Vi ricordate FedEx? La società di trasporto americana si era scusata a maggio per “aver sbagliato il percorso” di un “piccolo numero” di spedizioni per conto di Huawei pochi giorni dopo l’inserimento del colosso di Shenzhen nella blacklist del dipartimento del Commercio americano. Pechino aveva risposto il mese successivo con l’avvio di un’indagine che a quanto pare ha evidenziato possibili “violazioni delle leggi e dei regolamenti.” Secondo quanto rivelato stamattina dalla Xinhua, sarebbero oltre 100 le spedizioni relative a Huawei non recapitate. L’annuncio rende ancora più probabile l’inserimento di FedEx nella “unreliable entity list”, risposta cinese alle misure restrittive imposte da Washington contro Huawei. La lista, a cui sta lavorando il ministero del Commercio, potrebbe includere anche Flextronics, azienda statunitense specializzata in servizi per la produzione di componenti elettronici. Secondo il Global Times, Flextronics ha “trattenuto privatamente materiali e attrezzature appartenenti a Huawei per un valore di 100 milioni di dollari per oltre un mese dopo l’introduzione delle sanzioni commerciali. Il sequestro è costato all’azienda cinese gravi perdite e gli esperti sospettano sia da considerarsi una violazione delle leggi locali dal momento che il fornitore è con una succursale di Flextronics registrata in Cina. Sempre secondo il Global Times, anche HSBC potrebbe venire rubricata tra le entità inaffidabili per il suo ruolo nell’arresto della CFO di Huawei Meng Wanzhou [fonte: Global Times]
Più migranti per sostenere la crescita
Allentare l’hukou per sostenere la crescita. E’ la proposta di Lu Ming, esperto di urbanizzazione, secondo il quale il rallentamento economico registrato a Shanghai e Pechino dovrebbe servire da campanello d’allarme. Le due metropoli infatti sono le due città ad aver introdotto le restrizioni più ferree per limitare il numero di migranti, finiti di conseguenza nei centri urbani minori. Secondo Lu il controllo governativo dei flussi migratori interni ha portato ad una distorsione del mercato del lavoro, deviando la manodopera dove c’è meno richiesta. Diventatto legge negli anni ’50 per limitare il deflusso della popolazione dalle campagne, l’hukou è il sistema di registrazione famigliare che vincola l’accesso ai servizi al luogo di residenza. [fonte: Scmp]
Huawei attrae talenti con salari stellari
Quasi 300mila dollari di stipendio annuo. E’ quanto Huawei – colpita dalle sanzioni americane – promette per attirare nuovi talenti nello staff e potenziare le proprie “capacità di combattimento”. Quest’anno il colosso di Shenzhen ha in programma di incrementare l’organico con una trentina di menti brillanti provenienti da ogni parte del mondo. L’annuncio è stato reso noto lo stesso giorno in cui 600 dipendenti della filiale americana Futurewei Technologies sono stati licenziati a causa del crollo delle attività. Nonostante le picconate di Trump, la performance di Huawei continua a smentire positivamente i pronostici più tragici. Secondo Bloomberg, nei primi sei mesi dell’anno, i ricavi dell’azienda sono cresciuti del 30% grazie allo stoccaggio di componentistica essenziale che ha permesso la sopravvivenza della produzione nonostante le restrizioni statunitensi [fonte: Scmp]
Divise “unisex” per gli studenti di Taiwan
Anche i ragazzi potranno indossare la gonna a scuola. E’ la novità introdotta dalla Banqiao Senior High School di Nuova Taipei per combattere gli stereotipi contro l’omosessualità. Secondo le attuali linee guida, gli studenti maschi devono indossare i pantaloni e le studentesse la gonna, ma quando il nuovo dress code entrerà in vigore con il nuovo anno accademico, il 30 agosto, sarà rimossa qualsiasi distinzione tra i due sesse. Il ministero dell’Istruzione ha accolto l’iniziativa positivamente. Misure simili sono state introdotte recentemente in Messico e Galles, ma Taiwan rappresenta un caso piuttosto isolato in Asia, continente in cui la comunità LGBT gode ancora di scarsi diritti. Proprio l’ex Formosa è diventata il primo paese della regione a legalizzare il matrimonio gay lo scorso maggio [fonte: Reuters]
Poliestere riciclato dalla plastica
Mentre Shanghai è alle prese con le nuove norme sulla raccolta differenziata, una società cinese è già da tempo al lavoro per dare una seconda vita alla plastica. Si chiama rPET (“recycled Polyethylene Terephthalate”) e prende il nome dal tessuto, il poliestere riciclato, prodotto con le bottiglie di plastica. Quello che la fondatrice Jane Zhao ha capito, è infatti che solo il 9% della plastica raccolta viene effettivamente riciclata, mentre il resto finisce negli inceneritori o in discarica. Il Poliestere riciclato può rappresentare un ottimo sostituto al poliestere vero e proprio, avendo la stessa origine [fonte: Radiichina]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.