La Cyberspace Administration of China ha ordinato la rimozione dell’applicazione di Didi Chuxing, “l’Uber cinese”, dagli store online per presunta violazione delle leggi sulla raccolta dei dati personali dei clienti. L’annuncio, pubblicato domenica sulla pagina WeChat del regolatore, afferma che l’app avrebbe utilizzato “illegalmente le informazioni personali” dei suoi 377 milioni di utenti attivi. Didi ha affermato che, mentre apporterà le modifiche richieste, i clienti e gli autisti che hanno già scaricato l’app potranno continuare a utilizzarla.
Il blocco dell’app arriva in un momento cruciale per l’azienda, che ha visto le sue azioni crollare a solamente una settimana dalla sua quotazione alla Borsa di New York: quello di Didi è stato il più grande debutto di una società cinese sulla borsa americana sin dal 2014, anno in cui Alibaba è sbarcata a Wall Street. Il diktat nei confronti di Didi rappresenta un’escalation del giro di vite lanciato dal governo cinese contro i Big Tech: ad aprile, Alibaba, il gigante dello shopping online co-fondato da Jack Ma, era stato multato con una somma record di 2,8 miliardi di dollari dopo che i regolatori antitrust avevano concluso che la società aveva avuto un comportamento monopolistico. Poche ore fa la Cyberspace Administration ha esteso le indagini a Zhipin.com e le app di truck-hailing Huochebang e Yunmanman. Il fatto che le case madri Kanzhun Ltd e Full Truck Alliance siano entrambe quotate negli States pare segnalare una certa apprensione riguardo al trattamento dei dati da parte di aziende con ingenti interessi all’estero. Senza giri di parole, il tabloid nazionalista Global Times ha fatto notare come i due principali azionisti di Didi siano aziende straniere: la giapponese SoftBank e Uber. [fonte SCMP, Reuters]
Cina: completata la prima passeggiata spaziale su Tiangong
Domenica 4 luglio due astronauti cinesi, Liu Boming e Tang Hongbo, hanno completato con successo la prima passeggiata spaziale della durata di 7 ore nella nuova stazione spaziale Tiangong. Gli astronauti sono partiti il mese scorso per una missione della durata di 3 mesi, la più lunga mai lanciata dalla Cina fino ad ora, che prevede due esplorazioni di simile durata: la prima ha avuto come obiettivo l’installazione di una telecamera panoramica sul Tianhe – il modulo principale della stazione spaziale – così come la messa a punto di un braccio robotico che verrà usato nelle prossime missioni per trasportare i nuovi moduli. Le riprese televisive trasmesse dalle reti nazionali cinesi mostrano i due astronauti mentre si preparano per la passeggiata spaziale effettuando tutti i controlli di routine, mentre dentro al modulo il comandante della missione Nei Haisheng guida Liu e Tang nelle operazioni.
Segno di grande prestigio per il paese che celebra il centesimo anniversario del Partito Comunista, la missione Tiangong è la prima missione cinese con equipaggio in quasi 5 anni – ed i progetti di Pechino rimangono ambiziosi: l’agenzia spaziale cinese ha in programma 11 lanci fino alla fine del 2022, incluse 3 missioni con equipaggio e 2 nuovi moduli di laboratorio per espandere la stazione ed assicurare i rifornimenti. Il presidente Xi Jinping ha affermato che la costruzione di Tiangong sta aprendo “nuovi orizzonti” nell’esplorazione del cosmo, sebbene in principio l’ambizione cinese nel costruire la propria stazione spaziale sia nata come conseguenza del divieto imposto agli astronauti cinesi dagli Stati Uniti di accedere alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). La ISS dovrebbe finire la sua missione nel 2024, ma la NASA ha già annunciato che la missione potrebbe essere prorogata fino al 2028; la missione Tiangong dovrebbe invece avere una durata di almeno 10 anni, durante i quali la Cina si impegnerebbe ad aprire le porte alla collaborazione internazionale. [fonte CNA]
Hong Kong: Pechino si vendica con el Falkland
Alla fine di giugno scorso, Geng Shuang, vice rappresentante permanente della Cina presso le Nazioni Unite, ha richiesto durante una sessione speciale sulla decolonizzazione la fine di tutte le forme di colonialismo occidentale, rinnovando altresì il proprio sostegno all’Argentina nella disputa tra Buenos Aires e Londra sulle Isole Falkland, che l‘Argentina chiama Isole Malvinas.
Sebbene la Cina abbia scarso interesse economico nelle Isole Falkland, la disputa sull’arcipelago è rilevante per l’attuale atmosfera geopolitica, in particolare nel contesto della relazione tra Pechino e Hong Kong. Infatti, quando nel 1982 Deng Xiaoping e Margaret Thatcher avevano iniziato a negoziare gli accordi per il passaggio di consegne a Hong Kong, la Gran Bretagna aveva appena vinto una guerra contro l’Argentina, che aveva invaso e occupato le isole Falkland.
Secondo i registri ufficiali del Partito Comunista, la Thatcher si sarebbe presentata ai colloqui per l’handover di Hong Kong orgogliosa “di aver vinto la guerra con l’Argentina”: in questa occasione, Deng aveva prontamente affermato al suo staff che “la Cina non è come l’Argentina, e Hong Kong non è come le Malvinas”. Questa frase è diventata emblematica per spiegare la ferma posizione adottata dalla Cina contro la Gran Bretagna in relazione ad Hong Kong. Il partito vedrebbe infatti ancora il Regno Unito come il “colonizzatore occidentale” colpevole, negli ultimi due anni, di interferire negli affari interni cinesi in nome della “sua fantasia coloniale”.
Le preoccupazioni su Hong Kong, così come una serie di altre questioni tra cui le accuse di violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, hanno spinto le grandi potenze occidentali, tra cui Gran Bretagna, Canada, Unione Europea e Stati Uniti, ad emettere sanzioni contro la Cina, che ha reagito con contro-sanzioni ed intensificato sempre più la sua retorica antioccidentale, accusando le potenze occidentali di essere “ipocrite” per avere una storia di colonialismo mentre criticano l’operato cinese ad Hong Kong. Bill Hayton, membro associato del think tank britannico Chatham House, ha sottolineato che il discorso di Geng Shuang non solo potrebbe essere un tentativo della Cina di cercare di respingere le critiche britanniche sul recente comportamento di Pechino a Hong Kong, ma anche un modo rafforzare le relazioni con l’Argentina. Il Sudamerica viene considerato il “cortile di casa” di Washington. [fonte SCMP]
Kuaishou dice addio agli straordinari obbligatori della domenica
Kuaishou, la celebra piattaforma cinese di mini-video, ha ufficialmente vietato gli straordinari del fine settimana che obbligavano i dipendenti a lavorare la domenica a settimane alterne. La notizia arriva mentre il settore tecnologico cinese è alle prese con le lamentele dei dipendenti, spesso costretti a turni esasperanti ed abusi sul posto di lavoro: a gennaio, la notizia di due morti tra i dipendenti del gigante dell’e-commerce Pinduoduo ha scatenato il dibattito nazionale sul famigerato “996”, l’orario di dalle 9:00 alle 21:00 sei giorni alla settimana.
Secondo alcuni analisti, l’ inasprimento normativo di Pechino contro i Big Tech cinesi potrebbe essere una delle ragioni che hanno spinto Kuaishou ad adattare il suo orario di lavoro; tuttavia vi è la possibilità che la nuova regola sia da interpretarsi come un gesto di facciata, poiché l’azienda potrebbe chiedere ai suoi team di continuare a lavorare “volontariamente” nei fine settimana: ciò si tradurrebbe in ingenti risparmi, poiché gli straordinari sono pagati circa il 20% in più delle normali ore di lavoro. La nuova politica lavorale adottata da Kuaishou ha generato aspettative anche nel personale del suo concorrente ByteDance, che, secondo alcune indiscrezioni riportate dai media cinesi, starebbe pensando di eliminare il fine settimana lavorativo a partire da luglio. ByteDance non ha rilasciato alcun commento a riguardo, ma il suo amministratore delegato Liang Rubo ha dichiarato che un sondaggio tra il personale avrebbe rilevato che un terzo dei dipendenti sarebbe favorevole al proseguimento degli straordinari domenicali, mentre solo un terzo si è detto contrario. [fonte FT]
Ha collaborato Alessandra Colarizi
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.