I titoli di oggi:
- Covid: la Cina riaprirà a marzo?
- Il “pensiero Xi” negli statuti delle aziende cinesi
- La difficile visita di Scholz in Cina
- Corea del Sud: aperte le indagini dopo la tragedia di Itaewon
- Washington accusa Pyongyang di fornire munizioni a Mosca
Gli investitori stranieri sono alla disperata ricerca di segnali che la politica di Zero Covid della Cina si allenterà. E basta un semplice post non verificato circolato su WeChat per alimentare questa speranza. Uno screenshot di quattro paragrafi che descrivono nel dettaglio un piano di riapertura della Cina è stato sufficiente per consentire ai trader di raccogliere azioni per due giorni consecutivi, per un totale di 450 miliardi di dollari. Il piano – si legge – sarebbe stato presentato da Wang Huning, uno dei sette uomini del potente Comitato permanente del Politburo, la scorsa domenica davanti a una platea di esperti di Covid-19, membri dei dipartimenti economici e di propaganda. Wang avrebbe riunito i partecipanti su richiesta di Xi Jinping e presentato il piano graduale che consentirebbe l’apertura della Cina entro il prossimo marzo. Il governo di Pechino ha tuttavia mantenuto ufficialmente il silenzio sui rumors, mentre i media statali hanno ignorato la questione. In compenso, sempre ieri, la Commissione sanitaria nazionale ha convocato un incontro per studiare come “mantenere risolutamente l’approccio generale di ‘prevenire i casi importati e la recrudescenza domestica’ e la strategia generale di ‘Zero Covid dinamico’“.
Al momento, però, sembra difficile un cambio di passo del governo nella strategia Zero Covid. Le autorità cinesi hanno imposto il lockdown nell’area intorno al mega stabilimento della Foxconn di Zhengzhou, il più grande impianto al mondo per l’assemblaggio dei nuovi iPhone della Apple. Il piano, che riguarda 600mila persone fino al 9 novembre, intende stroncare i focolai di contagio e si presenta come una risposta a quelle fughe di massa dei lavoratori dei giorni scorsi, terrorizzati dall’idea di sottoporsi a ulteriori quarantene.
Il “pensiero Xi” negli statuti delle aziende cinesi
Il concetto di “gestione aziendale con caratteristiche cinesi” torna in auge nella Cina del terzo atto di Xi Jinping. Coniata dai funzionari cinesi intorno al 2017, la nozione descrive l’impegno delle aziende a rafforzare i legami con il Partito comunista cinese. A fare luce sul fenomeno è un’analisi di Nikkei Asia, che ha individuato più di due terzi delle società quotate in Cina, cioè 1.029 società su 1.526, – le cui azioni possono essere scambiate da investitori internazionali a Hong Kong- che hanno recentemente revisionato gli statuti interni per ufficializzare il ruolo delle cellule interne del Partito Comunista.
Non una novità, tuttavia. In Cina, infatti, tutte le aziende sono obbligate a creare cellule di Partito se nell’impresa ci sono almeno tre membri del Pcc. Ciò che sorprende, però, è che gli emendamenti ai regolamenti aziendali siano stati introdotti massicciamente durante l’era Xi. Le imprese, che vogliono consacrare il ruolo del Partito nei loro affari, non lesinano elogi per il presidente cinese. Nikkei Asia ha infatti constatato che gli statuti di 153 delle 1.029 società analizzate comprendono riferimenti a Xi. Diverse imprese hanno spiegato nelle rispettive informative che le revisioni erano intese a “migliorare ulteriormente lo standard operativo” o “migliorare la struttura di governo societario”, senza però precisare in che modo l’ufficialità delle attività del partito sia correlata a questi obiettivi. La Cina sotto Xi ha intensificato il controllo sulle aziende, comprese quelle private, come dimostrato dal modo in cui le autorità di regolamentazione di Pechino hanno represso il settore tecnologico.
La difficile visita di Scholz in Cina
Movimenti diplomatici su un doppio binario. Se da un lato Pechino si prepara ad accogliere il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la delegazione di industriali che lo accompagna, dall’altro rassicura la Francia sulla tenuta dei rapporti con i paesi dell’Ue. In una telefonata con il ministro degli Esteri francese Catherine Colonna, il responsabile degli Esteri cinese Wang Yi ha affermato che Pechino è disposta a promuovere il partenariato strategico globale con l’Ue e ad approfondire la cooperazione con la Francia nell’ottica della “continuità e stabilità”. Il colloquio telefonico, che si è tenuto il 1° novembre, precede quindi la trasferta in Cina del cancelliere tedesco. Scholz arriverà a Pechino il 4 novembre per una visita di 24 ore che si preannuncia complicata per le polemiche in Germania sul rapporto con la Cina e per la necessità di mantenere i legami con la seconda economia del pianeta. Ma il cancelliere tedesco, che sarà il primo leader occidentale a mettere piede a Pechino dall’inizio della pandemia di Covid-19, sembra avere le idee chiare. Scholz rifiuta il “disaccoppiamento” dalla Cina che, “anche in circostanze mutate, rimane un importante partner economico e commerciale per la Germania e l’Europa”. In un contributo per il quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, pubblicato in vista della sua visita a Pechino del 4 novembre, il capo del governo federale sostiene che la strategia economica della “doppia circolazione” attuata da Pechino “miri a rafforzare il mercato interno cinese e ridurre la dipendenza da altri Paesi”.
Ma Scholz non vuole abbassare la guardia sul rispetto dei diritti umani e sulle tensioni nell’Indo-Pacifico. Stando a quanto riportato da Agenzia Nova, secondo il cancelliere, con la Cina non si devono “ignorare argomenti difficili nello scambio reciproco” come il “rispetto delle libertà civili e politiche e dei diritti delle minoranze etniche” da parte delle autorità di Pechino, per esempio nello Xinjiang. Il cancelliere definisce poi “preoccupante” la situazione di tensione intorno a Taiwan e aggiunge come la Germania, con gli Usa e “tanti altri Paesi” , sostenga la politica di un’unica Cina.
Corea del Sud: aperte le indagini dopo la tragedia di Itaewon
Il governo sudcoreano e la polizia di Seul stanno vivendo un terremoto politico a seguito della strage che si è consumata ad Halloween a Itaewon, il distretto della movida della capitale, dove sono morti almeno 156 giovanissimi. Le scuse del ministro degli Interni, il mea culpa del capo della polizia e i tabulati delle 11 chiamate d’emergenza arrivate ore prima del massacro non proteggono l’esecutivo di Yoon Suk-yeol dalle polemiche per la più grave tragedia della recente storia sudcoreana. Otto stazioni della polizia metropolitana del distretto di Yongsan, che sovrintende il quartiere della vita notturna di Itaewon, sono state perquisite dagli investigatori della National Police Agency sudcoreana per indagare su quanto accaduto nella notte di Halloween. Gli agenti hanno anche sequestrato i tabulati delle 11 telefonate arrivate poche ore prima della tragedia. Parlando ai media martedì, il capo dell’Npa, Yoon Hee-keun, ha ammesso per la prima volta che la polizia ha commesso diversi errori. L’opposizione punta il dito contro l’esecutivo. Il principale partito di opposizione, il Partito Democratico, ha chiesto il licenziamento del ministro dell’Interno Lee Sang-min e del capo della polizia nazionale Yoon Hee-keun, in seguito alle rivelazioni secondo cui la polizia ha fatto poco anche dopo aver ricevuto 11 telefonate che ha preceduto la tragedia di Itaewon.
Washington accusa Pyongyang di fornire munizioni a Mosca
Gli Stati Uniti ritengono che la Corea del Nord stia segretamente inviando alla Russia un “numero significativo” di proiettili di artiglieria da impiegare durante la guerra in Ucraina, mentendo sulla destinazione delle forniture al momento della partenza. Secondo quanto dichiarato in conferenza stampa dal portavoce della Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, Pyongyang tenta di nascondere le spedizioni verso Mosca indicando come destinazione finale i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Secondo l’intelligence Usa, si tratterebbe di un altro segnale delle difficoltà della Russia a mantenere il proprio arsenale pienamente operativo nel conflitto in Ucraina.
A cura di Serena Console
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.