I titoli di oggi:
- Covid: Hong Kong fronteggia uno “tsunami”
- PIIE: l’accordo Cina-Usa “un fallimento”
- Il nazionalismo cinese alle Olimpiadi
- Riaperto il caso della donna disabile in catene
- Scontro tra Pechino e Londra sulle Falkland
- Africa: la Cina di oltre il doppio l’Occidente per finanziamenti
- Alibaba mette a frutto le prime obbligazioni sostenibili
- Taiwan: gli Usa approvano nuovo contratto militari
Covid: Hong Kong fronteggia uno “tsunami”
“Terribile”. Così Carrie Lam ha definito la situazione epidemica di Hong Kong, annunciando nuove misure restrittive: dal 10 febbraio, il tetto agli assembramenti nei luoghi pubblici sarà abbassato da quattro a due persone, mentre solo due nuclei familiari potranno riunirsi in abitazioni private. Luoghi di culto e parrucchieri dovranno inoltre sospendere le attività fino al prossimo 24 febbraio, data in cui l’accesso a ristoranti, palestre, saloni di bellezza, centri commerciali, supermercati, grandi magazzini e mercati sarà concesso solo a quanti abbiano ricevuto una prima dose di vaccino contro il Covid-19. I positivi saranno sottoposti al sistema della quarantena centralizzata nell’apposita struttura di Penny’s Bay. La chief executive ha spiegato che al momento la strategia “zero Covid”, promossa da Pechino, rappresenta l’opzione migliore. Ma, per alcuni esperti, l’ex colonia britannica rischia uno “tsunami” epidemico, soprattutto considerato il bassissimo tasso di vaccinati: solo il 50% degli over 70. Di poche ore fa la notizia di un decesso potenzialmente collegato al Covid, e che se confermato sarebbe il primo in cinque mesi. Recepito il messaggio negli ultimi giorni la popolazione ha provveduto a fare incetta di prodotti freschi. Nei mercati e supermercati i banchi della verdura sono stati depredati. Le spedizioni dalla Cina continentale arrivano a singhiozzo dopo la diffusione del virus tra i trasportatori. Lunedì il numero di nuovi casi nella regione amministrativa speciale era di oltre 600.
Intanto, nella Cina continentale, il virus continua a minacciare le aree di confine. Nella città di Baise, nel Guangxi, la provincia attigua al Vietnam, la situazione epidemica ha richiesto l’imposizione di una rigida quarantena oltre all’invio di una squadra sanitaria. Sono almeno 72 i nuovi casi registrati da sabato.
PIIE: l’accordo Cina-Usa “un fallimento”
Un “fallimento”. Così il think tank americano Peterson Institute for International Economics ha definito Così ha definito l’accordo commerciale tra Cina e Stati uniti, fortemente voluto da Trump. La Cina avrebbe dovuto incrementare le importazioni dagli Stati Uniti di 200 miliardi di dollari rispetto ai valori del 2017: tale impegno doveva comportare acquisti dagli Stati Uniti per un importo complessivo di almeno 502,4 miliardi di dollari nell’arco degli ultimi due anni. Ma, secondo le analisi dell’istituto, tra il 2020 e il 2021 le esportazioni Usa verso la Cina sono state di appena 288,8 miliardi di dollari, ovvero 213 miliardi di dollari in meno rispetto agli accordi presi. “Alla fine, la Cina ha acquistato appena il 57 per cento delle esportazioni Usa che aveva promesso di acquisire“, afferma lo studio. Da mesi si lavora all’organizzazione di un incontro tra i rispettivi team, ma secondo Politico, le divergenze all’interno dell’amministrazione Biden impediscono la definizione di una strategia cinese. Mantenere o rimuovere le tariffe, questo è il problema.
Il nazionalismo cinese alle Olimpiadi
Una “vergogna”. Alla seconda caduta, il nazionalismo dei netizen cinesi è stato incontenibile. Esibendosi nel pattinaggio libero femminile, lunedì l’atleta cinese Zhu Yi ha commesso un nuovo errore scivolando a terra. Presa di mira con l’hashtag “Zhu Yi è caduta”, su Weibo la 19enne è stata oggetto di critiche feroci da parte degli utenti. Ma pare più per le sue origini che per la performance sportiva in sé. Al secolo Beverly Zhu, l’atleta è infatti nata a Westwood (California) da genitori cinesi. “Perché è stata scelta proprio lei per rappresentare la Cina invece di un atleta nata nel nostro Paese?”, si è chiesto qualcuno. “Sono sconvolta e un po’ imbarazzata. Ho avvertito molta pressione – ha spiegato Zhu Yi, attribuendo velatamente la sua prestazione negativa alla reazione del pubblico.
Negli ultimi anni il nazionalismo cinese, spesso pilotato dall’alto per motivi di politica estera, si è rivelato più volte un’arma a doppio taglio. A segnalare un ripensamento delle autorità, gli hashtag relativi alla caduta sono stati più tardi censurati, forse per non turbare il clima dei Giochi. Tutt’altra accoglienza è stata riservata a Eileen Gu, la sciatrice freestyle- come Zhu – nata e cresciuta negli Stati Uniti che ha deciso di gareggiare con la Cina in virtù delle origini materne. Gu, che ha conquistato il suo primo ora nella giornata di ieri, è considerata un vero mito oltre la Grande Muraglia. Secondo Jane Li, giornalista di Quartz, la popolarità della diciottenne – che è anche una modella – ha motivazioni che trascendono il talento sportivo. La sua bellezza e la sue origini sino-americane sono tra i fattori più apprezzati in Cina, dove negli ultimi anni si è diffusa una morbosa predilezione per i bambini misti.
Riaperto il caso della donna disabile in catene
Il governo cinese ha avviato nuove indagini sul caso della donna affetta da disabilità mentale e tenuta con una catena al collo in un villaggio del Jiangsu. Dopo aver inizilamente escluso la pista del traffico di esseri umani, le autorità hanno riaperto il caso una volta valutate le incongruenze nel racconto dei testimoni. Secondo i nuovi dettagli, Xiao Huamei, questo il suo nome, è originaria dello Yunnan, provincia molto distante dal villaggio di Xuzhou dove è stata ritrovata. Madre di otto figli, si sospetta sia stata venduta al suo attuale marito, una pratica comune nelle campagne cinesi dove il disavanzo tra i sessi lascia molti uomini senza possibilità di trovare una compagna. Ora le responsabilità potrebbero ricadere sulle autorità locali, accusate dal team investigativo di non aver verificato con attenzione le informazioni sull’identità della donna al momento del matrimonio.
Scontro tra Pechino e Londra sulle Falkland
Cina e Gran Bretagna sono nuovamente ai ferri corti. Motivo? Se state pensando a Hong Kong siete fuori strada. Stavolta il pomo della discordia sono le isole Falkland, controllate da Londra – dal 2013 col sostegno di un referendum popolare – ma rivendicate dall’Argentina, con l’endorsement cinese. Incontrando il presidente argentino Alberto Fernández, nel weekend Xi Jinping ha rinnovato il supporto di Pechino nello storico contenzioso. Una posizione ribadita ieri dall’ambasciata cinese a Londra con maggiore veemenza, nonostante la reazione furibonda del ministero degli Esteri britannico. Il comunicato della missione diplomatica cinese invita le parti a risolvere la disputa il prima possibile con mezzi pacifici, attraverso il dialogo, come disposto dall’Onu: “Speriamo che il Regno unito fornisca quanto prima una risposta positiva alle richieste dell’Argentina”. Secondo gli esperti, il governo cinese – già in passato critico nei confronti della “mentalità colonialista” britannica – si attiene alla posizione di epoca maoista. Ma con un occhio all’attualità: non è un caso che Fernández abbia contraccambiato il favore a Xi riaffermando la sovranità cinese su Taiwan.
Africa: la Cina di oltre il doppio l’Occidente per finanziamenti
La presenza cinese in Africa è ormai leggenda. Il credito elargito da Pechino ha permesso al continente – almeno in parte – di ridurre il grave deficit infrastrutturale. E, sebbene oggi alcune capitali africane si trovino a fronteggiare un’elevata esposizione debitoria, i progetti cinesi sono ancora ampiamente benvenuti. Perché? La risposta la fornisce in parte un report del think tank Center for Global Development, secondo il quale , nell’Africa subsahariana “Tra il 2007 e il 2020, China Exim Bank e China Development Bank hanno fornito finanziamenti per 23 miliardi di dollari, mentre tutte le altre principali istituzioni finanziarie internazionali messe insieme hanno stanziato appena 9,1 miliardi di dollari”. Intanto proprio in queste ore una delegazione del Somaliland, stato indipendente non riconosciuto dalla comunità internazionale, si trova a Taiwan, con cui mantiene rapporti sempre più stretti dall’apertura di un ufficio di rappresentanza nel 2020. Taipei, che ha perso quasi tutti i suoi alleati africani, sembra intenzionata a fare il possibile per mantenere almeno una minima presenza nel continente.
Alibaba mette a frutto le prime obbligazioni sostenibili
Efficienza energetica, edifici verdi, risposta alla pandemia, energie rinnovabili ed economia circolare. Sono alcuni dei settori ad aver beneficiato dei 986,9 milioni di dollari raccolti dal gruppo Alibaba con le prime obbligazioni sostenibili, emesse nel febbraio dello scorso anno per uniformare la strategia aziendale alle nuove priorità della leadership cinese. In tutto sono 12 i progetti avviati nell’ambito del piano. Quasi il 46% dei proventi è andato nella costruzione di data center sostenibili, noti per l’elevato dispendio energetico, mentre circa il 35,7% dell’obbligazione è stato speso per la costruzione e la ristrutturazione di edifici verdi. Il resto è stato ripartito tra gestione del Covid-19, l’acquisto di energia solare ed eolica, il riciclaggio e la gestione dei rifiuti. Sono sforzi che vanno letti sul lungo periodo: allineandosi agli obiettivi nazionali, Alibaba ha promesso di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030. Altre Big Tech, come JD e Tencent, hanno in cantiere iniziative simili.
Taiwan: gli Usa approvano nuovo contratto militari
Mentre il pressing cinese nello Stretto non accenna a diminuire, Washington ha approvato un contratto da 100 milioni di dollari per rafforzare le capacità di difensive di Taiwan in risposta alle pressioni militari della Cina ai danni dell’Isola. Il dipartimento di Stato Usa ha annunciato il 7 febbraio che l’accordo – il secondo dall’arrivo di Biden alla Casa Bianca- prevede la manutenzione e il supporto alle batterie di difesa missilistica Patriot già in dotazione alle forze armate di Taipei. Il ministero della Difesa di Taiwan ha confermato la notizia tramite il proprio profilo Twitter ufficiale, esprimendo i propri ringraziamenti al governo Usa. La risposta di Pechino non si è fatta attendere. Secondo il ministero degli Esteri cinese, l’accordo viola il principio “una sola Cina” e gli storici tre comunicati. Pechino si avvale il diritto di rispondere con non meglio precisate misure.
A cura di Alessandra Colarizi
Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.