Taipei ha presentato la propria candidatura ufficiale per il Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), un accordo commerciale che coinvolge altri 11 paesi della regione. Inizialmente promosso dagli Stati Uniti, aveva poi visto la ritirata di Washington con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, mentre dall’altro lato del Pacifico aumentava l’interesse delle nazioni ancora non coinvolte. Lo scorso 17 settembre era stato il turno di Pechino, che aveva inoltrato la domanda di adesione al CPTPP in un momento decisivo per la ridefinizione delle alleanze commerciali e militari nell’Indopacifico.
Le candidature vengono raccolte dalla Nuova Zelanda, che funge da depositaria del patto commerciale che favorisce gli scambi tra paesi membri attraverso l’eliminazione dei dazi e l’alleggerimento dei vincoli su investimenti e flussi di capitali. La mossa, secondo gli analisti, potrebbe aprire ad altre critiche in arrivo dalla Cina, mentre l’adesione dell’isola al patto commerciale non sembra per ora motivo di preoccupazione per gli altri partecipanti, che al momento sembrano vedere di buon occhio le opportunità di un accordo con due grandi produttori come Cina e Taiwan (quest’ultima da tempo leader nel settore dei semiconduttori di ultima generazione). Non sembra pensarla allo stesso modo il governo taiwanese, che avverte: “La Cina ha ostacolato la presenza internazionale di Taiwan. Se la Cina viene ammessa nel CPTPP prima di noi, si opporrà sicuramente all’ingresso di Taiwan nel blocco commerciale.” [Fonte: Nikkei, Nikkei]
Il diavolo sta nei dettagli della legge sulla sicurezza di Hong Kong
In un approfondimento sulla legge di sicurezza nazionale di Hong Kong pubblicato da Bloomberg vengono elencati alcune strategie retoriche che stanno ampliando la portata dei crimini che rientrano sotto tale decreto. Entrata in vigore nel giugno 2020, la legge condanna tutti quei crimini che mettono a rischio la sicurezza del Paese, un definizione che secondo gli avvocati dell’ex colonia britannica sta diventando sempre più aleatoria. Sono infatti sospettate tutte quelle attività che potrebbero avere obiettivi “politici“, una concezione che finisce per includere sindacati, associazioni professionali, enti di beneficenza, registi e giornalisti.
Giovedì 23 settembre il segretario alla sicurezza Chris Tang ha affermato in un’intervista esclusiva con il South China Morning Post che i tempi sono maturi per l’approvazione dell’articolo 23 della Basic Law (la mini Costituzione di Hong Kong). Si tratta di un disegno di legge accantonato nel 2003, che ha l’obiettivo di contrastare lo “spionaggio a livello statale” e che aggiungerebbe alla già nota legge di sicurezza nazionale i reati di tradimento, furto di segreti di Stato e l’infiltrazione di gruppi stranieri nelle attività politiche dell’ex colonia britannica. Per Tang, che ha confermato il pieno appoggio del capo esecutivo Carrie Lam, la popolazione è pronta ad accettare i nuovi provvedimenti sulla base delle proteste antigovernative che nel 2019 hanno portato a “disordini e crimini mai visti prima”. [Fonti: Bloomberg, SCMP]
Cina: nuove linee guida per proteggere la proprietà intellettuale
La Cina ha annunciato le nuove linee guida sulla protezione della proprietà intellettuale durante la giornata di mercoledì 22 settembre. Le nuove direttive si inseriscono nella più ampia fase di revisione legislativa intorno al tema dei dati sensibili, intelligenza artificiale e ingegneria genetica. Tra gli elementi di novità emerge il risarcimento per le perdite derivate da violazioni di competitor nazionali o internazionali, un dettaglio che potrebbe ampliare il potere di Pechino nei confronti delle aziende straniere. La Repubblica Popolare accusa soprattutto gli Stati Uniti di furto di proprietà intellettuale in campi come l’industria, la ricerca high-tech e l’istruzione superiore, elementi che da sempre sono parte delle accuse che Washington rivolge alla concorrenza cinese. [Fonte: Bloomberg]
La Cina è sempre meno vicina?
Si allargano a macchia d’olio in tutto il mondo le preoccupazioni verso il percorso di sviluppo e riforme intrapreso dalla Repubblica Popolare sotto la guida del presidente Xi Jinping. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sta pianificando di espandere il numero di funzionari dedicati al monitoraggio della Cina aggiungendo 20-30 nuove personalità a quello che molti hanno già rinominato “China House“, un ufficio dedicato esclusivamente all’osservazione e all’analisi delle mosse di Pechino. Il distaccamento aveva iniziato a prendere forma nel 2019 con l’intensificarsi della competizione tra i due Paesi, e oggi ritorna in cima alle priorità in politica estera dell’amministrazione Biden. Ma non tutti sono d’accordo: Susan Thornton, ex inviato del Dipartimento di Stato per l’Asia orientale dal 2017 al 2018, ha definito il programma una “cattiva idea”.
Anche l’Unione Europea sembra sempre più scettica nei confronti della direzione assunta dalla Cina, soprattutto in economia. La denuncia arriva da un gruppo di imprenditori del vecchio continente riuniti sotto l’ombrello della Camera di commercio europea in Cina, che avverte: “Ci sono segnali preoccupanti che la Cina si stia sempre più orientando verso l’interno, come si può vedere nel 14° piano quinquennale, e questa tendenza sta sollevando notevoli dubbi sulla futura traiettoria di crescita del Paese”. La riduzione dell’impegno internazionale di Pechino si riflette, secondo il gruppo, nelle restrizioni intorno alle attività straniere in Cina, il drastico calo dei professionisti europei (accelerato dalla pandemia) e la crescente pressione politica sia dentro che fuori i confini della Repubblica Popolare. La corrispondente diminuzione della concorrenza sul mercato voluta da Pechino “intaccherà l’ambizione della Cina di diventare leader nei settori ad alta tecnologia e comprometterà la sua, pur risultando in un mercato complessivamente meno dinamico e innovativo”, osserva il documento, che non manca di toccare anche la questione delle sanzioni incrociate e della competizione per la supremazia tecnologica. [Fonti: Foreign Policy, SCMP]
Ant Group consegna i propri dati alla Banca Centrale
Il ramo fintech di Alibaba, Ant Group, ha annunciato in una nota di aver iniziato il trasferimento dei propri dati presso un server affiliato alla Banca Centrale cinese. È l’ultimo passo avanzato dalla big tech per soddisfare la maggiore regolamentazione e controllo dei dati di operatori privati avviato dal governo cinese, che con la nuova legge per la protezione dei dati impone maggiori restrizioni alle aziende in tema di possesso e gestione dei dati sensibili dei clienti.
Più precisamente, a essere coinvolto è Huabei, il sistema di microcredito incorporato nel più ampio servizio di transazioni Alipay. Ora il ramo della Banca Centrale che si occupa delle informazioni sui crediti finanziari riceverà aggiornamenti mensili che comprendono la data di apertura del conto degli utenti, l’importo e l’utilizzo della linea di credito e lo stato dei rimborsi. [Fonte: SCMP]
A cura di Sabrina Moles
Formazione in Lingua e letteratura cinese e specializzazione in scienze internazionali, scrive di temi ambientali per China Files con la rubrica “Sustainalytics”. Collabora con diverse testate ed emittenti radio, occupandosi soprattutto di energia e sostenibilità ambientale.