La Cina e la Corea del Nord. Sono questi i temi che tengono insieme la scricchiolante alleanza tra Stati uniti, Giappone e Corea del Sud. “Abbiamo convenuto che la cooperazione militare tra la Repubblica di Corea, gli Stati Uniti e il Giappone è importante per la pace nel nord-est asiatico, nonostante alcuni problemi storici”, ha spiegato il ministro della Difesa sudcoreano Suh Wook incontrando il capo del Pentagono Lloyd Austin nell’ambito del primo vertice 2+2 dell’era Biden che ha visto partecipe anche il segretario di Stato Antony Blinken. La nota cautela della diplomazia sudcoreana è stata messa a dura prova dalle imbeccate della controparte americana. Mentre era Seul, Blinken ha richiamato l’attenzione sugli “abusi diffusi” a nord del 38° parallelo nonché “sull’uso [cinese] della coercizioni e dell’aggressione per erodere sistematicamente l’autonomia di Hong Kong, la democrazia di Taiwan, per violare i diritti umani nello Xinjiang e rivendicare la propria sovranità nel mar cinese meridionale trasgredendo le leggi internazionali”. L’assenza del virgolettato dal comunicato congiunto ricorda come la posizione dei due alleati non sia completamente convergente. Un punto, questo, evidenziato anche dal significato attribuito al termine “denuclearizzazione”, che secondo Seul va esteso a tutta la penisola coreana non solo al Nord. La tappa sudcoreana – che ricalca per modalità e temi trattati la visita di due giorni fa in Giappone – conclude la prima missione estera della nuova amministrazione americana. Ed è indicativo che sia stata scelta proprio l’Asia. Sulla via del ritorno Blinken si fermerà in Alaska, dove lo attende il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan per il primo meeting conoscitivo con i colleghi cinesi Wang Yi e Yang Jiechi. Il faccia a faccia si preannuncia ostico. La delegazione americana ha già pronta una lista di lamentele. Ma, come ammesso da Blinken, l’appoggio cinese è ancora fondamentale per riportare Pyongyang al tavolo delle trattative. Secondo le indiscrezioni rimbalzate sulla stampa straniera, Pechino cercherà di sfruttare l’occasione per chiedere la rimozione delle restrizioni imposte contro le aziende cinesi. Se il riscontro dovesse essere positivo, è possibile che la Cina proponga un incontro tra Biden e Xi Jinping già il prossimo mese. [fonte Reuters, Nikkei, Bloomberg, WSJ]
Superata Alibaba: Pinduoduo è la prima piattaforma dell’e-commerce cinese
Dimenticate Alibaba. Pinduoduo è la prima piattaforma numero uno dell’e-commerce cinese. E’ quanto rivelato ieri dalla compagnia, che nel 2020 ha raggiunto i 788,4 milioni di buyer attivi rispetto ai 779 milioni del colosso fondato da Jack Ma pari a un incremento del 35% su base annua. Secondo il bilancio del periodo ottobre-dicembre, i ricavi dell’azienda – popolare soprattutto nelle città di terza e quarta fascia – sono aumentati del 146% rispetto all’ultimo trimestre dell’anno prima. Quello delle vendite online è stato uno dei settori a beneficiare maggiormente del Covid-19. Ma la recente stretta dell’antitrust sui big tech ha lasciato il segno. Il sorpasso su Alibaba giunge in concomitanza con la notizia delle dimissioni accompagnata dalle dimissioni del presidente Colin Huang. Solo pochi giorni fa era stato il chief executive di Ant Group Simon Hu a lasciare il proprio incarico per “motivi personali”. Almeno ufficialmente. Intanto il clima di incertezza sembra aver riavvicinato i due grandi rivali: Alibaba e Tencent. [fonte WSJ, Bloomberg]
Il blitz dei media statali all’estero: 4500 contenuti giornalistici in pochi giorni
Solo pochi giorni fa avevamo raccontato di come il nuovo accordo sugli investimenti Cina-Ue abbia penalizzato i media europei interessati al mercato cinese. La presenza degli organi di infromazione statali nel Vecchio Continente è cosa nota. Soprattutto da quando, in seguito alla firma del MoU sulla Belt and Road, l’Ansa ci delizia con la traduzione dei lanci della Xinhua. Ma un nuovo report dell’ufficialissimo People’s Daily rivela dettagli sorprendenti quantificando la diffusione delle news cinesi all’estero nei giorni della sessione plenaria dell’Assemblea nazionale del popolo. Stando a quanto si legge nella sezione “Iniettare energia positiva nello sviluppo globale”, 750 articoli unici in 12 lingue sono stati inseriti con successo in quasi 200 media di più di 40 paesi. Alcuni dei pezzi sono stati riproposti in più lingue – tra le quali inglese, francese, italiano, polacco, russo, giapponese e arabo – così che il totale arriva a sfiorare i 4500 contenuti. Non è chiaro se in tutti i casi, le testate ospitanti abbiamo ricevuto un compenso, ma secondo Chima Media Project è probabile che una buona parte lo sia. I costi di questa campagna cosmetica si aggirano verosimilmente a svariate decine di milioni di dollari in meno di una settimana. [fonte CMP]
Un tribunale per difendere le aziende cinesi all’estero
Il massimo tribunale cinese ha autorizzato la nuova Corte finanziaria di Pechino a esaminare le azioni legali contro entità finanziarie estere qualora gli “interessi legittimi” degli investitori nazionali cinesi dovessero risultare in pericolo. La decisione – che punta ad “aumentare l’influenza internazionale” e “migliorare l’applicazione extraterritoriale delle leggi cinesi” – arriva dopo quattro anni duri per le aziende cinesi, sottoposte ripetutamente a sanzioni e restrizioni durante il governo Trump. Il testo completo del nuovo regolamento – che consta di 13 articoli – non è ancora disponibile, ma dalle anticipazioni fornite dalla Corte suprema del popolo si apprende che il nuovo tribunale esercita la “giurisdizione centralizzata” sulle controversie in materia di titoli e futures che coinvolgono società cinesi o estere quotate all’estero, nonché sui casi riguardanti presunte violazioni legali da parte di “fornitori esteri di altri prodotti o servizi finanziari”. “L’applicazione extraterritoriale delle leggi finanziarie cinesi giocherà un ruolo più importante nell’apertura ulteriore del mercato interno”, si legge nella comunicazione. [fonte SCMP]
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.