I titoli di oggi:
- Cina ed UE definiscono standard comuni per la finanza verde
- Pechino e Kabul riprendono lentamente le relazioni commerciali
- Cina: la sicurezza nazionale in mano alla leadership
- Hong Kong: accademia e giornalismo vittime della legge sulla sicurezza nazionale
- Chiude importante centro cinese per i diritti LGBTQ
La Cina e l’UE hanno raggiunto un accordo su una serie di standard per definire i progetti verdi, intitolata Common Ground Taxonomy — Climate Change Mitigation, con l’obiettivo aiutare le imprese sostenibili cinesi ed europee ad attrarre maggiori investimenti ed intensificare la cooperazione sino europea nella finanza verde. La nuova tassonomia elenca 80 attività economiche in sei settori che sono stati definiti sostenibili sia dalla Cinaà che dall’UE: l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca; la produzione e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore; la costruzione; le attività di approvvigionamento idrico e fognario e la gestione dei rifiuti, il trasporto e lo stoccaggio. Il nuovo documento definisce inoltre criteri per misurare il contributo di un progetto alla mitigazione del cambiamento climatico. Secondo quanto dichiarato dalla People’s Bank Of China, si prevede che il nuovo accordo sosterrà la cooperazione in materia di finanza verde Cina-UE e mobiliterà finanziamenti transfrontalieri per il clima riducendo il costo della certificazione verde per le transazioni transfrontaliere. Alla fine del 2020, la Cina era il più grande emittente mondiale di prestiti verdi, nonché il secondo mercato più grande per le obbligazioni verdi. Tuttavia, ciò era in parte dovuto ai requisiti piuttosto bassi per la definizione dei progetti verdi: l’allineamento agli standard internazionali rappresenta per Pechino una maniera di realizzare i suoi obiettivi “dual carbon” – raggiungere il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e emissioni nette pari a zero entro il 2060. Per far ciò, la Cina dovrà investire più di 100 trilioni di yuan (15,6 trilioni di dollari) in progetti ecologici nazionali da realizzare con il sostegno di un sistema finanziario aperto ed efficiente che favorisca un flusso efficace di capitale verde. [fonte Caixin]
Pechino e Kabul riprendono lentamente le relazioni commerciali
Riprende a piccoli passi il commercio tra l’Afghanistan e la Cina, dove lunedì scorso sono arrivate 45 tonnellate di pinoli afgani. Il carico è stato il primo export afgano a giungere in Cina da quando i talebani hanno ripreso il potere a Kabul. L’ambasciatore cinese in Afghanistan Wang Yu, che ha partecipato a una cerimonia all’aeroporto di Kabul con funzionari talebani, ha annunciato su Twitter l’arrivo della spedizione a Shanghai, aggiungendo che la Cina invierà aiuti umanitari di emergenza, comprese coperte, cappotti e forniture mediche, in Afghanistan tramite ferrovia dallo Xinjiang. La Cina ha stabilito il collegamento aereo commerciale con l’Afghanistan nel 2018. L’anno successivo, le due parti hanno firmato un accordo in base al quale la Cina avrebbe dovuto aumentare le sue importazioni di pinoli a 62.000 tonnellate nei successivi cinque anni, una mossa ampiamente vista come un tentativo di Pechino per stabilizzare l’Afghanistan, vitale per la sicurezza della provincia occidentale dello Xinjiang. Il commercio tra i due paesi è stato in gran parte interrotto lo scorso anno a causa della pandemia di Covid-19 e dell’escalation del conflitto tra i talebani e le forze governative afgane. Pechino non ha riconosciuto ufficialmente il governo talebano, ma durante la sua visita a Doha due settimane fa, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato una delegazione guidata dal vice primo ministro ad interim Mullah Abdul Ghani Baradar e dal ministro degli Esteri ad interim Amir Khan Muttaqi. Le due parti hanno discusso delle relazioni bilaterali e hanno concordato di istituire un meccanismo a livello pratico, sebbene non siano stati forniti ulteriori dettagli. La Cina è il terzo partner commerciale dell’Afghanistan, dopo Pakistan e Iran, ma il commercio bilaterale rimane limitato ai prodotti agricoli, che includono anche zafferano e melograni. Nel 2020, il commercio bilaterale è stato di soli 550 milioni di dollari, meno dello 0,1 per cento del commercio complessivo della Cina. [fonte SCMP]
Cina: la sicurezza nazionale in mano alla leadership
Alcune recenti modifiche alle procedure legislative permettono ora al presidente Xi Jinping di avere un maggior controllo su tutte le questioni relative alla difesa del territorio cinese e alla mobilitazione dei civili in caso di guerra. Mentre l’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese, rimane l’organo legislativo di riferimento, le nuove direttive permetteranno al PCC di bypassare il Comitato permanente dell’Assemblea – che si riunisce all’incirca ogni uno o due mesi – per approvare gli emendamenti a tutte le leggi di difesa nazionale. Il PCC potrà, tra le altre cose, decidere l’età massima e minima dei cittadini che potranno essere chiamati alle armi in caso di guerra, attualmente fissata a 18-60 per gli uomini e 18-55 per le donne. Tra le ragioni della necessità di portare la difesa nazionale sotto il controllo diretto del partito vi sono le crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti, nonché le relazioni con Taiwan e la disputa nel Mar Cinese Meridionale. Mentre Washington lavora per rafforzare la cooperazione con Taipei, l’Unione Europea e il Giappone per contrastare militarmente l’influenza cinese, Pechino sta intensificando gli sforzi di reclutamento militare. Xi, che presiede la Commissione militare centrale, a ottobre ha approvato l’estensione delle prestazioni mediche ai genitori, ai coniugi e ai genitori dei coniugi del personale militare. Pechino affinato anche i suoi strumenti di propaganda: ottobre, il Dipartimento per la pubblicità del Partito Comunista ha ordinato alle emittenti televisive regionali di Shanghai e quelle provinciali di Jiangsu, Zhejiang e Hunan, di limitare la produzione di programmi di intrattenimento ed incorporare l’ideologia del pensiero di Xi Jinping ed i temi relativi al centenario del Partito Comunista in spettacoli, documentari e cartoni animati fino alla fine di quell’anno. [fonte Nikkei]
Hong Kong: accademia e giornalismo vittime della legge sulla sicurezza nazionale
La libertà di parola nelle università e sulla stampa comincia a vacillare a Hong Kong, come conseguenza della legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino l’anno scorso. Il sondaggio inaugurale sulla libertà di stampa del Foreign Correspondents’ Club (FCC) dell’ex colonia britannica ha infatti dipinto un quadro pessimistico del panorama mediatico della città: ben l’ 84 per cento dei giornalisti intervistati ha affermato che le condizioni di lavoro nel centro finanziario asiatico sono peggiorate, mentre il 56 per cento ha precisato di essersi autocensurato nel proprio lavoro di giornalista per timore di ripercussioni sulla base della legge sulla sicurezza nazionale. Il 46% potrebbe lasciare la città. L’ex colonia britannica è stata per decenni una base per i media internazionali, ma dopo la legge sulla sicurezza, il New York Times ha spostato parte delle sue operazioni di Hong Kong a Seoul, citando l’incertezza sulle prospettive della città come hub giornalistico. A giugno scorso, anche il quotidiano Apple Daily è stato costretto a chiudere, dopo che molti dei suoi dirigenti e editori sono stati arrestati ai sensi della legge. I timori per il continuo degradarsi della libertà di parola ed espressione ad Hong Kong sembrano concretizzarsi anche nel mondo dell’accademia: secondo alcuni studenti intervistati da Reuters, alla Hong Kong Baptist University, almeno una telecamera a circuito chiuso è presente nell’aula magna, ed un fotografo non identificato ha scattato delle foto agli studenti. Ad aggravare il quadro, l’obbligo per tutti gli studenti di seguire corsi che mettono in guardia sulle possibili conseguenze della violazione della legge sulla sicurezza nazionale. Un attacco alla libertà accademica nel sistema di istruzione universitaria in stile occidentale di Hong Kong, secondo numerosi critici. Dall’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale lo scorso anno, almeno sei accademici liberali sono stati costretti a lasciare i loro lavori universitari e numerosi sindacati studenteschi sono stati sciolti. A partire dal prossimo anno, le università dovranno alzare quotidianamente la bandiera nazionale cinese. Il giro di vite fa parte di una mossa più ampia per neutralizzare il movimento pro-democrazia a Hong Kong. Più di 150 persone, tra cui molti politici dell’opposizione, sono state arrestate per aver messo in pericolo la sicurezza nazionale negli ultimi 16 mesi, mentre scuole, chiese, biblioteche, librai e registi sono state tutte soggette a controlli più severi. [Reuters, ST]
Chiude importante centro cinese per i diritti LGBTQ
Giorni bui per l’attivismo sui diritti LGBTQ in Cina: LGBT Rights Advocacy China ha annunciato giovedì scorso la cessazione di tutte le attività e la chiusura dei suoi account sui social media.Il gruppo è noto in tutta la Cina per il suo attivismo in favore dei diritti delle persone gay e per il suo impegno di sensibilizzazione sulle tematiche di genere, di sessualità e di inclusione. Il gruppo è uno delle poche associazioni cinesi di attivismo pro-LGBTQ che ha sostenuto apertamente la necessità di modificare le leggi vigenti in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso e discriminazione sul posto di lavoro, aiutando le persone a citare in giudizio i loro ex datori di lavoro per casi legati a queste tematiche. Il fondatore del gruppo, Peng Yanzi, non ha rilasciato alcuna informazione riguardo alle motivazioni della cessata attività, ma non è la prima volta che LGBT Rights Advocacy China finisce nei guai: qualche mese fa, alcuni avvocati che si erano esposti su dei casi portati in tribunale con l’aiuto dell’associazione avevano smesso di esercitare in circostanze poco chiare.Sebbene al momento non vi siano indicazioni che il gruppo sia stato chiuso per volere delle autorità, Pechino è sempre più attento alle tematiche di genere e sta ampliando il suo controllo sulle organizzazioni per i diritti LGBTQ: venerdì, il Ministero degli Affari Civili ha annunciato di aver avuto a che fare con 3.300 organizzazioni sociali illegali, secondo l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, chiudendo circa 200 siti Web illegali e account di social media individuali che non erano registrati presso alcun ente governativo. L’omosessualità non è un crimine in Cina e nelle città più grandi l’ambiente sociale permette alle persone LGBT di socializzare senza troppe paure o discriminazioni. Tuttavia, sono aumentate le restrizioni sui gruppi di advocacy e la censura online: a luglio, WeChat ha chiuso decine di account gestiti da studenti universitari e gruppi no-profit su argomenti LGBT e WeChat e altre piattaforme di social media sono state spesso accusate di eliminare i contenuti correlati a tali tematiche. [fonte AP]
A cura di Sharon De Cet
Classe ’94, valdostana, nel 2016 si laurea con lode in lingua cinese e relazioni internazionali presso l’Università cattolica del sacro cuore di Milano. Nonostante la sua giovane età, la sua passione per la cultura cinese e le lingue la portano a maturare 3 anni di esperienza professionale in Italia, Svezia, Francia e Cina come policy analyst esperta in Asia-Pacifico e relazioni UE-Cina. Dopo aver ottenuto il master in affari europei presso la prestigiosa Sciences Po Parigi, Sharon ora collabora con diverse testate italiane ed estere, dove scrive di Asia e di UE.