I titoli di oggi:
- Telefonata Xi-Biden: niente passi avanti, niente passi indietro
- Un drone cinese intorno alle isole Matsu
- La Cina rimuove il target di crescita del PIL
- Sotto inchiesta il ministro dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica
- Jack Ma verso la cessione di Ant Group
- I separatisti uiguri incrementano le operazioni in Afghanistan
- Malesia, approvata legge contro i cambi di partito
Telefonata Xi-Biden: niente passi avanti, niente passi indietro
Il Presidente statunitense Joe Biden e la controparte cinese Xi Jinping si sono confrontati in una videochiamata di oltre due ore. Il colloquio si è svolto in un’atmosfera “notevolmente peggiore” rispetto all’ultimo contatto diretto tra i due, risalente 18 marzo, a detta di Shi Yinhong, professore di relazioni internazionali alla Renmin University di Pechino. In realtà, però, ci sono anche segnali positivi come la scomparsa del termine “competizione” dal readout Usa e l’annuncio a latere di un incontro fisico (sarebbe il primo) entro la fine dell’anno. Definita “produttiva” dal Ministero degli Affari Esteri cinese, la chiamata non ha in realtà prodotto sviluppi concreti in merito alle questioni che negli ultimi mesi hanno infiammato le relazioni tra le due potenze.
In primo piano la questione di Taiwan, in merito alla quale la tensione resta alta. Il Presidente Xi ha affermato che la posizione cinese sul tema “è coerente ed è la ferma volontà di oltre 1,4 miliardi di cinesi di salvaguardare sovranità nazionale e integrità territoriale». Ripetendo quanto già affermato a novembre, ha ammonito Washington: “chi gioca con il fuoco si dà fuoco”. Il riferimento implicito è alla possibile visita della speaker della Camera Usa Nancy Pelosi a Taiwan, la prima del genere negli ultimi 25 anni. Biden ha ribadito la ferma opposizione “agli sforzi unilaterali per cambiare lo status quo o minare la pace e la stabilità attraverso lo Stretto”. Nessuna menzione ai temi dei dazi e del price cap sul petrolio proveniente dalla Russia, mentre la questione del conflitto in Ucraina è stata trattata solo marginalmente, con un generico appello da parte cinese ad adempiere alle proprie responsabilità di maggiori potenze mondiali “nel mantenimento della pace e della sicurezza e nella promozione dello sviluppo e della prosperità globali”.
Un drone cinese intorno alle isole Matsu
Nella giornata di giovedì, il Ministero della Difesa taiwanese ha annunciato che l’esercito di Taipei ha sparato alcuni razzi in risposta all’attività anomala di un drone da ricognizione dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA). Come già riportato nell’ultima puntata di Taiwan Files, lo scorso lunedì, un altro drone era riuscito nell’inedita missione di effettuare un giro completo intorno a Taiwan. Il drone avvistato ieri è volato lungo la presunta linea mediana dello Stretto sfiorando per due volte lo spazio aereo dell’isola di Dongyin dell’arcipelago delle Matsu, il punto più settentrionale sotto giurisdizione taiwanese. L’isola, situata a poche decine di chilometri dalle coste della regione cinese del Fujian, in un punto di strozzatura strategico nello Stretto, rappresenta “la prima linea nelle difese di Taiwan fin dagli anni Cinquanta”, nonché, secondo alcuni esperti, uno tra i primi obiettivi militari nel caso di un ipotetico attacco cinese.
Le incursioni di questi giorni hanno coinciso con le esercitazioni annuali Han Kuang di Taiwan, che ogni anno simulano un potenziale attacco su larga scala da parte della Repubblica Popolare Cinese per testare la prontezza delle forze di difesa taiwanesi. Secondo alcuni analisti cinesi, la mancanza di una segnalazione immediata da parte taiwanese rifletterebbe una “grande vulnerabilità”, confermando il grande divario di forza tra la Cina continentale e Taiwan e lasciando presagire che l’utilizzo di droni a scopo offensivo potrebbe realizzarsi in maniera indisturbata nel caso dello scoppio di un conflitto reale. Il Ministero della Difesa taiwanese non esclude che si sia trattato di una mossa di Pechino atta a saggiare le difese il sistema di difesa taiwanese e suscitare una reazione.
La Cina rimuove il target di crescita del PIL
Il Partito comunista cinese ha dichiarato che quest’anno cercherà di ottenere “i migliori risultati possibili” in ambito economico, senza menzionare alcun obiettivo di crescita del PIL per il 2022, cancellando dunque il target del 5,5% annunciato durante le “due sessioni” di marzo. L’agenzia di stampa statale Xinhua ha riportato la notizia giovedì dopo una riunione di alto livello dei membri del Politburo. La pandemia da Covid-19 ha impattato gravemente sull’economia cinese, anche per via del ricorso ai ripetuti lockdown imposti dalla politica “zero Covid”. Per questo il pil del primo semestre del 2022 è cresciuto solo del 2,5%, lasciando presagire un possibile, ulteriore rallentamento nella seconda parte dell’anno, dovuto anche alle incertezze della guerra in Ucraina e alla crisi del settore immobiliare. Nelle sue apparizioni pubbliche il segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping aveva già ridimensionato gli obiettivi affermando che il governo “si sforzerà di raggiungere un livello relativamente buono di sviluppo economico entro quest’anno”, ponendo come priorità la gestione della pandemia. Secondo Julian Evans-Pritchard di Capital Economics la riunione del Politburo rafforza “l’opinione che gli stimoli rimarranno relativamente limitati quest’anno e che l’economia continuerà a operare ben al di sotto del potenziale nei prossimi trimestri”. Gli analisti affermano che è chiaro che la priorità di Pechino è la lotta al Covid-19. Per questo non sono previsti particolari stimoli per raggiungere l’obiettivo di crescita del 5,5% di quest’anno. In autunno si terrà il quinquennale Congresso del Partito Comunista, in cui ci si aspetta che il presidente Xi Jinping venga eccezionalmente confermato leader del paese per il terzo mandato consecutivo.
Sotto inchiesta il ministro dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica
Il ministro dell’Industria e dell’Informazione Tecnologica Xiao Yaqing è sotto inchiesta per corruzione. Il governo cinese sta promuovendo una campagna per rettificare la condotta degli alti funzionari del Partito comunista che ora prende di mira dunque anche i membri del governo. Xiao Yaqing è sospettato di aver violato la disciplina del Partito e non ha risposto alle richieste di commento. Sotto la leadership di Xi Jinping il Partito ha indagato e licenziato decine di funzionari di alto rango, ma si tratta della prima volta che un ministro ancora in carica finisce sotto indagine. Secondo il Wall Street Journal, però, non è stato possibile determinare in che modo l’indagine a carico di Xiao possa influire sulle nomine del personale al Congresso. Quel che è certo è che non è stato nominato delegato per la sessione di quest’anno, al contrario di quanto era accaduto al suo predecessore nel 2017. Come riporta il WSJ, Xiao ha recentemente affermato che i quadri devono “unirsi più strettamente” alla leadership di Xi e “salutare la vittoriosa convocazione del 20° Congresso del Partito con azioni pratiche”. Passare al vaglio dell’agenzia disciplinare per un’inchiesta anticorruzione sembra allinearsi con questo spirito di adesione e lealtà al Partito.
Jack Ma verso la cessione di Ant Group
Il miliardario del fintech cinese e fondatore di Alibaba Jack Ma sta pensando di cedere Ant Group per fronteggiare i rischi legati alla governance dell’azienda, dopo che l’IPO da oltre 34 miliardi di dollari è stata bloccata dalle autorità nel 2020 e condizionata a una riorganizzazione aziendale. Jack Ma è da tempo sotto il mirino di azioni governative atte a limitare lo strapotere che le sue società avevano acquisito in Cina. Secondo il Wall Street Journal il cambio di proprietà potrebbe posticipare di qualche anno il potenziale rilancio in borsa del Gruppo Ant, poiché la legge sui titoli nel paese prevede un periodo di arresto per le società che hanno attraversato un recente cambio di dirigenza. Anche se Jack Ma non ricopre un ruolo esecutivo né è membro del CdA rimane comunque una figura di spicco per il Gruppo Ant: controlla il 50,52% delle azioni attraverso un ente finanziatore di cui detiene la posizione dominante. La decisione di Ma è stata comunicata direttamente dall’azienda proprio nel momento in cui si preparava a seguire le indicazioni delle autorità regolatorie e a convertirsi in una holding finanziaria regolata dalla banca centrale cinese.
I separatisti uiguri incrementano le operazioni in Afghanistan
Il gruppo separatista uiguro ETIM (Movimento Islamico del Turkestan Orientale), ritenuto da Pechino responsabile dei disordini e degli attacchi terroristici di qualche anno fa nella regione nordoccidentale dello Xinjiang, continua a incrementare le sue operazioni nell’Afghanistan a guida talebana, secondo quanto evidenziato da un recente rapporto del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Fin dal loro ritorno al potere quasi un anno fa, i Talebani avevano dichiarato il proprio impegno a reprimere l’ETIM, noto anche come TIP (Partito Islamico del Turkestan), in cambio del supporto del Pechino. Tuttavia, secondo Faran Jeffery, vicedirettore e responsabile del desk terrorismo dell’Asia meridionale presso l’Islamic Theology of Counter Terrorism (ITCT) con sede in Regno Unito, il gruppo separatista continuerebbe a rappresentare “una bomba ad orologeria per la Cina nel suo vicinato”, sebbene abbia finora mantenuto un basso profilo.
Sulla base di valutazioni d’intelligence provenienti da diversi paesi contenute nel rapporto del 15 luglio, “diversi Stati membri hanno notato che l’ETIM/TIP sta continuando a rafforzare le sue relazioni con il TTP e Jamaat Ansarullah, aumentando il suo addestramento militare sulla fabbricazione e l’uso di ordigni esplosivi improvvisati, concentrandosi sul morale e pianificando di compiere attacchi terroristici contro gli interessi cinesi nella regione quando sarà il momento giusto”. L’ETIM ha fatto dell’Afghanistan una delle sue roccaforti e si stima possa disporre di almeno un migliaio di militanti nel Paese, a molti dei quali potrebbe essere stata addirittura concessa l’identità afghana. Secondo Jeffrey, i Talebani non avrebbero fatto altro che trasferire alcuni combattenti lontano dal confine cinese, nella provincia nordorientale del Badakhshan, “nel tentativo di esercitare un certo controllo sul gruppo e di dimostrare a Pechino che non ha bisogno di preoccuparsi”. Dal rapporto emerge che i talebani intravedono comunque nel rapporto con l’ETIM una “carta vincente” da far valere nella relazione con la superpotenza asiatica.
Malesia, approvata legge contro i cambi di partito
Il Parlamento della Malesia ha approvato una legge storica contro le defezioni partitiche in cantiere dal 2019. La necessità di una riforma simile era emersa dopo il crollo del governo Pakatan Harapan (PH) guidato da Tun Dr Mahathir Mohamad nel 2020. Quando aveva assunto il potere nel 2018, il PH aveva messo fine a decenni di monopolio politico da parte dell’Umno. Tuttavia, una defezione di massa conosciuta come “mossa Sheraton” aveva portato al collasso del governo e condannato la Malesia a un lungo periodo di instabilità politica, che si è protratto finora. L’approvazione di questa legge era cruciale anche perché il PH, ora all’opposizione, aveva accettato di dare sostegno dell’attuale governo Ismail approvando alcune riforme chiave solo a condizione che la anti-party hopping law venisse approvata. Piuttosto che un atto parlamentare, i legislatori hanno optato per l’approvazione della legge attraverso una serie di emendamenti costituzionali, che richiedono la maggioranza qualificata in Parlamento. Adesso la anti-party hopping law deve passare al vaglio del Senato malese, e sarà probabilmente in vigore al momento delle prossime politiche nel settembre 2023.
Di Agnese Ranaldi e Michelle Cabula