le aziende tessili, e nel Liaoning i cittadini hanno dovuto subire interruzioni di corrente. Disagi anche per alcuni dei principali contractor di Apple e Tesla, costretti a sospendere la produzione. La crisi energetica è l’ultima delle sfide a cui la classe dirigente cinese deve far fronte: cosciente dell’importanza della sicurezza energetica, Pechino è disposta ad accettare una crescita più lenta nel resto di quest’anno, puntando ad una crescita annuale del 6% dopo un’espansione del 12,7% nel primo semestre. [fonte Bloomberg, NIKKEI]
Xi mette in guardia il neoeletto leader del Kuomintang
“Complessa e cupa”: così XI Jinping ha definito la situazione nello stretto di Taiwan in una lettera di congratulazioni inviata a Eric Chu, il neoeletto leader del Kuomintang, principale partito di opposizione di Taiwan. Chu, nominato vincitore sabato scorso, ha affermato di voler riaprire gli incontri di alto livello il Partito comunista cinese, ormai in stallo da lungo tempo a causa delle tensioni militari e del malcontento di Pechino, secondo cui il KMT- all’epoca governato dal leader uscente Johnny Chiang – non fosse sufficientemente impegnato nell’idea che Taiwan fosse parte di “una Cina”. Nella lettera di Xi, di cui una copia è stata diffusa dal KMT, entrambe le parti hanno dichiarato di aver avuto “buone interazioni” basate sulla loro opposizione congiunta all’indipendenza di Taiwan. Xi Jinping ha inoltre espresso la speranza che entrambe le parti possano cooperare per “cercare la pace nello stretto di Taiwan, la riunificazione nazionale e la rivitalizzazione nazionale”. Chu ha risposto a Xi che le persone su entrambi i lati dello stretto di Taiwan sono “tutti i figli dell’Imperatore Giallo” – in altre parole tutti cinesi Han, incolpando altresì il Partito Democratico Progressista (DPP) di Tsai per l’aggravarsi delle tensioni con Pechino. [fonte Reuters]
A cura di Sharon De Cet; Ha collaborato Alessandra Colarizi
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.