Il discorso sullo stato dell’Ue, pronunciato ieri dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha un sottotesto indirizzato principalmente alla Cina. Come sottolinea il giornalista Stuart Lau su Politico, la politica tedesca ha evidenziato la preoccupazione dell’Ue sull’assertività cinese. E per contrastare la Belt and Road Initiative cinese, von der Leyen ha deciso di lanciare il progetto “Global Gateway”, una nuova strategia di connettività per avviare partnership con i paesi di tutto il mondo. “Vogliamo investimenti in infrastrutture di qualità, che colleghino beni, persone e servizi in tutto il mondo”, ha detto la presidente della Commissione, sottolineando come l’Ue abbia bisogno di una propria visione cessando quindi il rapporto di dipendendenza con la Cina. “Siamo bravi a finanziare le strade. Ma non ha senso per l’Europa costruire una strada perfetta tra una miniera di rame di proprietà cinese e un porto di proprietà cinese. Dobbiamo diventare più intelligenti quando si tratta di questo tipo di investimenti”, ha affermato la politica tedesca, rilanciando poi un altro tema importante per l’Ue: i prodotti realizzati con il lavoro forzato. Von der Leyen ritiene che sia arrivato il tempo per l’Ue di vietare l’importazione nel mercato Ue di beni prodotti da prigionieri e detenuti con il lavoro forzato. Un chiaro riferimento alle merci provenienti dalla regione nordoccidentale cinese dello Xinjiang, dove è in atto una repressione e violazione dei diritti umani delle minoranze musulmane. Non è chiaro come la Commissione possa stabilire se le merci siano prodotte o meno dal lavoro forzato, poiché lo Xinjiang è in gran parte vietato ai diplomatici occidentali e ai gruppi internazionali per i diritti umani. Infine von der Leyen ha anche promesso di potenziare l’industria dei microchip dell’Ue per equiparare i livelli produttivi di rivali come gli Stati Uniti e la Cina tramite un nuovo “Chips Act”, una misura per limitare la dipendenza dell’Ue dalla tecnologia mobile cinese 5G. [fonte Politico, SCMP]
Pechino si avvia verso una maggiore tutela di donne e minori
Il Consiglio di Stato cinese è al lavoro per proteggere i diritti delle donne e dei bambini, compresa l’eliminazione della discriminazione di genere sul posto di lavoro e il rafforzamento della protezione dei minori. Il documento del Consiglio di Stato, che fissa gli obiettivi per il periodo 2021-2025, è il quarto piano d’azione per i diritti umani emesso dal Consiglio di Stato dal 2009: contiene quasi 200 obiettivi, 30 in più rispetto al precedente piano. Secondo quanto previsto dal governo di Pechino, verranno implementate misure per garantire pari diritti lavorativi, alleviare il peso dell’educazione dei figli sulle donne, reprimere i crimini contro i minori e per prevenire la delinquenza giovanile. Inoltre, secondo il documento, i datori di lavoro non dovrebbero limitare le assunzioni ai soli candidati maschi o dare la preferenza agli uomini rispetto alle donne, “se non diversamente specificato dallo Stato”. E i supervisori della sicurezza del lavoro sarebbero responsabili del monitoraggio della discriminazione di genere. Per quanto riguarda i diritti dei minori, è previsto il divieto di punizioni corporali in qualsiasi forma dei minori o l’umiliazione della loro dignità in qualsiasi altra modo. Il documento afferma la necessità di tutelare il diritto dei bambini ad essere informati e ascoltati. [fonte Caixin]
Un nuovo giro di vite su Hong Kong
Nove attivisti pro-democrazia di Hong Kong sono stati condannati a pene tra i sei e i 10 mesi di carcere per aver partecipato o incitato altri a prendere parte alla veglia del 4 giugno a Victoria Park per il ricordo delle vittime della strage di Piazza Tiananmen. La commemorazione era stata vietata lo scorso anno ufficialmente per la pandemia di Covid-19. Altri tre sono stati condannati, ma hanno beneficiato della sospensione della pena. Già lo scorso 9 settembre, si erano dichiarati colpevoli delle accuse di incitamento e partecipazione alla manifestazione non autorizzata in vista di una pena più morbida. Gli accusati sono l’ex vicepresidente della Hong Kong Alliance Albert Ho, gli ex legislatori Andrew Wan, Cheung Man-kwong, Cyd Ho, “Long Hair” Leung Kwok-hung, Eddie Chu e Yeung Su. Ma anche l’ex coordinatore del Civil Human Rights Front Figo Chan, il presidente del partito laburista Kwok Wing-kin, gli ex consiglieri distrettuali Chiu Yan-loy e Leung Kwok-wah e l’ex membro del comitato permanente della Hong Kong Alliance Mak Hoi -wah. Mentre gli ultimi otto imputati, che si sono dichiarati non colpevoli, saranno processati a novembre. Per il caso, 24 persone sono state accusate. Altri quattro imputati, tra cui l’attivista Joshua Wong, si sono dichiarati colpevoli e sono stati condannati già a maggio. Nel motivare il verdetto, la giudice Amanda Woodcock ha detto: “Ogni anno c’è un evento a Victoria Park per celebrare il 4 giugno, ma date le circostanze, gli organizzatori avevano altre alternative come considerare una veglia interattiva online considero appropriata una sentenza deterrente e punitiva”. Tra i condannati ci sono membri della Hk Alliance, l’associazione recentemente finita nel mirino della polizia, che ha organizzato per tre decenni le veglie del 4 giugno. Anche un altro gruppo della società civile è costretto a sciogliersi a causa della pressione esercitata dal governo. La Wall-fare, nata nove mesi dall’idea dell’ex legislatore pro-democrazia Shiu Ka-chun, ha fornito sostegno agli attivisti detenuti, raccogliendo fondi per le necessità quotidiane e fornendo supporto emotivo attraverso uno schema di scrittura di lettere. Lo scioglimento della Wall-fare arriva dopo le accuse mosse dal Secretary for Security Chris Tang della scorsa settimana sulla fornitura da parte di diverse organizzazioni di cioccolatini e fermagli per capelli per reclutare forze in grado di destabilizzare la sicurezza nazionale. All’inizio di questo mese, infatti, agenti in tenuta antisommossa sono stati schierati nella più grande prigione femminile di Hong Kong, il centro di detenzione di Lo Wu, per reprimere una protesta di 18 persone. Secondo quanto riferito dalle autorità, tra i manifestanti c’era anche l’attivista pro-democrazia Tiffany Yuen. Gli agenti hanno trovato i detenuti in possesso di cioccolatini e fermagli per capelli che superavano il numero consentito dalle quote carcerarie. Questo clima di repressione e instabilità politica non fa altro che inasprire le misure adottate dal governo della città. Secondo diverse speculazioni, l’amministrazione della Chief Executive Carrie Lam sta pensando a nuovi e diversi reati previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel luglio del 2020. I nuovi crimini potrebbero riguardare il tradimento, la sedizione, il furto di segreti di stato e le misure adottate dagli abitanti di Hong Kong per fermare le “organizzazioni politiche straniere” che operano nell’ex colonia britannica. [fonte HKFP NYT HKFP]
Test missilistici incrociati tra le Coree
Volano missili dalle Coree. Nella giornata di ieri diversi test missilistici incrociati sono stati effettuati sia da Pyongyang, sia da Seul. Da un lato, inizialmente, la Corea del Nord ha sparato nella all’alba del 15 settembre due missili balistici che sarebbero caduti, secondo Tokyo, nelle acque all’interno della zona economica esclusiva (ZEE) del Giappone. Le forze armate sudcoreane e giapponesi sostengono che i due missili balistici a corto raggio lanciati dalla Corea del Nord abbiano volato per 800 chilometri prima di atterrare in mare. A dare maggiori dettagli, è stato il ministro della Difesa giapponese, Nobuo Kishi, che nella serata di ieri ha precisato come i due missili balistici siano entrambi caduti nelle acque al largo della penisola di Noto, nella prefettura di Ishikawa, dopo aver raggiunto un’altitudine di circa 50 chilometri e aver volato per circa 750 km “su una traiettoria irregolare”. Dall’altro la Corea del Sud che, per la prima volta, ha effettuato con successo il test di un missile balistico da lancio sottomarino. E’ accaduto a poche ore dal lancio effettuato dalla Corea del Nord. Seul diventa così il settimo paese al mondo ad avere una tecnologia per il lancio di un Slbm (Submarine launched ballistic missile). Grande soddisfazione dalla Casa Blu, che ha rivendicato il successo del lancio partito dal sottomarino Dosan Ahn Chang-ho. Secondo quanto riportato da una nota della presidenza sudcoreana, il missile, da 3mila tonnellate, “ha sorvolato la distanza pianificata e colpito perfettamente il bersaglio”. All’operazione, presente il presidente Moon Jae-in che ha definito il cruciale il possesso di un Sblm, soprattutto in termini di deterrenza contro le minacce omnidirezionali. Un chiaro riferimento a Pyongyang che non ha gradito l’esercizio di Seul. Kim Yo-Jong, la sorella del leader nordcoreano Kim Jong-Un, ha accusato il presidente sudcoreano Moon di “calunnia” per l’uso di una doppia morale, secondo cui i lanci di Pyongyang sarebbero una “provocazione”, mentre quelli di Seul un “deterrente” utile per tutelare la pace e la stabilità regionale. E Kim ha minacciato di avviare una “completa distruzione” delle relazioni bilaterali tra Seul e Pyongyang. La Corea del Nord ha spesso accusato il Sud di ipocrisia per aver introdotto armi moderne mentre chiedeva colloqui per allentare le tensioni tra i due paesi.
Ma la questione non riguarda solo i cugini separati dal 1953. Il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi ha incontrato il suo omologo sudcoreano Chung Eui-yong. L’incontro è stata l’occasione per esercitare una pressione sulla Corea del Sud in ottica, soprattutto, della probabile adesione di Seul, voluta da Washington, alla Five Eyes, l’alleanza di intelligence guidata dagli Stati Uniti e che comprende anche Australia, Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda. Pechino e Seul, secondo quanto espresso da Wang, devono rafforzare i rapporti bilaterali, come due “vicini inseparabili”. Ma la visita del capo della diplomazia cinese in Corea del Sud, proprio nel giorno di nuovi test missilistici, è stata l’occasione per Seul per chiedere una maggiore collaborazione da parte di Pechino nel processo della denuclearizzazione della penisola coreana. Difficile a dirsi, però. Secondo quanto riportato dal WSJ, la Cina starebbe ostacolando i lavori del gruppo di esperti delle Nazioni Unite incaricato di monitorare le sanzioni internazionali contro la Corea del Nord. La bozza del futuro report sull’attività della Corea del Nord è ricca di note superficiali e poco dettagliate a causa della pressione di Pechino per aiutare la vicina Pyongyang. Il paese guidato dal leader Kim, starebbe utilizzando società estere impegnate nei traffici marittimi per eludere le sanzioni internazionali. [FONTE AP SCMP WSJ]
Sanseverese, classe 1989. Giornalista e videomaker. Si è laureata in Lingua e Cultura orientale (cinese e giapponese) all’Orientale di Napoli e poi si è avvicinata al giornalismo. Attualmente collabora con diverse testate italiane.