Twitter ha chiesto pubblicamente scusa per aver sospeso centinaia di account critici nei confronti del governo cinese alla viglia dell’anniversario di Tian’anmen. Il mea culpa è stato rilasciato attraverso l’account ufficiale Twitter Public Policy dopo che tra venerdì e sabato l’attivista Yaxue Cao aveva segnalato la chiusura di un numero consistente di profili legati a dissidenti, avvocati per la difesa dei diritti umani e intellettuali cinesi. L’azienda ha spiegato che “un certo numero di account” è stato sospeso per errore durante regolari operazioni di rimozione della spam e dei comportamenti inautentici: “alcuni di questi sono stati coinvolti in commenti sulla Cina. Questi account non sono stati denunciati in massa dalle autorità cinesi”. Una versione poco convincente che non è bastata ad azzittire le critiche, comprese quelle del senatore repubblicano Marco Rubio. Sebbene censurato oltre Muraglia, negli ultimi tempi Twitter è diventato per molti uno dei pochi strumenti con cui poter – attraverso vpn – comunicare con il mondo esterno. Proprio di recente la comunità uigura ne ha sfruttato il potenziale per diffondere informazioni sui campi di rieducazione, condividendo esperienze di parenti e amici. Le autorità hanno preso nota ed è dalla fine del 2018 che, sotto le pressioni del ministero della Sicurezza pubblica, molti account sono stati costretti a chiudere e cancellare anni di attivismo online [fonte: NYT, Guardian]
Pechino rilascia libro bianco sulla trade war
La “strategia della massima pressione” di Trump non costringere Pechino alla resa. E’ il senso del libro bianco sulla “trade war” rilasciato frettolosamente dal ministero del Commercio cinese nella giornata di domenica a stretto giro dall’annuncio di preparativi in corso per una “lista degli inaffidabili” con caratteristiche cinesi. Nel documento, il governo comunista attribuisce a Washington la responsabilità per il fallimento delle negoziazioni, soggette a continui ripensamenti, riaffermando al contempo la propria determinazione ad appianare le divergenze con il dialogo. La Cina continuerà ad aprire il proprio mercato interno e a intraprendere la strada delle riforme economiche, tenendo a mente le difficoltà incontrate dalle aziende straniere nel paese. Ma se ciò che Washington vuole è la guerra, che guerra sia. Secondo Bloomberg, Pechino avrebbe al vaglio nuove regole per limitare l’export di alcuni tipi di terre rare particolarmente difficili da reperire sul mercato internazionale e di cui la Cina è il primo esportatore. Stando alla Reuters, il dipartimento della Difesa americano avrebbe chiesto nuovi fondi federali per rilanciare la produzione domestica, praticamente ferma dagli anni ’90 [fonte: NYT, Bloomberg]
Sparito Li Zhi, il cantante di Tian’anmen
Sono passati tre mesi da quando il cantante folk Li Zhi è stato visto per l’ultima volta. Tutto è cominciato con l’annullamento di un tour per ragioni di “salute”, poi la discografia completa è sparita dai siti di streaming. La scomparsa dell’artista arriva a circa un mese dalle accuse di “condotta impropria” e mentre la Cina si appresta a “ricordare” i 30 anni dal massacro di piazza Tian’amen. Abbandonata negli anni la vecchia vena critica, Li continua tuttavia ad essere ricordato soprattutto per le sue canzoni sugli eventi dell’89, come suggeriscono le tracce inequivocabili The Square, The Spring of 1990 e The Goddess. Secondo Chinese Human Rights Defenders, sono almeno 13 le persone arrestate o allontanate dalle proprie abitazioni negli ultimi giorni per prevenire proteste in corrispondenza dell’anniversario [fonte: Scmp]
“Guerra dei visti”: anche il comportamento social finisce sotto la lente
Gli Stati Uniti hanno introdotto nuove misure sul rilascio dei visti che impongono informazioni dettagliati sull’utilizzo dei social network nei precedenti cinque anni. La notizia – riportata da Hill.TV – avrebbe già suscitato un certo scompiglio tra le agenzie cinesi specializzate nelle pratiche visti, che hanno consigliato ai clienti di evitare di utilizzare online le parole “maternity hotel”, “dare alla luce bambini negli Stati Uniti”, “pistole”, “green card”, “immigrati ” e ” comprare proprietà negli Stati Uniti”. Secondo il Dipartimento di Stato, la politica si applica praticamente a tutti i richiedenti visti, anche per motivi di lavoro o di studio. Ad essere colpiti ogni anno saranno 710.000 richiedenti visto di immigrazione e 14 milioni application per altri scopi. Misure analoghe in passato avevano interessato in media solo 65.000 persone sottoposte a controlli extra, a causa di frequentazioni in aree interessate dal terrorismo e altri comportamenti a rischio. L’elenco ufficiale dei social media soggetti a controllo – per il momento – comprende 20 piattaforme, tra le quali Facebook, Youtube, Google+, Instagram, LinkedIn, MySpace, e le cinesi QQ, Douban, Sina Weibo e Weibo. Nell’ultimo anno, Washington ha optato per un irrigidimento delle politiche sui visti, ma inizialmente a farne le spese erano stati principalmente accademici e scienziati [fonte: Scmp]
E’ guerra globale ai rifiuti occidentali
Il blocco del governo cinese all’importazione di rifiuti dal resto del mondo, indetto nel 2018 ha avuto effetti sull’intera catena dei rifiuti globale. La prima conseguenza è stata che le nazioni dell’occidente hanno iniziato a riversare tonnellate di rifiuti sui paesi del sud est asiatico. Ecco che Indonesia, Vietnam Filippine, Malesia, Tailandia si sono ritrovate ad accogliere quello che la Cina non voleva più da Europa e America. La festa pare finita però. Un paio di settimane fa, il presidente filippino Duterte ha minacciato il Canada di ripercussioni diplomatiche se 69 container di scarti non fossero tornati al mittente, minacciando di svuotarli in acque canadesi. Tailandia, Malesia ea Vietnam già l’anno scorso avevano iniziato ad organizzare l’offensiva della spazzatura, elaborando leggi restrittive. E la Malesia ha dichiarato di aver scoperto container di rifiuti in arrivo nei suoi porti sotto falso nome e li ha rispediti al mittente, in Spagna [fonte: Guardian]
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Classe ’84, romana doc. Direttrice editoriale di China Files. Nel 2010 si laurea con lode in lingua e cultura cinese presso la facoltà di Studi Orientali (La Sapienza). Appena terminati gli studi tra Roma e Pechino, comincia a muovere i primi passi nel giornalismo presso le redazioni di Agi e Xinhua. Oggi scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra le quali Il Fatto Quotidiano, Milano Finanza e il Messaggero. Ha realizzato diversi reportage dall’Asia Centrale, dove ha effettuato ricerche sul progetto Belt and Road Initiative. È autrice di Africa rossa: il modello cinese e il continente del futuro.