I titoli di oggi:
- Forum della pace a Pechino: scontri tra gli ambasciatori sul conflitto in Ucraina
- Cina, il miliardario Xiao Jianhua in tribunale a 5 anni dalla sparizione
- 18 morti e 243 feriti per le proteste nella regione autonoma uzbeka del Karakalpakstan
- Myanmar, il primo incontro multilaterale dall’inizio del golpe
- Cina, il leak di dati più grande degli ultimi tempi potrebbe arrivare dalla polizia di Shanghai
- Shimao come Evergrande: a rischio l’immobiliare cinese
Forum della pace a Pechino: scontri tra gli ambasciatori sul conflitto in Ucraina
La guerra russa in Ucraina è “illegale, ingiusta e brutale”. Sono le parole pronunciate ieri dall’ambasciatore statunitense Nicholas Burns durante il World Peace Forum organizzato dalla prestigiosa Tsinghua University di Pechino. Incentrata sul tema “Le Nazioni Unite e l’ordine globale”, la sessione di ieri ha visto la presenza dei rappresentanti dei cinque membri permanenti dell’Onu (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti). “Se la Russia continuasse per la sua strada, ci troveremmo in un’anarchia globale”, ha detto l’ambasciatrice del Regno Unito Caroline Wilson. Burns ha parlato anche delle conseguenze sul fronte delle catene di approvvigionamento di grano, chiarendo come la crisi di sicurezza alimentare “sia stata aggravata” dal conflitto.
Una guerra che però è responsabilità della Nato, secondo quanto sostenuto dall’ambasciatore russo Andrey Denisov, che ha anche negato l’esistenza di un blocco delle esportazioni di grano. Per Denisov l’approccio cinese si è invece distinto per essere “ragionevole ed equilibrato”, tanto che Pechino potrebbe svolgere “un ruolo di mediazione”. Della stessa opinione l’ambasciatore francese, Laurent Bili, secondo la quale il governo cinese potrebbe contribuire ad “alleviare le conseguenze della guerra”. Letteralmente: “La Cina può partecipare alle attività della Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) per far sì che la Russia smetta di bloccare le esportazioni di cibo dall’Ucraina e per risolvere il problema della crisi alimentare”. Ma non sono mancate critiche a causa dell’ambiguità cinese. Burns e Wilson hanno attaccato il paese asiatico per continuare a diffondere la “propaganda russa”, come anche “assurdità” come quella sull’esistenza di laboratori di armi biologiche in Ucraina. I rappresentanti hanno anche negato le affermazioni di Pechino secondo cui gli aiuti militari europei a Kiev starebbero prolungando il conflitto.
Cina, il miliardario Xiao Jianhua in tribunale a 5 anni dalla sparizione
Sono già passati cinque anni da quanto il miliardario sino-canadese Xiao Jianhua è sparito dall’hotel Four Seasons di Hong Kong in cui alloggiava. Ora l’uomo è riapparso in un tribunale cinese, anche se non sono ancora state esplicitati i capi d’accusa. Il processo è probabilmente legato all‘impero finanziario di Xiao, il conglomerato Tomorrow Group. Nove delle sue società (che hanno partecipazioni anche in compagnie statali tra cui banche, assicurazioni, carbone, cemento, immobiliare e terre rare) sono state confiscate dalle autorità cinesi nel 2020. Solo in quell’anno sarebbero arrivate le prime notizie su Xiao Jianhua, che si sarebbe trovato nella Repubblica popolare per “collaborare con il governo per “ristrutturare la società” e “disinnescare i rischi finanziari”.
Xiao era, inoltre, noto negli ambienti del Partito comunista cinese, dove aveva contatti importanti. E non è l’unico caso finito sotto lo scrutinio della serie di indagini e arresti voluti da Pechino nei confronti di politici e uomini d’affari. L’ambasciata canadese ha dichiarato di non aver ottenuto l’accesso al processo nonostante Xiao abbia passaporto canadese: “La nostra presenza è stata negata dalle autorità cinesi”.
18 morti e 243 feriti per le proteste nella regione autonoma uzbeka del Karakalpakstan
18 morti e 243 feriti. È il bollettino ufficiale dei gravi disordini iniziati la scorsa settimana nella regione autonoma del Karakalpakstan, nel nord-ovest dell’Uzbekistan, a seguito della controversa riforma costituzionale annunciata dal presidente Shavkat Mirziyoyev. I 170 emendamenti consentirebbero al governo centrale di Taskent di bloccare le volontà secessioniste della regione e privarla dell’autonomia. Il blackout indotto dalle autorità centrali non ha fermato i manifestanti, che venerdì scorso hanno marciato nel capoluogo Nukus e hanno tentato di fare irruzione negli edifici del governo locale. Si tratta degli scontri più gravi degli ultimi vent’anni, in particolar modo da maggio 2005, quando una grande protesta ha interessato la città di Andijan per denunciare la povertà e la corruzione dilaganti. I militari uzbechi avevano sparato sulla folla causando 187 morti – molti di più secondo fonti non ufficiali.
La regione è abitata dai karakalpaki, gruppo etnico minoritario di tradizione nomade differenti per usi e costumi dagli uzbechi, malgrado entrambi parlino lingue turche. Situata sulle rive del lago d’Aral, l’area un tempo si sostentava con la pesca. Ma decenni di politiche non regolamentate per deviare le acque dei due maggiori fiumi che alimentato il lago hanno causato un irreversibile processo di desertificazione e inquinamento. Nei confronti dei karakalpaki il governo uzbeko si sarebbe macchiato di una “operazione punitiva”, secondo quanto detto a Reuters da Aman Sagidullayev, leader del partito filoindipendentista Alga Karakalpakstan in esilio in Norvegia. Assieme ad altri politici e attivisti, Sagidullayev ha chiesto a Mirziyoyev di porre fine all’“uso ingiustificato e sproporzionato della forza”. Il presidente uzbeko, che si è visto costretto a volare a Nukus per due volte per promettere ai manifestanti che non applicherà la riforma, ha comunicato la presenza di vittime “tra i civili e gli agenti delle forze dell’ordine”, imputando i disordini all’azione di “elementi criminali”.
Ciò che sta accadendo nel paese, ha affermato la Russia, è un affare che va risolto tra le parti all’interno dei confini nazionali – senza, ha lasciato intendere, nessun tipo di interferenza straniera. L’Unione Europea ha chiesto “un’indagine indipendente” sui violenti scontri nella regione e il confinante Kazakistan ha espresso preoccupazione, richiamando alla necessità di “stabilizzare” la situazione.
Myanmar, il primo incontro multilaterale dall’inizio del golpe
Si è tenuto lunedì 4 luglio nella località turistica di Bagan il primo vero incontro multilaterale dall’inizio del golpe. La riunione si è tenuta nel quadro della cooperazione Lancang-Mekong e ha coinvolto i ministri degli Esteri di Myanmar, Cambogia, Thailandia, Laos, Vietnam e Cina. La visita del ministro cinese Wang Yi è stata interpretata, come afferma lo stesso portavoce della giunta Zaw Min Tun, “un riconoscimento della sovranità del Myanmar e del suo governo da parte della Cina”. I comunicati ufficiali fanno pensare a un’accettazione del regime militare da parte di Pechino, anche se, come ha detto Wang al suo omologo Wunna Maung Lwin, “la Cina spera sinceramente che il Myanmar sia politicamente e socialmente stabile“.
Cina, il leak di dati più grande degli ultimi tempi potrebbe arrivare dalla polizia di Shanghai
Vendesi dati di un miliardo di cittadini cinesi prelevati dai server della polizia di Shanghai. L’annuncio di un hacker sul web ha iniziato a circolare nel finesettimana su forum noto per attirare la criminalità informatica, facendo scattare l’allarme tra esperti di cyber security. Se il furto di dati venisse confermato dalle autorità, sottolineano gli esperti, si tratterebbe di una delle più grandi fughe di dati personali mai registrate.
Il “pacchetto” di dati è in vendita a 10 bitcoin (circa 200 mila dollari) ed è possibile accedere a un’anteprima di circa 750 mila voci contenenti nomi, numeri di telefono e altre informazioni sensibili. Il dataset comprende i riepiloghi dettagliati di crimini e incidenti segnalati alle forze di Polizia tra il 1995 e il 2019. Gli hacker affermano di aver ottenuto i dati accedendo ai sistemi di Aliyun, una sussidiaria di Alibaba Group che offre servizi di cloud computing. Al momento non ci sono conferme sulla genuinità dell’intero database, mentre manca ancora una risposta dalle autorità cinesi.
L’evento, sottolineano gli analisti, solleva ulteriori dubbi sull’impermeabilità del sistema di controllo dei dati cinese: nonostante gli sforzi per intensificare la protezione dei dati e filtrare le informazioni sul web Pechino ha ancora difficoltà a controllare la rete.
Shimao come Evergrande: a rischio l’immobiliare cinese
Domenica 3 luglio la società specializzata nello sviluppo immobiliare Shimao ha mancato il pagamento di un’obbligazione da 1 miliardo di dollari. È la prima volta che il gigante del real estate shanghaiese non onora un debito di questa entità. Un nuovo esempio di gigante immobiliare in difficoltà dopo il celebre caso di Evergrande, che ha evitato per la bancarotta ma continua ad avere un debito da circa 300 miliardi di dollari e diversi bond offshore non pagati.
Nella sua deposizione presso la Borsa di Hong Kong Shimao ha comunicato di non riuscire a onorare il debito citando “cambiamenti significativi nel macro contesto del settore immobiliare in Cina dalla seconda metà del 2021” e “l’impatto del Covid19 […] che dovrebbe continuare nel breve termine fino a quando il settore immobiliare in Cina non si stabilizzerà”.
Le vendite contrattuali della società sono crollate del 72% e, conferma un sondaggio della China Index Academy citato da CNN, i prezzi delle case sono crollati del 40% nella prima metà del 2022. Le difficoltà attuali si aggiungono ai problemi strutturali del settore immobiliare in Cina che, evidenzia un report di Credit Risk Monitor, rischiano di trascinare l’intera economia cinese in una profonda crisi.
A cura di Sabrina Moles e Vittoria Mazzieri