Secondo la società di ricerca Comparitech, Chongqing è la città più sorvegliata al mondo. All’inizio del 2019 Chongqing la megalopoli del sud-ovest contava già circa 2,58 milioni di telecamere in grado di sorvegliare 15,35 milioni di persone, ovvero una media di 168 telecamere per 1.000 persone, più di quanto realizzato da Pechino che già nel 2015 vantava una copertura del 100%. Per gli esperti il primato di Chongqing va in parte attribuito all’eredità raccolta dalla campagna contro il crimine lanciata dall’ex segretario di partito Bo Xilai, arrestato per corruzione all’epoca del passaggio delle consegne tra Hu Jintao e Xi Jinping. La campagna prevedeva il lancio di importanti operazioni di sorveglianza elettronica in città, con intercettazioni telefoniche e monitoraggio delle comunicazioni via Internet. Considerato un papabile rivale di Xi, Bo godeva di un ampio consenso popolare e pare che tutt’oggi il serrato controllo esercitato dal “grande fratello” cinese venga prevalentemente accolto con favore dai cittadini, che si sentono protetti anziché spiati. Stando alla top 10 stilata da Comparitech, otto delle città più sorvegliate al mondo si trovano in Cina, con Shenzhen al secondo posto. [fonte: Scmp]
Hong Kong “smaschera” i manifestanti
Come anticipato nella nostra rassegna di ieri, il governo di Hong Kong questa mattina ha ufficializzato l’implementazione della Emergency Regulations Ordinance approvata nel 1922 – e impiegata l’ultima volta durante un’ondata di rivolte sinistrose nel 1967 – che consente alla chief executive di introdurre “qualsiasi misura” per garantire la sicurezza pubblica. Per il momento, la legge verrà impiegata in maniera blanda per vietare l’utilizzo delle maschere indossate dai dimostranti per nascondere la propria ientità. In conferenza stampa, Carrie Lam ha spiegato che la nuova misura è necessaria perché “quasi tutti i manifestanti che compiono atti di vandalismo e violenza hanno il volto coperto” con lo scopo “di nascondere la loro identità ed eludere la legge”. Attendiamoci nuove e più accese proteste nel weekend. [fonte: CNBC]
La Cina trascinata nello scontro tra Trump e Biden
La Cina potrebbe finire suo malgrado nell’indagine per impeachment a cui è stato sottoposto Trump in merito alle pressioni esercitate sull’Ucraina per colpire l’ex vicepresidente Biden, rivale alla Casa Bianca. Parlando ieri alla stampa, il presidente americano ha invitato Pechino ad aprire un’inchiesta per accertare la provenienza degli 1,5 miliardi di dollari che il figlio Hunter Biden avrebbe ottenuto dopo un viaggio in Cina con il padre attraverso la società di private equity con sede a Shanghai, BHR Equity Investment Fund Management Co. Il figlio dell’ex vicepresidente è nel board dal 2013 ed è tra gli azionisti dal 2017. BHR – partecipata da Bank of China – raccoglie fondi e li rinveste in aziende, molte delle quali statali o con attività di business controverse come Face++, il colosso del riconoscimento facciale cooptato dal governo cinese nella videosorveglianza. Le accuse sono state negate dal legale di Biden Jr. secondo il quale, non solo l’acquisizione delle quote in BHR sarebbe avvenuta quando ormai il padre non aveva più alcun incarico alla Casa Bianca, ma il cliente, fino ad oggi, non avrebbe nemmeno ancora ottenuto alcun ritorno economico da quanto investito nell’azienda. Secondo la CNN, Trump parlò delle prospettive politiche di Biden nel corso di una telefonata con Xi Jinping dello scorso giugno, nel corso della quale avrebbe anche promesso di tacere sulle proteste di Hong Kong durante i negoziati sui dazi. I dati della telefonata furono custoditi nel sistema elettronico utilizzato per le informazioni top secret, lo stesso in cui furono messi i dati della chiamata col presidente ucraino Voldymyr Zelensky. Gli esperti concordano nel ritenere poco probabile un aiuto cinese, anche in cambio di un accordo commerciale più vantaggioso. Qualsiasi intervento di Pechino rischierebbe di violare il principio della non ingerenza negli affari degli altri paesi, caposaldo della diplomazia cinese. [fonte: NYT, CNN]
Una Golden Week un po’ meno dorata
La trade war, il deprezzamento dello yuan e le proteste di Hong Kong incideranno parzialmente sulle scelte vacanziere dei cinesi durante la golden week, la settimana di festa che ogni anno comincia il 1 ottobre, giorno dell’anniversario della Rpc. Secondo la China Tourism Academy, complessivamente 800 milioni di persone ne approfitteranno per viaggiare, un 10% in più su base annua. Di questi 226 milioni si sposteranno entro i confini nazionali. Stime che evidenziano un incremento del 9,4% rispetto al 2018, il ritmo più lento dal 2007. Chi preferisce l’estero comincia sperimentare nuove mete. Stando alla piattaforma di prenotazione viaggi Ctrip, Repubblica Ceca, Austria, Croazia, Malta e Cambogia hanno registrato un aumento del 45%, mentre Hong Kong ha visto le prenotazioni per i gruppi in arrivo dalla mainland sprofondare dell’86% nonostante il calo dei prezzi di voli e hotel [fonte: Scmp, Bloomberg]
Left-behind children: i nonni-babysitter chiedono un risarcimento
Uno dei risvolti più tragici dell’urbanizzazione cinese è quello dei left-behind children, i bambini “lasciati indietro” dai genitori che per cercare lavoro abbandonano il luogo d’origine per trasferirsi nelle grandi città. In tutto sono circa 7 milioni, secondo il ministero degli Affari Civili; 60 milioni secondo . I più fortunati vengono affidati ai nonni, che crescono i nipotini come figli sobbarcandosi tutte le spese. Un favore non dovuto che in alcune circostanze rischia di turbare i rapporti familiari. Negli ultimi mesi, due nonne di Pechino e della provincia del Sichuan si sono appellate alla giustizia per ottenere dai loro figli un rimborso per i costi sostenuti in loro vece nell’arco di diversi anni. Il caso delle donne, che si sono viste riconoscere il diritto di battere cassa fino all’equivalente di 9500 dollari, è diventato argomento di discussione sul web. Secondo un sondaggio del 2017 condotto dalla Chinese Society of Education in sei città principali, nell’80% delle famiglie cinesi c’è almeno un nonno ad occuparsi dei nipoti fino all’inizio della scuola primaria, mentre nel 60% dei casi il sostegno continua anche dopo compiuti i sei anni d’età. [fonte: Scmp]
La Cina apre una ferrovia del carbone
Il 28 settembre, la Cina ha aperto al traffico merci una tratta ferroviaria dedicata al trasporto del carbone, che si estende per oltre 1.800 chilometri. A rivelarlo è la società China Railway Xi’an Group Co. Ltd., secondo la quale si tratta di una delle linee ferroviarie dedicate al trasporto di carichi pesanti più lunghe al mondo. La Haoji Railway prende il via dalla località di Haolebaoji della città di Ordos, situata nella Regione Autonoma della Mongolia Interna, in Cina settentrionale, e arriva fino a Ji’an, un’area urbana della provincia orientale cinese dello Jiangxi, attraversando sette province del Paese, tra cui lo Shaanxi, lo Henan e lo Hubei. Nella sua fase iniziale, questa ferrovia disporrà di 77 stazioni e consentirà ai treni di viaggiare a una velocità di 120 chilometri orari. Si prevede che ogni anno i convogli trasporteranno su questa tratta almeno 200 milioni di tonnellate di carbone dalla Cina settentrionale alle regioni centrali del Paese. Come spiega Bloomberg, la ferrovia è resa necessaria dalla distribuzione disomogenea delle risorse, concentrate tra Shanxi, Shaanxi e Mongolia Interna. Grazie alla nuova linea in futuro il carbone potrà raggiungere Jiangxi e Hunan in soli tre giorni rispetto ai 20 necessari attraverso la principale rotta marittima. Insomma, nonostante i massicci investimenti nelle rinnovabili, è chiaro come il combustibile fossile continuerà nel beve periodo a soddisfare buona parte delle esigenze energetiche cinesi. [fonte: Bloomberg, Ansa-Xinhua]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.