La diplomazia tra Cina e Russia è suggellata anche dall’energia nucleare. Nella giornata di ieri, il presidente cinese Xi Jinping e il premier russo Vladimir Putin hanno assistito da remoto alla cerimonia che ha dato il via alla costruzione di quattro nuovi reattori avanzati, alimentati dalla tecnologia nucleare russa di terza generazione, nelle due centrali nucleari cinesi di Tianwan nel Jiangsu e in quella di Xudapu nel Liaoning. Una volta completati, i quattro nuovi reattori, che si aggiungono ai 19 già presenti in Cina, avranno una capacità di generare annualmente energia combinata per 37,6 miliardi di chilowattora, abbassando le emissioni di diossido di carbonio di 30,68 milioni di tonnellate all’anno attraverso la riduzione dell’uso di combustibili fossili.Per il governo di Pechino l’iniziativa, che rientra nell’ambito di un accordo per l’energia nucleare da 2,9 miliardi di dollari firmato nel 2018, mira ad aumentare la produzione energetica del nucleare per arrivare al raggiungimento dell’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2060. La cooperazione bilaterale nucleare, però, vuole proporsi anche come modello nel sistema di governance dell’industria energetica globale, promuovendo l’innovazione tecnologica e scientifica da applicare all’energia nucleare. L’appuntamento è stato anche l’occasione per dare maggiore impulso al commercio tra i due paesi, tanto che Pechino e Mosca hanno dichiarato di voler aumentare il volume degli scambi bilaterali a 200 miliardi di dollari entro il 2024. L’incontro ha anticipato l’appuntamento diplomatico di oggi tra il Segretario di Stato americano Antony Blinken e l’omologo russo Sergey Lavrov, che si terrà a margine della riunione ministeriale del Consiglio artico. Proprio sul tema della governance marittima, Blinken ha confermato la postura di difesa degli Stati Uniti nelle rotte dell’Artico e del Mar Cinese Meridionale, per contenere la presenza massiccia di flotte cinesi e russe. [fonte SCMP, GT]
Gli Usa bloccano un carico della Uniqlo per presunti connessioni con lo Xinjiang
Un nuovo caso riguardante il cotone proveniente dallo Xinjiang rischia di far accendere uno scontro politico e alimentare un boicottaggio. L’agenzia doganale degli Stati Uniti ha bloccato lo scorso gennaio una spedizione di camicie di cotone della Uniqlo, il principale marchio del più grande rivenditore di abbigliamento asiatico Fast Retailing. Le autorità doganali hanno deciso di bloccare il carico in seguito alla violazione di un ordine che proibisce l’importazione di articoli che potrebbero essere prodotti dallo Xinjiang Production and Construction Corps, di proprietà statale cinese, dove si farebbe ricorso al lavoro forzato degli uiguri. Il blocco è avvenuto al porto di Los Angeles e, secondo un documento della US Customs and Border Protection datato 10 maggio, Uniqlo non avrebbe fornito informazioni sufficienti per stabilire se gli articoli non sono stati prodotti nella regione cinese dello Xinjiang. Ma l’azienda non accetta il limite dell’agenzia doganale Usa e afferma di disporre di misure per identificare eventuali violazioni dei diritti umani e dei lavoratori. Non è chiaro se gli Stati Uniti abbiano bloccato altre spedizioni da Uniqlo o altri marchi in base all’ordine emesso dall’amministrazione Trump a dicembre. Una ricerca di precedenti sentenze della dogana degli Stati Uniti non ha mostrato altri documenti relativi a recenti azioni che vietano l’ingresso di prodotti per i loro presunti legami con le aziende dello Xinjiang. [fonte Bloomberg]
La Banca cinese dice stop alle transazioni in criptovalute
Le autorità cinesi hanno vietato agli istituti finanziari e ai fondi di investimento di fornire servizi relativi alle transazioni di criptovaluta, mettendo in guardia gli investitori sulle speculazioni finanziarie delle monete virtuali. In un comunicato congiunto diramato dall’Associazione nazionale finanziaria online cinese, l’Associazione delle banche cinesi e l’Associazione di pagamenti e trasparenza, si precisa come la direttiva, che arriva proprio dalla Banca popolare cinese, imponga agli istituti bancari, compresi quelli con canali di pagamento online, di non offrire ai clienti alcun servizio che coinvolga criptovaluta, come registrazione, negoziazione, compensazione e regolamento. Per Pechino le criptovalute costituiscono un pericolo per “la sicurezza delle proprietà dei cittadini e danneggiano l’ordine finanziario ed economico”. Tuttavia, nel documento della Banca centrale non sono citati divieti per una specifica criptovaluta, né sono imposti limiti ai singoli cittadini. Le nuove limitazioni imposte dalla Cina hanno fatto crollare le quotazioni di Bitcoin, che sono scese sotto la soglia dei 40 mila dollari con un calo pari al 9 per cento. Ma se le autorità finanziarie sono preoccupate per la speculazione, il governo è anche preoccupato per l’impatto dell’estrazione di criptovaluta sul consumo di energia e sull’ambiente. La regione autonoma della Mongolia Interna, che ha recentemente avviato una campagna per eliminare l’estrazione di criptovalute nel tentativo di ridurre le emissioni di carbonio, ha lanciato una piattaforma dove i cittadini possono segnalare le attività illegali di mining di criptovalute svolte da aziende, ma anche da società che godono di vantaggi fiscali, di terreni così come di energia e che operano come un data center o un’attività che offre servizi di affitto di terreni per operazioni di criptazione. [fonte Reuters, Caixin]
Taiwan nella morsa del coronavirus
Il coronavirus colpisce la virtuosa Taiwan. Se il paese da 23 milioni di abitanti ha registrato dall’inizio della pandemia solamente una decina di decessi e un migliaio di contagi, ora la situazione sta cambiando. Taiwan ha mostrato al mondo intero l’efficacia dei provvedimenti adottati, come la chiusura delle frontiere e il tracciamento massiccio dei contagiati, all’indomani dei primi casi di polmonite acuta che si sono presentati in Cina a fine dicembre 2019: una condizione che ha permesso ai cittadini taiwanesi di vivere la loro quotidianità in una semi normalità, mentre tutto il mondo adottava restrizioni severe per contenere il contagio da Covid-19. Questo sistema sta mostrando le sue debolezze. L’isola sta ora conoscendo una recrudescenza di casi a causa del rilassamento delle restrizioni delle scorse settimana. Ma, soprattutto, a causa di una campagna vaccinale quasi inesistente. Le autorità sanitarie di Taiwan hanno registrato nella sola giornata di ieri 267 nuove infezioni, portando il totale negli ultimi giorni a 1.291: un numero piccolo in termini globali, ma sorprendente in un paese che, prima del 1° maggio, aveva registrato solamente 1.132 casi dall’inizio della pandemia. A far incrementare i contagi è la diffusione della variante inglese della Covid-19, entrata nel paese da un equipaggio aereo a seguito delle decisioni del governo di Taiwan di ridurre la quarantena per i piloti non vaccinati e altri membri dell’equipaggio da cinque a tre giorni. Il cluster è da individuare nel Novotel Hotel presso l’aeroporto internazionale di Taoyuan, dove non sono previste aree distinte tra i clienti in quarantena e quelli negativi al coronavirus. Nella giornata di ieri il governo di Taipei ha deciso di applicare restrizioni a tutto il territorio nazionale, imponendo la chiusura di luoghi pubblici e attività di intrattenimento, oltre a esortare le aziende a consentire ai propri dipendenti di lavorare da casa. Le scuole, così come le università, terranno lezioni in remoto per almeno due settimane. Anche l’ingresso ai turisti stranieri è vietato per almeno un mese, fatta eccezione per i casi di comprovata emergenza. Con queste misura il governo spera di allontanare lo spettro di un totale lockdown, che potrebbe invece essere attivato se saranno registrati 100 nuovi casi giornalieri per 14 giorni consecutivi. Per contrastare la diffusione del virus, il governo cerca di ampliare la catena di approvvigionamento dei vaccini per velocizzare la campagna, che ha permesso a circa l’1 per cento dei taiwanesi di avere la prima dose di un siero. A partire da martedì, Taiwan ha ottenuto oltre 720mila dosi del vaccino AstraZeneca, mentre attende per il mese di giugno l’arrivo di 5 milioni di quelle di Moderna dagli Stati uniti. [fonte DW, Bloomberg, NIKEI]
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.