In Cina e Asia – G20 finanziario: tra Brexit e golpe turco la Cina non è più un problema

In by Gabriele Battaglia

I titoli della rassegna di oggi:

– G20 finanziario: tra Brexit e golpe turco la Cina non è più un problema
– Nubifragi nello Hebei tra morti, proteste e arresti
– Dall’industria pesante al car sharing: ecco come l’Uber cinese assorbe gli esuberi nel Nordest. 
– Nella Cina rurale le malattie mentali si curano ancora con agopuntura, Tai Chi e preghiere taoiste.
– L’esercito birmano avvia una rara indagine interna sugli abusi nello Stato Shan
– Bangkok sconfitta nella lotta contro la droga: è emergenza carceriG20 finanziario: tra Brexit e golpe turco la Cina non è più un problema

La Brexit «ha aggiunto incertezza all’economia globale», ma i Paesi del G20 sono «pronti a rispondere proattivamente alle potenziali conseguenze economiche e finanziarie» dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Il comunicato conclusivo della due giorni che ha riunito a Chengdu i ministri delle finanze – tra gli altri, di Stati Uniti, Cina, Gran Bretagna e Germania – cita tra le complicanze «i conflitti geopolitici, il terrorismo e i flussi di rifugiati». Si aggiungono il protezionismo sbandierato da Trump, da venerdì candidato ufficiale del partito repubblicano, e la sovracapacità di alcune industrie come quella siderurgica, chiaro rimando all’alterco tra Pechino e Bruxelles sull’export di acciaio cinese a prezzi di dumping.

Il ministro Padoan ha affermato che «la Cina sta subendo un’importante trasformazione strutturale» e rispetto a un anno fa nessuno dei funzionari del G20 ha fatto riferimento al gigante asiatico come elemento di vulnerabilità per l’economia globale. I dati del secondo trimestre dell’anno confermano la crescita cinese al 6,7 per cento, mentre le riserve in valuta estera sono cresciute di 13.4 miliardi di dollari nel mese di giugno. La scorsa settimana il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo di un decimale le aspettative di crescita della Cina, portate al 6,6 per cento nel 2016, contro un taglio dello 0,1 per cento nelle stime della crescita globale a causa del Brexit. A margine del summit, il direttore della banca centrale cinese Zhou Xiaochuan ha poi rinnovato l’impegno di Pechino a stabilire una «fluttuazione del tasso di cambio», smentendo il ricorso ad una «svalutazione competitiva» dello yuan. 

Nubifragi nello Hebei tra morti, proteste e arresti

114 morti e 111 dispersi. A tanto ammontava domenica il bilancio dei nubifragi che hanno travolto l’Hebei, la provincia che circonda Pechino, i peggiori dal 1996. A Xingtai, 400 chilometri a sud della capitale, 34 persone sono rimaste uccise dall’alluvione e nulla si sa della sorte di 13 abitanti, di cui molti bambini. Mentre la stampa di stato ha attribuito il disastro alle forti piogge, un avviso sull’imminente apertura di una diga rilasciato dalla polizia il 19 luglio ha innescato una girandola di voci sulle reali cause della catastrofe.

La conferma della presenza di vittime da parte delle autorità locali è arrivata soltanto dopo che un migliaio di residenti era sceso in strada per protestare contro gli avvertimenti tardivi e i soccorsi inefficaci. Centinaia di poliziotti sono stati mandati sul posto per ammansire i manifestanti e notizie non confermate di pestaggi sono circolate sul web. Per il momento sono quattro i funzionari dello Hebei sotto indagine, tra cui il capo di una zona di sviluppo di Xingtai e l’ingegnere capo di una società di trasporti locale. Secondo Bloomberg l’ondata estiva di nubifragi potrebbero costare 0,2 punti percentuali alla crescita del terzo trimestre 2016. 

Dall’industria pesante al car sharing: ecco come l’Uber cinese assorbe gli esuberi nel Nordest. 

Didi Chuxing, l’Uber cinese, ha assunto oltre un milione di ex impiegati nell’industria pesante. A rivelarlo è un nuovo studio della compagnia, che riporta in totale l’impiego di 3,89 milioni di autisti provenienti da 17 province hub dell’industria del carbone e dell’acciaio, come Shanxi, Heilongjiang e Sichuan. Dei conducenti provenienti dall’industria pesante, 530mila arrivano da settori sottoposti a massicce riforme, come quelli dell’acciaio e del carbone.

Una cifra che – secondo la società – costituisce il 60,2 per cento del target annuo di reimpiego stabilito dal governo per l’industria pesante e il 29,4 per cento di quanto previsto per i prossimi cinque anni. Conteggiando le corse giornaliere intorno ai 15 milioni, l’amministratore delegato di Didi ha affermato che «mentre la Cina vive un periodo di ristrutturazione economica, Didi è l’unica società nella posizione di assicurare agli autisti opportunità di lavoro flessibili e un miglior tenore di vita grazie alla tecnologia con la quale ci adoperiamo a creare città più sostenibili».

A febbraio Pechino ha annunciato 1,8 milioni di licenziamenti nelle miniere e nelle acciaierie, cui si appresta a rimediare con un fondo da 100 miliardi di yuan per facilitare la riassunzione dei licenziati in comparti più strategici. Come fa notare Kitty Fok, amministratore delegato della società di ricerca IDC China, «le piattaforme Internet come Didi sono in grado di offrire opportunità di lavoro per gli operai, aiutando al contempo anche a implementare l’iniziativa governativa Internet Plus». Intanto secondo il ministro delle Risorse umane e della Sicurezza sociale, da qui al 2015 la forza lavoro cinese si assottiglierà del 23 per cento, con un calo della popolazione tra i 16 e i 59 anni stimato intorno alle 211 milioni di unità.

Nella Cina rurale le malattie mentali si curano ancora con agopuntura, Tai Chi e preghiere taoiste.

Secondo un rapporto di Lancet, in Cina il numero dei malati mentali con disturbi neurologici e dipendenza da sostanze aumenterà del 10 per cento nel periodo 2015-2025. Tuttavia, il 40 per cento dei pazienti in con disturbi psicotici non si sono mai rivolti a professionisti della salute mentale; la percentuale tra le persone con disturbi dell’umore o soggetti ad ansia, scende al 6 per cento.

Nella Cina rurale, le superstizioni, la medicina cinese, l’agopuntura, e il Tai Chi giocano ancora importanti ruoli complementari nel trattamento di pazienti con disturbi mentali. Uno studio del 2007 condotto in zona rurale di Liuyang dai ricercatori Central South University di Changsha mostra che il 67 per cento degli schizofrenici cinesi preferisce ricorrere a rimedi popolari prima di rivolgersi agli istituti mentali, se mai l’abbiano fatto. Delle oltre 61mila persone intervistate in 23 villaggi, 220 presentavano diversi gradi di schizofrenia. Nella medicina tradizionale cinese (Tcm), i disturbi mentali sono imputati ad uno sbilanciamento delle energie all’interno del corpo umano, e come tali vengono trattati.

«I pazienti scelgono di cercare l’aiuto della medicina tradizionale cinese, perché – soprattutto i meno istruiti – non ritengono che il "cattivo umore" sia una malattia mentale», spiega un professore della Xiangya School of Public Health at Central South University. «Vanno dai praticanti di Tcm per problemi fisici, come l’insonnia, la stanchezza, e la letargia, che in realtà sono proprio i sintomi della depressione».

L’esercito birmano avvia una rara indagine interna sugli abusi nello Stato Shan

Nel tentativo di ripulire la propria immagine, l’esercito birmano – che per mezzo secolo ha guidato il paese sotto un regime dittatoriale – ha recentemente aperto un’inchiesta sulle violenze perpetrate dai propri membri nelle aree rurali del paese. Il maggiore Thein Zaw del comando del Nordest ha dichiarato che una corte marziale si sta occupando di vagliare l’operato di alcuni soldati, responsabili della morte di cinque persone nello stato Shan, al confine con la Cina.

Mentre da tempo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani condannano gli abusi da parte dei militari, questa sembra essere la prima volta che la richiesta di indagini trasparenti parte direttamente dall’esercito. La svolta sembra sia da inserire nel processo di riforma rilanciato dal governo della Lega nazionale per la democrazia e a cui le forze armate vogliono prendere parte come interlocutore affidabile, anche nella speranza di ricucire i rapporti con le nazioni occidentali.

«Ogni soldato deve seguire norme e regolamenti mentre interroga prigionieri e detenuti, indipendentemente dal fatto che siano insorti o normali cittadini», ha scandito il capo dell’intelligence Mya Tun Oo, aggiungendo che l’esercito avrebbe preso provvedimenti contro i responsabili secondo la legge.

Bangkok sconfitta nella lotta contro la droga: è emergenza carceri

Da quando dieci anni fa la Thailandia ha dichiarato guerra alla droga, le prigioni del paese sono state inondate di detenuti di tutte le età. Produrre o commerciare droghe di categoria 1, come l’eroina e l’MDMA – la principale componente dell’ecstasy – sono reati punibile con la morte. I dati di luglio parlano di 321.347 detenuti, di cui circa il 70 per cento per reati connessi alla droga.

La Thailandia ha circa il 40 per cento della della popolazione carceraria di tutto l’Asean, pur contando solo per il 10 per cento della popolazione totale del blocco. Secondo l’Institute for Criminal Policy Research il Paese dei sorrisi è il quarto per numero di detenuti donne dopo Stati Uniti, Cina e Russia, l’ottavo per tasso di carcerazione. Paiboon Koomchaya, ministro della giustizia, ha dichiarato alla Reuters: «Vorrei declassificare le metanfetamine, ma la Thailandia non è ancora pronta», anche se un’operazione del genere comporterebbe una riduzione del periodo di detenzione per il possesso o la vendita di meth e quindi un sostanziale sfoltimento della popolazione carceraria.