I titoli di oggi:
- Crisi ucraina: A breve telefonata tra Xi e Biden
- Alto funzionario hui sotto indagine
- CAC: “oltre un miliardo di account chiusi”
- Shenzhen supera New York per numero di miliardari
- Pompeo: Kim Jong-un apprezza la presenza americana nella penisola in chiave anti-cinese
Si terrà tra poche ore la prima telefonata tra Xi Jinping e Biden dall’inizio della crisi ucraina. Lo ha annunciato ieri la Casa Bianca, aggiungendo che la conversazione verterà su come “gestire la competizione tra i nostri due paesi e la guerra della Russia contro l’Ucraina”. Sembra che l’incontro tra Sullivan e Yang Jiechi a Roma sia servito a qualcosa, per quanto i commenti cinesi siano stati molto contenuti. Dal readout cinese traspare ancora una volta l’intenzione di sminuire l’importanza della crisi ucraina nelle relazioni bilaterali, descrivendo i colloqui principalmente come un follow-up della videocall tenuta da Xi e Biden a novembre. Il nuovo confronto arriva mentre l’Unione europea spera per una mediazione di Pechino.
Nella giornata di ieri Antony Blinken ha dichiarato che “la Cina si trova già dalla parte sbagliata della storia” a causa della sua posizione apparentemente filorussa. In tutta risposta stamani il ministero degli Esteri cinese ha ricordato che, mentre la Cina ha mandato all’Ucraina aiuti umanitari, Washington alimenta le violenze armando Kiev. Intanto, secondo fonti di Bloomberg, Xi & Co. sarebbero intenzionati ad annacquare l’effetto delle sanzioni internazionali contro Mosca.
L’impressione è che, dietro al tradizionale disimpegno, la diplomazia cinese si stia muovendo con passo felpato, soprattutto per smarcarsi dalle accuse occidentali di connivenza. Il virgolettato è d’obbligo perché, pur volendo, non è nemmeno chiaro in che misura Pechino sia in grado di intervenire. Se avete letto il nostro penultimo mini-ebook dovreste sapere che l’amicizia “senza limiti” tra Pechino e Mosca, in realtà, ha confine ben precisi. Di ieri la notizia, diffusa dal tabloid tedesco Bild, che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov sarebbe stato richiamato a Mosca mentre si trovava a bordo di un aereo diretto a Pechino.
La Cina ha manifestato più volte di preferire un’intercessione europea. Non solo perché ritiene che gli Stati uniti e la NATO siano i veri responsabili della guerra. Non solo perché considera umiliante agire sotto minaccia. Le relazioni con Washington rimangono gelide. Solo l’altro ieri il dipartimento di Giustizia americano ha incriminato cinque cittadini cinesi di intimidazioni ai danni di connazionali residenti negli States. Tra le vittime un dissidente coinvolto nelle proteste di piazza Tian’anmen e un avvocato, che tra le altre cose è anche il padre della pattinatrice Alysa Liu. I diritti umani sono anche alla base del ban comminato all’azienda di abbigliamento cinese Li-Ning, accusata di includere nella sua supply chain il lavoro forzato nordcoreano. E mentre gli enti regolatori dei rispettivi mercati sono vicini a un accordo per prevenire l’espulsione delle aziende quotate negli States, ieri Pacific Network e ComNet sono state bandite dal mercato statunitense per motivi di sicurezza nazionale.
La notizia positiva, secondo il Nikkei, è che quantomeno sia terminata la fase delle zuffe a telecamere accese. Se paragonato al meeting di Anchorage, l’ultimo incontro tra Sullivan e Yang ha visto i due mantenere toni morigerati. I colloqui sono stati “schietti, approfonditi e costruttivi”.
Alto funzionario hui sotto indagine
Il Partito ha avviato un’indagine per corruzione a carico di Wang Zhengwei, vicepresidente della Conferenza consultiva del popolo. Lo riposta in esclusiva il WSJ, specificando che il funzionario – di etnia hui – è accusato di aver promosso “la cultura musulmana sfrenata” e incoraggiato l’estremismo religioso. L’inchiesta copre il periodo in cui Wang ha servito come segretario del Partito nella regione del Ningxia, da cui proviene, e in seguito come capo della Commissione nazionale per gli affari etnici. L’agenzia, responsabile delle politiche etniche, nel 2020 è passata per la prima volta sotto la guida di un funzionario di etnia han. Segno della crescente diffidenza nutrita dalle autorità cinesi nei confronti dei gruppi minoritari.
CAC: “oltre un miliardo di account chiusi”
Oltre 22 milioni di informazioni illegali e circa un miliardo di account chiusi. E’ il bilancio della “Qinglang Operation”, la campagna lanciata nel 2021 dall’Amministrazione per la cybersicurezza cinese (CAC) con l’intento di ripulire il web, soprattutto di contenere gli eccessi del fandom. L’agenzia, che pochi giorni fa ha avviato un’indagine a carico di Douban, ha anticipato che quest’anno si concentrerà sul livestreaming e le piattaforme di short video, ma anche sulle frodi online, il comportamento illecito delle star e la violenza verbale. A questo proposito la CAC ha fatto sapere di essere già intervenuta dopo gli attacchi dei nazionalisti contro le atlete olimpioniche, Gu Ailing e Zhu Yi. Solo pochi giorni fa erano state annunciate possibili misure per limitare ulteriormente l’accesso dei minori ai servizi internet in particolare al gaming.
Negli ultimi anni la CAC ha ottenuto notevole potere. Protocol ne ha tracciato un profilo interessante, evidenziando come oltre ad agire come un’agenzia amministrativa, la CAC risponda al Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese.
Shenzhen supera New York per numero di miliardari
Shenzhen ha superato New York per numero di miliardari. Secondo Hurun Research Institute, sono 113 i miliardari a risiedere nella metropoli cinese, contro i 110 di New York. Numeri che la rendono terza a livello globale dopo Pechino e Shanghai, rispettivamente al primo e al secondo posto. Stando alla ricerca, in Cina si contano 1.133 individui con un patrimonio netto di oltre 1 miliardo di dollari, o un terzo dei 3.381 miliardari presenti in tutto il mondo. Nonché il 66% delle self-made woman a livello globale.
Il sorpasso sugli States – fermi a quota 716 – è avvenuto nel 2016. Contestualmente, tuttavia, la campagna di rettificazione lanciata nel 2020 contro le big tech ha colpito duramente alcuni dei più noti tycoon cinesi. Tra questi, Pony Ma, fondatore di Tencent Holdings, ha visto il proprio patrimonio netto ridursi del 30% a 52 miliardi, mentre Jack Ma di Alibaba Group Holding oggi ha un patrimonio di 33 miliardi, un terzo in meno rispetto all’inizio della stretta normativa.
Pompeo: Kim Jong-un apprezza la presenza americana nella penisola in chiave anti-cinese
“Man mano che abbiamo sviluppato la nostra relazione in modo più completo, ciò che è diventato molto chiaro è che (Kim) vede nella presenza degli Stati Uniti nella penisola coreana come un baluardo contro la sua vera minaccia, che proviene da Xi Jinping”. Lo ha dichiarato l’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo durante un discorso presso l’Heritage Foundation, aggiungendo che la Cina punta a un cambio di regime al Nord per acquisire “un po’ più di territorio, un po’ più di proprietà immobiliari e un po’ meno di libertà” lungo il confine condiviso. Le affermazioni di Pompeo – che ha accompagnato Trump ai vertici di Singapore e Hanoi – si discostano nettamente dalla posizione ufficiale di Pyongyang, che ha incluso tra le richieste per portare avanti negoziati sul disarmo proprio l’espulsione delle forze americane presenti al Sud.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.