In Cina e Asia — Crisi rohingya: per gli Usa è “pulizia etnica”

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Crisi rohingya: per gli Usa è “pulizia etnica”

Il trattamento riservato dai militari alla minoranza rohingya è a tutti gli effetti “pulizia etnica”. Lo ha dichiarato ieri Rex Tillerson spiegando che “questi abusi da parte di alcuni dell’esercito birmano, delle forze di sicurezza e dei vigilantes locali hanno causato tremende sofferenze e costretto centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini a fuggire dalle loro case in Birmania per cercare rifugio in Bangladesh”. Si tratta di una presa di posizione nell’aria da tempo. Durante la sua recente visita in Mynamar il segretario di Stato Usa si era trattenuto dall’usare il termine “pulizia etnica”, ma aveva minacciato l’introduzione di sanzioni mirate una volta appurata l’identità dei colpevoli. Secondo Tillerson la risoluzione della crisi, che ha già visto oltre 600mila rohingya lasciare il paese, è un requisito di fondamentale importanza per il riconoscimento di una transizione democratica del Myanmar.

Contemporaneamente, a Pechino, il generale Li Zuocheng ha rinnovato al collega birmano Min Aung Hlaing l’appoggio del gigante asiatico “davanti alla complessa e mutabile situazione sulla sicurezza regionale”: “la Cina desidera maggiori contatti tra le due forze armate nella formazione, e scambi tecnici più approfonditi per promuovere la cooperazione di difesa delle frontiere assicurando pace e stabilità lungo il loro confine comune”. Per Pechino la situazione è doppiamente sensibile. Non solo ricorda terribilmente i tentativi di sommersione etnica introdotti in Tibet e Xinjiang, ma rischia anche di minare gli investimenti economici iniettati negli ultimi anni nello stato Rakhine per via della sua posizione strategica nel Mare delle Andamane.

Vietato visitare il Vaticano

Pechino ha dato indicazioni perché nessuna agenzia di viaggio cinese mandi gruppi di turisti a visitare il Vaticano e la basilica di san Pietro adducendo come motivo la mancanza di relazioni diplomatiche tra la Cina e la Santa Sede. La direttiva, resa nota da Radio Free Asia, è stata diramata il 16 novembre e risulta confermata dall’agenzia di stampa vaticana ufficiale Asia News. Secondo un impiegato della Phoenix Holidays International Travel Agency, “ogni agenzia turistica che faccia pubblicità a queste destinazioni nelle sue brochure promozionali o in altre pubblicazioni sarà colpita da multe fino a 300mila yuan (oltre 39mila euro). La misura sembra volta ad arginare i contatti tra i turisti della laica Repubblica popolare, in crescita esponenziale, e la comunità cristiana che vive in Italia. La ripresa dei dialoghi fra la Cina e la Santa Sede ha accresciuto il flusso dei turisti-pellegrini e lo stesso papa Francesco, durante le sue udienze, si è volentieri soffermato vicino a gruppi di cinesi che sventolavano la loro bandiera rossa per salutarli personalmente e offrirsi per un selfie. Da qualche tempo Pechino e il Vaticano — che intrattiene rapporti diplomatici con Taiwan — hanno ripreso i colloqui per risolvere la questione delle nomine vescovili. E c’è chi ritiene che il bando sul turismo possa servire da incentivo ad accettare le condizioni avanzate dal governo cinese.

La lotta contro l’inquinamento lascia il Nord della Cina al gelo

La conversione verso le fonti energetiche pulite sta lasciando milioni di cinesi al gelo. Dallo scorso agosto, il governo cinese ha investito decine di miliardi di yuan in un grande progetto che prevede l’installazione di attrezzature, la costruzione di migliaia di chilometri di condotte e l’elargizione di sovvenzioni per coprire gli alti costi del gas. Stando alle promesse del ministero della Protezione ambientali, nei primi dieci mesi dell’anno tre milioni di abitazione nell’area di Pechino, Tianjin e dello Hebei sarebbero dovute essere rifornite di riscaldamenti elettrici o a gas. Ma mentre la temperatura è già scesa sotto lo zero, i ritardi nella costruzione delle infrastrutture necessarie e la carenza delle scorte ha di fatto lasciato buona parte della popolazione senza carbone e senza gas. Secondo la National Development and Reform Commission, il consumo di gas è salito del 15,2% su base annua a fronte di un aumento delle importazioni del 17,9%.

Tirocinanti 11 ore in fabbrica ad assemblare iPhone X

La Apple ha ammesso l’impiego di tirocinanti tra i 17 e i 19 anni presso uno stabilimento della Hon Hai Precision Industry, ovvero del gruppo Foxconn balzato alle cronache nel 2010 per un’ondata di suicidi. In fabbrica per l’usuale praticantato di tre mesi propedeutico al diploma, gli studenti della Zhengzhou Urban Rail Transit School si sarebbero sottoposti — su consiglio degli insegnanti — a orari di lavoro ben più duri (11 ore al giorno) rispetto a quanto consentito dalla legge cinese: 40 ore settimanali. “Abbiamo esaminato tutti questi casi e confermiamo che, mentre tutto il lavoro era volontario e compensato in modo appropriato, gli stagisti hanno fatto gli straordinari in violazione alla nostra politica”. Ma secondo Li Qiang, fondatore di China Labour Watch, “in definitiva, si tratta di esigenze di produzione. La Apple sapeva tutto da un paio di settimane fa, ma non aveva fatto nulla per risolvere la questione.” D’altronde i noti problemi di produzione registrati dal nuovo iPhone, relativamente all’approvvigionamento dei componenti, sono costati a Hon Hai un crollo del 39% negli incassi tra luglio e settembre. Nonostante un generico miglioramento, le condizioni di lavoro in Cina sono ancora bersaglio di critiche. Mercoledì Jiang Tianyong, noto avvocato per la difesa dei diritti umani, è stato condannato a due anni di prigione con l’accusa di sovversione, mentre all’inizio di quest’anno tre attivisti sono stati trattenuti dalla polizia per le loro indagini su una fabbrica di scarpe che riforniva il brand di Ivanka Trump.

Tencent vale più di Facebook — anche grazie alla censura

Il colosso tecnologico Tencent ha raggiunto un valore di mercato superiore ai 500 miliardi di dollari, diventando la prima azienda cinese a tagliare l’ambito traguardo. Questo vuol dire che la compagnia di Ma Huateng ha scavalcato il colosso dell’e-commerce Alibaba (474 miliardi) e Facebook (522 miliardi), andando ad ampliare la rosa già composta da Apple, Alphabet, Microsoft e Amazon. Proprio come Alibaba, negli ultimi anni Tencent ha ampliato il proprio business passando dalla piattaforma di messaggistica Wechat ad altri servizi, dai pagamenti online e le news fino ai videogame, che da soli hanno fruttato 5 miliardi di dollari soltanto nell’ultimo trimestre grazie al successone Honour Of Kings. E’ proprio grazie alla propria versatilità che Tencent è riuscita a inserirsi in modo pervasivo nella vita quotidiana dei cinesi, con la complicità del governo e dei molti paletti imposti alle società straniere operanti in Cina. Di queste ore la notizia che la società cinese ha ottenuto i diritti esclusivi per portare oltre Muraglia Playerunknown’s Battleground, il gioco più venduto al mondo di produzione sudcoreana. Ma a una condizione: che i contenuti “vengano adattati ai valori socialisti e alla cultura e tradizione cinese”. Quella di armonizzare i propri prodotti per aggirare la censura è la stessa strategia usata dal competitor NetEase Inc, che appena pochi giorni fa ha introdotto sullo sfondo dei suoi giochi di sopravvivenza striscioni con su scritto “salvaguardare la sicurezza nazionale, salvaguardare la pace nel mondo”.

Seul valuta l’interruzione delle esercitazioni militare con gli Usa

La Corea del Sud potrebbe decidere di interrompere le esercitazioni congiunte con gli Stati uniti a partire dal prossimo anno. Motivo? proteggere il paese da ulteriori provocazioni nordcoreane in previsioni delle Olimpiadi invernali che si terranno dal 9 al 25 febbraio a Pyeongchang. Secondo l’agenzia sudcoreana Yonhap, le decisione è nell’aria “da molto tempo” dal momento che Pyongyang ha sempre descritto le operazioni con gli Stati uniti “prove ufficiali” per un’invasione del Nord. La notizia arriva a poche ore dalla reintroduzione della Corea del Nord tra gli sponsor del terrorismo, decisione assunta da Trump e accolta con moderato supporto da Seul che ha specificato di essere favorevole nella misura in cui serva a ottenere la denuclearizzazione della penisola con mezzi pacifici. Questo, tuttavia, non ha impedito all’alleato americano di riavvicinarsi alla Cina nel corso di una serie di incontri tra i rispettivi vertici con la promessa di mantenere la linea dei “tre no”: nessun dispiegamento aggiuntivo del sistema antimissile THAAD; nessuna partecipazione al network di difesa missilistica degli Stati Uniti; nessuna creazione di un’alleanza militare trilaterale con Stati Uniti e Giappone. Un’interruzione delle esercitazioni Corea del Sud-Usa verrebbe proprio incontro alle richieste di Pechino, fautrice di una soluzione della crisi attraverso la “doppia sospensione” delle attività militari americane nella regione e dello sviluppo nucleare nordcoreano. Bocciata invece l’inasprimento delle sanzioni unilaterali aggiunte martedì da Washington contro le attività commerciali del Nord. Le sanzioni, che coinvolgono anche diverse società cinesi, stando alla Cina, sono “un metodo sbagliato per esercitare la propria giurisdizione sugli altri paesi”.