I titoli di oggi:
- Cina e Russia: rinnovata l’”amicizia senza limiti”
- Due giudici britannici lasciano l’alta corte di Hong Kong
- La stretta di Pechino riduce l’attività delle imprese private
- I dati genetici sono la nuova risorsa nazionale per la Cina
Le relazioni tra Cina e Russia hanno resistito alla nuova prova della mutevole situazione internazionale, hanno mantenuto la corretta direzione del progresso e hanno dimostrato un tenace slancio di sviluppo. In corretto linguaggio diplomatico cinese, il ministro degli Esteri di Pechino Wang Yi ha rinnovato l’”amicizia senza limiti” sino-russa nel bilaterale avuto a Tunxi, nell’Anhui, con il suo omologo russo Sergey Lavrov, tenuto a margine della terza riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi confinanti con l’Afghanistan. E’ la prima visita del capo della diplomazia russa in Cina da quando è iniziata la guerra in Ucraina.
Mentre il mondo guarda come si comporta Pechino con Mosca, in seguito all’invasione russa del Paese guidato da Zelensky, i due titolari degli Affari Esteri hanno confermato “una più ferma volontà di sviluppare relazioni bilaterali e una maggiore fiducia nel far progredire la cooperazione in vari campi. La Cina è disposta a collaborare con la Russia, guidata dall’importante consenso raggiunto dai due capi di Stato, per spingere le relazioni Cina-Russia a un livello più alto nella nuova era”. Quali saranno le conseguenze dell’incontro bilaterale è ancora difficile dirlo, ma certamente non ci sarà – per il momento – un allontanamento di Pechino da Mosca. Perché la Cina, come sottolineato da Wang, ha sempre sostenuto “la multipolarizzazione e la democratizzazione delle relazioni internazionali, gli scopi della Carta dell’Onu, e le norme fondamentali, l’obiettività e l’equità degli affari internazionali, posizionandosi sempre sul lato giusto della storia”.
Nel chiarire le relazioni bilaterali, Wang ha precisato che i rapporti tra Cina e Russia consistono nel non stringere un’alleanza, né confrontarsi né tanto meno prendere di mira un paese terzo. Le parole del ministro cinese confermano quindi l’”amicizia senza limiti” rafforzata tra il leader cinese Xi e il presidente russo Putin poche settimane prima della guerra.
Dalla guerra russa in Ucraina, la Cina ha mantenuto una posizione coerente: da una parte sostiene le motivazioni dell’offensiva di Putin (causata dall’Occidente), dall’altra esprime preoccupazione per le vittime civili, spingendo per colloqui di pace tra gli attori internazionali protagonisti. La Cina ha finora rispettato le sanzioni degli Stati Uniti e di altri paesi, anche se si è ufficialmente opposta. Russia e Cina hanno infatti condannato le sanzioni unilaterali decise da Usa, Ue e alleati contro Mosca per la sua aggressione militare all’Ucraina, definendole “illegali e controproducenti”.
L’incontro Wang-Lavrov c’è stato a 48 ore dal 23esimo summit in collegamento video dei leader di Cina e Ue del primo aprile: il ministero degli Esteri cinese ha ufficializzato la presenza del presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang quali controparti dei presidenti del Consiglio e della Commissione europei, rispettivamente, Charles Michel e Ursula von der Leyen.
E mentre la diplomazia dialoga, la propaganda pone le prime basi negli istituti scolastici della Cina. Da giorni, infatti, circolano sul web foto di conversazioni e di lezioni tenute in varie scuole cinesi per fornire agli insegnanti gli strumenti per “unire i pensieri e guidare correttamente la comprensione degli studenti” sul conflitto in Ucraina. Ovviamente, attraverso la lente russa. Secondo le prime rivelazioni, gli insegnanti di scuola superiore e università di più province sono tenuti a frequentare lezioni o briefing online nell’ambito di una campagna di “preparazione collettiva della classe sulla situazione Russia-Ucraina” per rafforzare il controllo ideologico nelle classi. Non è ancora preciso il numero degli istituti e dei dipartimenti coinvolti, ma una ricerca effettuata in base agli annunci comparsi su internet ha evidenziato che almeno una dozzina di scuole nelle province di Shaanxi, Zhejiang, Shandong, Heilongjiang e Guangdong, propone simili corsi di formazione.
Due giudici britannici lasciano l’alta corte di Hong Kong
La Corte Suprema britannica ha annunciato il ritiro in via definitiva dei suoi giudici che siedono nella Corte d’Appello finale di Hong Kong. Il presidente della Corte suprema del Regno Unito Lord Robert Reed, insieme al vicepresidente Lord Patrick Hodge, ha presentato le sue dimissioni al governo di Hong Kong con effetto immediato. “Ho ritenuto, d’accordo con il governo di Londra, che i giudici della Corte suprema non possono continuare a sedere nel tribunale di Hong Kong senza dare l’impressione di appoggiare un’amministrazione che si è discostata dai valori della libertà politica e della libertà di espressione”. Sono queste le motivazioni presentati dai due togati, sottolineando come la legge sulla sicurezza nazionale e l’attuale condizione politica della città li abbia spinti a ritirarsi da Hong Kong.
I due giudici si sono dimessi dalla Corte di Appello finale di Hong Kong, ricevendo il sostegno della ministra degli esteri di Londra Liz Truss e il vicepremier Dominic Raab. La presenza di giudici del Regno Unito è prevista dagli accordi di riconsegna alla Cina dell’ex colonia britannica firmati nel 1997. La decisione non è stata accolta positivamente dal governo della regione amministrativa speciale, che l’ha bollata come una decisione politica anziché professionale. La mossa dei due giudici si aggiunge alle precedenti decisioni di attivisti, giornalisti e politici che hanno ritenuto necessario lasciare Hong Kong per la costante erosione dei diritti civili.
La stretta di Pechino riduce l’attività delle imprese private
Per la prima volta in sette anni, la repressione normativa della Cina dell’anno scorso ha ridotto la quota del settore privato delle grandi imprese del paese. Secondo un recente studio del Peterson Institute for International Economics, delle prime 100 società quotate in Cina per capitalizzazione di mercato alla fine del 2021, 49 erano di proprietà privata, rispetto alle 53 dell’anno precedente. È la prima volta che si registra un calo dal 2014.
Ovviamente, nel vuoto lasciato dalle imprese private entrano quelle statali. Stando allo studio del think tank statunitense, le società statali cinesi ricevono una serie di vantaggi come un accesso più facile ai prestiti bancari. C’è infatti una concentrazione di aziende statali in settori come l’industria pesante, i servizi pubblici e la finanza, dove le aziende spesso operano come monopoli o duopoli. Per questo, nonostante un aumento, le entrate nel settore privato segnate dalle più grandi società cinesi sono significativamente inferiori rispetto alla quota delle società statali.
Le grandi società cinesi di proprietà privata includono società di piattaforme Internet come Alibaba e Tencent, insieme ad altre nel settore farmaceutico, dei servizi ai consumatori, della produzione elettronica e della logistica. Secondo l’analisi del centro studi statunitense, quindi, nonostante le politiche repressive introdotte da Xi Jinping, si registra comunque un dinamismo del settore privato.
I dati genetici sono la nuova risorsa nazionale per la Cina
Il governo cinese considera i dati genetici come una risorsa strategica nazionale e sta rafforzando il controllo statale sulle banche genetiche del paese e su altri archivi di informazioni genetiche. Una serie di linee guida emanata dal Consiglio di Stato cinese nel 2019 vieta l’invio all’estero delle informazioni genetiche dei cittadini cinesi e impone la catalogazione dei database genetici umani, compresi i dati presso le istituzioni accademiche, da effettuare ogni cinque anni.
Le linee guida offrono dettagli per l’attuazione di una breve serie di regolamenti emanati per disciplinare la gestione delle informazioni genetiche dopo un grave scandalo in cui uno scienziato cinese ha eseguito l‘editing genetico su embrioni umani.
Nella cornice di queste direttive, gioca un ruolo da protagonista l’ufficio di scienza e tecnologia Xinjiang Production and Construction Corps – un’organizzazione paramilitare sanzionata dal governo degli Stati Uniti per la complicità nella gestione di campi di internamento e lavoro forzato nello Xinjiang – come responsabile della gestione del raccolta di dati nelle regioni che amministra. Come sottolinea Axios, il divieto di trasmettere i dati genetici cinesi all’estero e di proteggerli da abusi da parte di attori privati, garantendo al contempo al governo l’accesso e il controllo totale, assomiglia al sistema garantito dalla nuova legge cinese sulla privacy dei dati.
A cura di Serena Console
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.