Il sistema dei crediti sociali – che prevede retribuzioni per i bravi e punizioni per i cattivi – estende le proprie diramazioni al mondo del business. Solo pochi giorni fa, il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha annunciato per la prima volta l’istituzione di un database delle piccole e medie imprese, contenente informazioni relative a “registrazione, licenze amministrative, sanzioni amministrative, liste nere, pagamenti fiscali, pagamenti di sicurezza sociale, bollette di servizi pubblici, stoccaggio e logistica”. Tali dati saranno condivisi con gli istituti commerciali “per correggere l’asimmetria informativa delle banche e migliorare il credito e la disponibilità di prestiti per quelle piccole e medie imprese con buoni punteggi”. Sono già circa 400.000 società le compagnie ad essere state schedate. Secondo il progetto quelle con un credito relativamente elevato otterranno priorità sui finanziamenti con tempi di attesa più brevi anche per le procedure amministrative, mentre le società di import-export con punteggi bassi avranno 180 volte più probabilità di essere sottoposte a controlli doganali. Stando agli esperti contattati dal Financial Times, l’impiego dei big data nelle valutazioni del credito suggerisce la volontà di Pechino di bypassare le banche e i governi locali che fino ad oggi hanno avuto ampio margine di manovra nei rapporti con le piccole imprese [fonte: Financial Times]
Ericsson indagata in Cina
Le autorità antitrust cinesi hanno aperto un’indagine contro Ericsson sulla scia delle lamentele di alcuni produttori di smartphone cinesi per presunte violazioni della legge anti-monopolio in riferimento all’assegnazione delle licenze dei diritti di proprietà intellettuale. Una mossa insolita che si inserisce nel braccio di ferro con Huawei per la leadership nel 5G. Dal 2011 a oggi, ogni anno Ericsson ha guadagnato circa 1 miliardo di dollari dai brevetto globali. Come ricorda il Global Times, l’azienda svedese era stata precedentemente indagata dalle autorità di Nuova Delhi per aver preteso esorbitanti royalty da un venditore di telefoni cellulari indiano per i suoi brevetti essenziali per lo standard. Nonostante le rassicurazioni della stampa cinese, si tratta del primo caso del genere da quando nel 2015 Qualcomm ha dovuto pagare una multa di 975 milioni di dollari per porre fine a un’indagine governativa di 14 mesi per violazioni della legge cinese contro la concorrenza sleale. “Ora che la Cina sta aprendo le sue porte alle società straniere e promette di creare un ambiente più accogliente, di conseguenza le compagnie straniere dovranno seguire le regole e i principi della Cina”, spiega Xiang Ligang, direttore della Information Consumption Alliance. Nel 2018, Ericsson ha superato per la prima volta Huawei diventando il principale fornitore di infrastrutture di telecomunicazione a livello mondiale [fonte: Global Times, Technode]
SenseTime si ritira dal Xinjiang
SenseTime, la startup cinese leader nell’intelligenza artificiale ha ceduto la sua parte in Tangli Technology , società specializzata nella sorveglianza in Xinjiang riducendo quasi allo zero le proprie attività di business la regione autonoma uigura che Pechino amministra con il pungo di ferro con lo scopo conclamato di combattere il terrorismo. Secondo un comunicato della società, la decisione sarebbe stata presa “per ragioni collegate allo sviluppo” delle operazioni aziendali. Nonostante le critiche dell’Occidente per la connivenza con cui il mondo del business asseconda la repressione delle minoranze, SenseTime è la prima società cinese a ritirarsi dal Xinjiang. La startup vanta tra i suoi azionisti tra gli altri le americane Fidelity International e Qualcomm [fonte: Financial Times]
Come uno scandalo alimentare sfocia in razzismo regionale
Non si placa l’ira dei social dopo l’ultimo scandalo alimentare che ha visto un insegnante di scuola materna nella provincia centrale dell’Henan finire agli arrestati con l’accusa di aver aggiunto nitrito di sodio nel portapranzi di almeno 23 bambini. Per molti, la provenienza sarebbe bastata da sola a rivelare la natura malvagia del colpevole. Lo Henan è infatti tra le province più colpite da una forma poco nota di razzismo interno, che supera le diseguaglianze etniche affliggendo la vita di molti cinesi han. Oltre allo Henan, le province nord-orientali di Heilongjiang, Jilin e Liaoning sono tra quelle più comunemente prese di mira dall’opinione pubblica, in parte perché sono le aree da cui proviene la maggior parte della forza lavoro migrante. Chi proviene da queste regioni viene spesso ritenuto litigioso e battagliero, mentre gli henanesi sono comunemente considerati ladri e imbroglioni, tanto che i criminali nei film spesso parlano il dialetto dello Henan. Sono diverse le aziende coinvolte in episodi accertati di razzismo regionali, tra cui i colossi iQiyi e Meituan. Colpa in parte delle lacune normative. Infatti, mentre la legge sul lavoro vieta le discriminazione per motivi collegati a etnia, sesso, religione, disabilità, background sociale e condizioni di salute, la provenienza non è menzionata [fonte: Economist]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.