I titoli di oggi:
- Anche la Cina minaccia di abbattere un UFO
- Rapporti Cina-Ue: tra sanzioni e accordi congelati
- Energie rinnovabili: l’Ue contro i sussidi cinesi alle imprese
- Xi e il leader cambogiano contro “l’egemonia” degli Stati Uniti
- Gli effetti della guerra dei chip sulla società cinesi
- L’e-commerce cinese punta a espandersi in Europa e Nord America
- Indonesia: gravi violazioni nelle fabbriche cinesi
La saga dei palloni-spia continua e si moltiplica. Tra venerdì e domenica gli Stati Uniti hanno abbattuto altri tre oggetti volanti non identificati, uno dei quali si trovava nello spazio aereo del Canada. Venerdì in Alaska è stato rilevato un oggetto volante grande come un’auto, senza equipaggio e apparentemente senza grande capacità di manovra. È stato abbattuto perché, volando a circa 12.000 metri di altezza come gli aerei di linea, rappresentava una “ragionevole minaccia per la sicurezza dei civili”, come dichiarato dal coordinatore del Consiglio di sicurezza statunitense per le comunicazioni strategiche, John Kirby. Secondo il Wall Street Journal, l’amministrazione Biden non sa ancora dire a chi appartenesse. Un episodio simile si è poi verificato sabato in Canada, quando il primo ministro Justin Trudeau ha autorizzato gli Stati Uniti ad abbattere quello che è stato definito un oggetto cilindrico di dimensioni più piccole rispetto al famoso pallone cinese. Domenica è stato infine distrutto un terzo oggetto volante sopra il lago Huron, al confine col Canada. Ma non è finita qui. The Paper, quotidiano di Shanghai, sostiene che nello stesso giorno in Cina sia stato individuato un oggetto volante non identificato nei cieli sopra il mare di Bohai e vicino Qingdao. Le autorità cinesi sarebbero pronte ad abbatterlo. Proprio domenica è iniziata un’esercitazione militare dell’Esercito popolare di liberazione (PLA) nello stretto di Bohai, che collega il mare di Bohai alla parte settentrionale del mar Giallo.
Rapporti Cina-Ue: tra sanzioni e accordi congelati
Che fine ha fatto il Comprehensive Agreement on Investment (CAI), l’accordo di investimento bilaterale stipulato tra Bruxelles e Pechino a dicembre 2020? A maggio 2021 il Parlamento europeo aveva interrotto la discussione a seguito di sanzioni incrociate: la Cina le aveva applicate ad alcune entità europee in risposta all’azione analoga dell’Ue, che le aveva imposte alla Cina per le presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Ma ora “bisogna guardare avanti”, almeno secondo Fu Cong, nuovo ambasciatore di Pechino presso l’Ue. Fu ha invitato a non continuare un dibattito “inutile e senza risultati”, e ha aggiunto che le due parti dovrebbero “revocare le sanzioni” per consentire l’avanzamento dell’accordo e apportare benefici all’economia internazionale.
Ma le discussioni non accennano a fermarsi. Proprio di recente legislatori e associazioni per i diritti umani in Europa hanno espresso rimostranze per la visita prevista per febbraio di un alto funzionario cinese. Si tratta di Erkin Tuniyaz, è attualmente il governatore dello Xinjiang ed era stato sanzionato dagli Stati Uniti – ma non dall’Ue – per il sostegno delle politiche repressive di Pechino nell’area. Nel 2021 Tuniyaz aveva descritto il programma applicato nella regione come “misure preventive di antiterrorismo”. Usa e Regno Unito, invece, hanno approvato mozioni che definiscono “genocidio” le politiche cinesi nell’area.
Xi e il leader cambogiano contro “l’egemonia” degli Stati Uniti
“Politicizzare gli scambi economici, commerciali e scientifici”, “spingere per il disaccoppiamento”, “frenare lo sviluppo degli altri paesi” e “chiedere ai paesi della regione di schierarsi”: sono tutti chiari “atti di egemonia”, per di più “impopolari”. Lo ha detto venerdì scorso Xi Jinping, alludendo non tanto velatamente agli Stati Uniti in occasione di un incontro con il leader cambogiano Hun Sen. Dichiarazioni che giungono nel mezzo della polemica sull’abbattimento del presunto pallone-spia cinese a largo del South Carolina. Intanto Xi ha anche detto che continuerà a spingere per una cooperazione “in tutti i campi” con la Cambogia, e che la Cina offrirà un fermo sostegno al paese affinché possa portare avanti la sua “importante agenda politica interna”. In cui rientrano, ad esempio, le elezioni politiche del prossimo luglio, le prime dal 2018. L’incontro tra i due leader è servito a Hun Sen per assicurarsi capitali cinesi in progetti infrastrutturali: secondo fonti cambogiane le due parti hanno firmato un totale di 12 accordi.
Energie rinnovabili: l’Ue contro i sussidi cinesi alle imprese
L’Unione europea si sta muovendo affinché la percentuale di energia derivante dalle fonti rinnovabili salga entro il 2030 dall’attuale 17% al 45%. La scorsa settimana, ad esempio, Enel ha diffuso i dettagli di un progetto per ampliare la capacità produttiva di uno stabilimento di pannelli solari in Sicilia, che diventerà così il maggiore in Europa. Gli analisti, tuttavia, reputano difficile costruire un’industria locale che sia redditizia e che sappia resistere alla competizione di Stati Uniti, Cina e India. Tutti paesi che di recente hanno aumentato le sovvenzioni per le rinnovabili. Con l’Inflation Reduction Act (IRA) approvato lo scorso agosto Washington ha stanziato 370 miliardi di dollari in sussidi e agevolazioni fiscali per le tecnologie verdi. Ma la sfida maggiore per l’industria europea sarà riuscire a non diventare dipendente dalla Cina, che ad oggi controlla l’80% della catena di fornitura del solare a livello mondiale. Proprio nei giorni scorsi la presidente della Commissione europea Ursula von der Layen ha invitato i paesi europei a fare di più per contrastare i “massicci” sussidi che Pechino elargisce alle sue industrie, non solo nelle rinnovabili. Sovvenzioni che secondo la von der Layen il governo di Pechino eroga “in maniera opaca”.
Gli effetti della guerra dei chip sulla società cinesi
La Yangtze Memory Technologies Corp (YMCT), il principale produttore cinese di chip NAND flash (usati nelle memorie USB e in molti dispositivi elettronici) avrebbe tagliato “in modo significativo” gli ordini dai suoi fornitori. Lo hanno riportato fonti del South China Morning Post, secondo le quali negli ultimi mesi la società avrebbe ridotto del 70% gli ordini da Naura Technology, una delle principali aziende del paese di strumenti per incisione e pulizia per le fabbriche di wafer di chip. Segno che gli sforzi di Washington per negare a Pechino l’accesso a tecnologie avanzate di produzione dei chip stanno sortendo gli effetti sperati. Zhao Haijun, uno dei Ceo di Semiconductor Manufacturing International Corp. (SMIC), altro gigante cinese del settore, nei giorni scorsi ha detto che i controlli alle esportazioni lanciati dagli Usa lo scorso ottobre hanno generato una situazione di “gravità senza precedenti“. Nell’ultimo trimestre del 2022, infatti, la SMIC ha visto il fatturato calare del 15% rispetto al trimestre precedente. Ma è rimasta fedele ai suoi piani di espansione: dopo nuovi impianti a Shanghai, Pechino e Shenzhen, si appresta ora a costruirne uno a Tianjin. La YMTC, invece, pare risenta maggiormente delle tensioni geopolitiche: notizie recenti parlano di licenziamenti del 10% della forza lavoro e del rinvio del progetto di un secondo stabilimento a Wuhan.
L’e-commerce cinese punta a espandersi in Europa e Nord America
I siti di shopping online cinesi sono pronti a espandersi in pianta stabile in Europa e Nord America, facendo concorrenza a colossi come Amazon. Nonostante i rapporti tra la Repubblica popolare e l’occidente non siano proprio idilliaci, i principali marchi dell’e-commerce cinese (Alibaba, Pinduoduo, e TikTok) sono intenzionati a superare la fase di rallentamento della crescita di utenti in patria spingendosi verso mercati più redditizi. Secondo Nikkei Asia, grazie a politiche commerciali “amichevoli” e alla comodità del trasporto marittimo, la Spagna rappresenta la principale porta d’accesso al mercato europeo. I siti cinesi si stanno facendo largo anche negli Stati Uniti e in Canada, e sembrano volersi muovere su due fronti: da un lato sfruttando la crescita percentuale degli acquisti su dispositivi mobili (che stanno sostituendo sempre di più lo shopping su computer), dall’altro tramite l’apertura di negozi “pop-up” nelle grandi città. Altro fattore importante è quello relativo al costo dei prodotti dei negozi online. Sul modello Shein, per esempio, anche Temu di Pinduoduo sta cercando di espandersi facendo leva sui prezzi stracciati.
Indonesia: gravi abusi nelle fabbriche cinesi
Il 14 gennaio scorso, due persone (un indonesiano e un cinese) sono morte a seguito di violenti scontri avvenuti in un impianto di lavorazione del nichel a Nord Morowali, in Indonesia. Il sito è gestito dalla società cinese Gunbuster Nickel Industry: pochi giorni prima l’azienda aveva rigettato alcune richieste del sindacato dei lavoratori, tra cui l’implementazione di standard più elevati per la sicurezza sul lavoro, scatenando delle rivolte. In una lunga inchiesta, Vice ha ricostruito le storture legate all’industria del nichel di Giacarta.
L’Indonesia è il paese che detiene le maggiori riserve mondiali di nichel, elemento fondamentale per le batterie delle auto elettriche. Per attrarre aziende straniere e rendere Giacarta un hub globale del settore, il presidente Joko Widodo ha permesso a una serie di società, soprattutto cinesi, di investire nel paese chiudendo un occhio sul rispetto degli standard globali riguardo l’ambiente, i diritti dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro. Dall’inaugurazione avvenuta nel dicembre 2021, l’assenza delle più basilari norme di sicurezza ha portato alla morte di diversi lavoratori della Gunbuster, accusata anche di controllare i telefoni dei propri dipendenti e di aver armato gli operai cinesi per tentare di sabotare l’ultimo sciopero, poi diventato violento. Secondo alcuni esperti, le diverse compagnie cinesi che hanno investito nel settore minerario indonesiano all’interno di progetti legati alla Belt and Road Iniziative (BRI) ricevono una maggiore protezione in quanto direttamente collegate al governo centrale di Pechino. Oltre a intralciare gli affari, una maggior ingerenza sulle condizioni di lavoro interne agli impianti potrebbe infatti anche danneggiare i rapporti tra Giacarta e la Repubblica popolare.
A cura di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno