I titoli di oggi:
- G7: la Cina convoca l’ambasciatore giapponese
- Pechino: “Micron è un rischio per la sicurezza”
- Metà dei cinesi approva una “riunificazione” armata di Taiwan
- La Cina supera il Giappone come principale paese esportatore di auto
- Agenti di pubblica sicurezza cinesi responsabili a vita per la gestione dei casi
- Carenza di scimmie da laboratorio cinesi negli Usa
Al termine di tre giorni di incontri (19-21 maggio), si è chiuso domenica il vertice dei leader del G7 a Hiroshima, in Giappone. Nella giornata di sabato i paesi del gruppo hanno diramato un comunicato congiunto nel quale hanno parlato esplicitamente della Cina. I leader hanno detto di essere pronti a “costruire relazioni stabili e costruttive” con la Repubblica popolare, criticata però per la “militarizzazione” del mar Cinese meridionale e per la “situazione dei diritti umani in Tibet e nello Xinjiang”. A Pechino è stato chiesto di fare “pressioni sulla Russia” per far cessare il conflitto in Ucraina e di favorire una “cooperazione” generale su una serie di temi (come la crisi climatica), oltre che di puntare a una “soluzione pacifica dei problemi” con Taiwan.
I paesi del G7 hanno poi creato una piattaforma di coordinamento come meccanismo di risposta alle pratiche di “coercizione economica”, con riferimento non troppo velato alla Cina. La Repubblica popolare ha risposto tramite una nota del ministero degli Esteri, accusando il G7 di “ostacolare la pace internazionale” e di “diffamare e attaccare la Cina interferendo nei suoi affari interni”. Messaggio ribadito stamani con la convocazione dell’ambasciatore giapponese a Pechino. Il viceministro degli Esteri Sun Weidong ha avvertito che, ospitando il vertice, Tokyo ha partecipato ad “attività e dichiarazioni congiunte… per diffamare e attaccare la Cina, interferendo grossolanamente negli affari interni della Cina, violando i principi fondamentali del diritto internazionale e lo spirito dei quattro paesi politici documenti tra Cina e Giappone”.
Sul fronte economico, secondo Agenzia Nova i paesi del G7 hanno parlato della creazione di una piattaforma di investimenti infrastrutturali che possa fare da alternativa alla Belt and Road Initiziative (Bri) cinese. Lo ha auspicato anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha aggiunto che “il disaccoppiamento [con la Cina] non è praticabile”, e che quindi bisognerebbe puntare al “de-risking”. Concetto condiviso da tutti i paesi del gruppo e ripetuto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Come riportato da Reuters, il leader americano ha poi fatto intendere che presto potrebbe parlare con Xi Jinping. Biden ha detto che si aspetta un “disgelo” nelle relazioni tra i due paesi, ma su Taiwan ha dichiarato che “se la Cina agirà unilateralmente ci sarà una risposta” da parte di Washington. Anche se poi ha aggiunto allo stesso tempo di non aspettarsi che l’isola – definita inizialmente “Paese” – “dichiari autonomamente l’indipendenza”.
A margine del G7 si è anche tenuto un vertice del dialogo di sicurezza quadrilaterale (Quad) tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia. I quattro paesi hanno parlato di “pace e stabilità nell’Indo-Pacifico” e di potenziamento della connettività regionale tramite i cavi internet sottomarini – senza però mai nominare esplicitamente la Cina.
Nel weekend, inoltre, è avvenuto un altro gesto distensivo tra Giappone e Corea del Sud: il primo ministro giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano, Yoon Suk-yeol, hanno visitato insieme il memoriale dedicato alle vittime (anche sudcoreane) della bomba atomica sganciata su Hiroshima dagli Stati Uniti nel 1945. I due hanno poi tenuto un trilaterale con Biden. Domenica presente al vertice G7 anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che tra gli altri ha parlato anche con il primo ministro indiano, Narendra Modi. Il leader europeo ha invitato l’India ad aderire alla formula di pace dell’Ucraina.
Pechino: “Micron è un rischio per la sicurezza”
I prodotti realizzati dalla statunitense Micron Technology non hanno superato la revisione della sicurezza e pertanto non potranno essere utilizzati dagli operatori cinesi di infrastrutture critiche, dai trasporti alla finanza. Lo ha dichiarato ieri la Cyberspace Administration of China (CAC), aggiungendo che il più grande produttore statunitense di chip di memoria, “pone significativi rischi per la sicurezza alla catena di approvvigionamento delle infrastrutture informatiche critiche della Cina”. La Repubblica popolare conta per il 10% delle entrate complessive di Micron, ma non è chiaro se la decisione delle autorità verrà estesa anche ai clienti stranieri, che si aggiudicano la fetta più consistente degli acquisti nel paese. Nel settembre 2021 il governo ha imposto regole più stringenti che impongono il rispetto di requisiti più severi in aree come la sicurezza dei dati. Ma è sospetto che la bocciatura di Micron coincida con l’introduzione negli Stati Uniti di nuove sanzioni contro le aziende tecnologiche cinesi e restrizioni sulle vendite di semiconduttori. La comunicazione segue inoltre di un solo giorno la condanna dei paesi del G7 alle pratiche economiche “non di mercato” adottate da Pechino.
Metà dei cinesi approva una “riunificazione” armata di Taiwan
Circa la metà dei cittadini della Repubblica popolare è favorevole a una guerra su larga scala per la “riunificazione” con Taiwan. È l’esito di un studio condotto da due accademici della National University of Singapore e della NYU di Shanghai, pubblicato nei giorni scorsi sul Journal of Contemporary China. Nel sondaggio che ha coinvolto 1824 persone, il 55% dei partecipanti si è detto favorevole a “lanciare una guerra” per “riprendere interamente Taiwan”, un terzo si oppone a un’annessione armata e il resto si è dichiarato incerto. Ma solo l‘1% di chi sostiene un conflitto su larga scala si è espresso a favore dell’opzione più estrema, ovvero la guerra immediata. Il 58% e il 57% di questi ha proposto rispettivamente “l’avvio di campagne militari limitate alla periferia di Taiwan” o “l’uso di sanzioni economiche”. Secondo gli autori, come riportato anche dal South China Morning Post, un dato sorprendente – considerata la sensibilità del tema – è che il 22% degli intervistati abbia apertamente dichiarato di essere d’accordo con il mantenimento di sistemi politici separati tra le due parti.
La Cina supera il Giappone come principale paese esportatore di auto
Nel primo trimestre del 2023, la Cina ha superato il Giappone come principale paese esportatore di autoveicoli al mondo. Come riportato dal Nikkei Asia, i marchi cinesi hanno venduto all’estero un totale di 1,07 milioni di auto: si tratta di un aumento del 58% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le case giapponesi si fermano invece a 950.000 (+6%). Tra le ragioni del sorpasso c’è senza dubbio il passaggio all’elettrico, su cui le aziende della Repubblica popolare hanno puntato molto. Le esportazioni di veicoli elettrici e ibridi cinesi sono aumentate del 93% anno su anno e rappresentano il 40% (380.0000 unità) del totale delle vendite all’estero, soprattutto in Belgio, Australia e Thailandia. La presenza di Bangkok sul podio conferma che la Cina si sta facendo largo anche nel Sud-Est asiatico, mercato un tempo dominato dai marchi giapponesi. Importante però anche l’apporto della Russia. Dall’inizio della guerra in Ucraina molte case automobilistiche internazionali si sono ritirate dal mercato russo, dove la Cina ha esportato 30.000 camion nei primi tre mesi del 2023, sette volte più dell’anno scorso. Secondo il Nikkei, c’è il rischio che potrebbero essere usati per scopi militari.
Agenti di pubblica sicurezza cinesi responsabili a vita per la gestione dei casi
Il ministero della Pubblica Sicurezza cinese istituirà un sistema per far fronte ai casi di negligenza e inazione e contrastare la “cattiva condotta” delle forze di polizia. Lo ha dichiarato venerdì scorso Zhang Ming, portavoce del ministero, che ha sottolineato l’intenzione di migliorare l’applicazione della legge e la credibilità degli organi di pubblica sicurezza. Tra le altre cose si prevede che gli agenti di pubblica sicurezza si assumano a vita la responsabilità della qualità della gestione dei casi, anche prendendosi carico di indagini retroattive per quelli giudicati errati. Come sottolineato dal portavoce, l’obiettivo è di realizzare una supervisione completa e tracciabile dell’intero processo di applicazione della legge. Ed evitare casi mediatici come quello di Tangshan, quando alcune donne avevano subito una grave aggressione fuori da un ristorante. Sul web era montata l’indignazione per la lentezza con cui la polizia era intervenuta e il non riconoscimento da parte di media e autorità della matrice di violenza di genere.
Carenza di scimmie da laboratorio cinesi negli Usa
Continua la caccia a un nuovo fornitore di scimmie da laboratorio, dopo che negli Stati Uniti i prezzi dei macachi a coda lunga e altri primati utilizzati nella ricerca sono aumentati di circa 15 volte rispetto ai livelli pre-Covid. Un articolo di Nikkei ha riportato che se nel 2019 il prezzo per animale si aggirava attorno ai 4 mila-7 mila dollari, lo scorso aprile si sono toccati i 60 mila. Negli Usa la domanda di scimmie da laboratorio è cresciuta con la crisi pandemica, e nel contempo la Repubblica popolare cinese, al primo posto per esportazione di questo genere di animali, ha bruscamente ridotto le spedizioni all’estero. Anche perché servono scimmie per la corsa all’autosufficienza nello sviluppo farmaceutico e medico promossa da Pechino. La carenza di elementi per la sperimentazione animale, continua il Nikkei, potrebbe ritardare il progredire della ricerca e configurarsi per gli Usa come “una questione di sicurezza economica nazionale”.
Di Francesco Mattogno e Vittoria Mazzieri; ha collaborato Alessandra Colarizi