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In Cina e Asia – Ambasciatore cinese: “I paesi baltici non hanno uno “status effettivo”

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Ambasciatore cinese: i paesi baltici non hanno uno “status effettivo” nel diritto internazionale
  • Borrell: “Le marine Ue dovrebbero pattugliare lo Stretto di Taiwan”
  • La Cina aumenta la propria presenza nella catena di produzione del gas in Medio Oriente
  • Continuano le proteste dei risparmiatori dello Henan
  • Il 70% degli universitari cinesi crede ancora nella meritocrazia
  • Fiera di Canton: focus sulla delocalizzazione della catena di approvvigionamento

L’ambasciatore cinese in Francia, Lu Shaye, ha parlato a titolo personale. Nella giornata di oggi il ministero degli Esteri cinese ha preso le distanze da quanto detto recentemente dal diplomatico in una recente intervista alla rete francese TF1. “La parte cinese rispetta lo status degli stati membri come stati sovrani dopo il crollo dell’Unione Sovietica”, ha detto la portavoce Mao Ning, aggiungendo che la Repubblica popolare è stata tra i primi paesi a stabilire relazioni diplomatiche con i paesi dell’ex Urss.

Lu aveva dichiarato che Estonia, Lettonia e Lituania non hanno uno “status effettivo” nel diritto internazionale e non esiste “un accordo internazionale che concretizzi il loro status di paese sovrano”. I governi delle tre ex repubbliche sovietiche avevano così chiesto riscontro immediato a Pechino. Su Twitter il ministro degli Esteri lettone Rinkēvičs ha definito le affermazioni dell’alto diplomatico come “inaccettabili” e ha chiesto una “completa ritrattazione” di quanto detto. Lu Shaye ha anche esitato quando gli è stato chiesto se la Crimea facesse parte dell’Ucraina. “Ecco un ambasciatore cinese che sostiene che la Crimea è russa e che i confini dei nostri paesi non hanno alcuna base giuridica”, ha twittato il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis, con la volontà di spiegare perché gli stati baltici non si fidano della Cina come mediatrice della pace in Ucraina.

Non è la prima volta che Lu si lascia andare a dichiarazioni critiche. L’anno scorso, affrontando il tema della visita di Nancy Pelosi a Taiwan, aveva rivendicato pubblicamente la necessitò di una “rieducazione”, in quanto il governo di Taipei ha “indottrinato e intossicato” la popolazione con un’educazione anti-cinese.

Borrell: “Le marine Ue dovrebbero pattugliare lo Stretto di Taiwan”

In un articolo di opinione pubblicato sul quotidiano francese Journal Du Dimanche, l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, Josep Borrell, ha invitato “le marine europee a pattugliare lo Stretto di Taiwan” in nome della “libertà di navigazione”. Il numero uno della politica estera europea ha poi detto che per l’Unione “esiste una sola Cina, ma non a nessuna condizione e certamente non attraverso l’uso della forza”. In opposizione alle discusse dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron a Politico al ritorno dalla sua visita nella Repubblica popolare, Borrell ha detto che il tema Taiwan riguarda l’Europa “economicamente, commercialmente e tecnologicamente”. Come sottolineato dal Guardian, già la scorsa settimana il funzionario dell’Ue aveva detto al parlamento europeo che “un’azione contro Taiwan andrebbe necessariamente respinta” anche per il suo “ruolo strategico nella produzione di semiconduttori”.

Le dichiarazioni di Borrell arrivano a stretto giro da quelle del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, che la scorsa settimana aveva espresso la propria opposizione ai “tentativi di cambiare lo status quo con la forza” nello Stretto. Come riportato da Reuters, il vice ministro degli esteri cinese Sun Weidong ha definito “inaccettabili” le parole di Yoon e “imparagonabile” l’accostamento tra le dispute nella penisola coreana e quelle tra Pechino e Taipei. Intanto Alejandro Giammattei, presidente del Guatemala (uno dei 13 Stati che ancora riconoscono la Repubblica di Cina, cioè Taiwan), è partito sabato per una visita a Taiwan.

La Cina aumenta la propria presenza nella catena di produzione del gas in Medio Oriente

La Cina sta espandendo i propri investimenti nelle risorse energetiche del Medio Oriente, e non si limita più ad acquistare gas e petrolio. Come riportato dal Wall Street Journal, la China Petroleum & Chemical, società statale cinese conosciuta come Sinopec, ha acquisito l’1,25% di un giacimento di gas naturale liquefatto (GNL) del Qatar. L’accordo non contribuirà solo all’approvvigionamento energetico della Repubblica popolare, ma permetterà anche a Sinopec di acquisire competenze tecniche in un settore a lungo dominato dalle aziende occidentali. Alla Cina, infatti, è sempre mancato il know-how per condensare il gas in liquido, cioè nello stato necessario per trasportarlo via nave. Anche se è improbabile che la Repubblica popolare esporti il proprio GNL, che non ha in grande quantità, le aziende cinesi potrebbero arrivare a guidare progetti in varie parti del mondo, anche con l’intenzione di favorire l’uso dello yuan per la compravendita di idrocarburi (come dichiarato dal presidente Xi Jinping in Arabia Saudita a dicembre).

Pechino ha acquistato per la prima volta gas naturale in yuan dagli Emirati arabi uniti a marzo, mentre nel novembre scorso si è assicurata la fornitura 4 milioni di tonnellate di GNL all’anno dal Qatar (per 27 anni). Due società cinesi hanno inoltre firmato accordi con l’Iraq per sfruttare tre giacimenti di petrolio e gas. Tutti questi accordi rendono la Cina meno dipendente da Stati Uniti e Australia, due dei suoi maggiori fornitori di idrocarburi. Pechino acquista circa il 50% del petrolio e gas naturale che importa dal Medio Oriente e sta aumentando la propria influenza nella regione.

Continuano le proteste dei correntisti dello Henan

Tutto era cominciato ad aprile del 2022, dopo che migliaia di persone (la maggior parte abitanti dello Henan) avevano scoperto di non essere in grado di ritirare contanti depositati in cinque banche rurali. Le indagini condotte hanno portato all’arresto di più di 200 sospetti e hanno garantito rimborso a buona parte delle depositanti coinvolti, che ammonterebbero a circa 400 mila. Ma pare che “diverse migliaia” di persone non abbiano ancora ricevuto nulla. “I clienti della Silicon Valley Bank americana hanno riavuto i loro soldi in tre giorni”, recitano alcuni striscioni comparsi nelle proteste che vanno avanti da inizio mese, come riportato dalla Cnn. Secondo alcuni esperti situazioni analoghe potrebbero accadere anche in altre province: molte istituti di credito di piccole dimensione della Repubblica popolare versano in una situazione di difficoltà viste la complessa situazione economica attuale, sono caratterizzate da poca trasparenza e sono più vulnerabili alla corruzione.

Il 70% degli universitari cinesi crede ancora nella meritocrazia

“Se c’è un principio sul quale la maggioranza dei cinesi è d’accordo, è la meritocrazia”, sostiene Li Zhonglu, professore di sociologia all’Università dello Shangdong, in un articolo pubblicato su Sixth Tone. Negli ultimi anni, però, la diffusione generalizzata di un alto livello di istruzione tra i giovani cinesi ha diminuito il valore dei titoli di studio acquisiti con tanto sudore e fatica. Anche per questo si è assistito a fenomeni di frustrazione sociale come quello del movimento degli “sdraiati” (tangping 躺平). Nel tentativo di misurare quanto i cinesi credessero ancora nella meritocrazia, Li ha analizzato i dati di uno studio organizzato dall’Accademia cinese delle scienze sociali nel 2018. I risultati dicono che il 70% degli universitari crede ancora che il loro successo dipenderà esclusivamente dal duro lavoro, un dato relativamente alto, mentre tale convinzione scende al 59% se si prende in considerazione una fascia più ampia della popolazione. Secondo Li, aver studiato in università di prestigio comporta meno problemi nel trovare un lavoro post-laurea, e infatti la “fede” nel sistema meritocratico cala più si analizzano le risposte degli studenti usciti da istituti di livello inferiore. “Un effetto collaterale (…) è che potrebbe esacerbare la disuguaglianza sociale”, sostiene Li. Dallo studio emerge anche che gli studenti che visualizzano più spesso contenuti online relativi alle ingiustizie sociali tendono ad avere meno fiducia nella meritocrazia.

Fiera di Canton: focus sulla delocalizzazione della catena di approvvigionamento

La fiera di Guangzhou (Canton) è la più grande fiera commerciale del paese e si tiene quest’anno dal 15 aprile al 5 maggio. Secondo quanto riportato da Caixin, piuttosto che acquistare prodotti finiti molte aziende straniere stanno iniziando a ordinare solo componenti, con l’intenzione di assemblarle nei loro paesi di origine. La tendenza dimostra la volontà di evitare le tariffe di esportazione dei prodotti finiti, e si rispecchia anche nei recenti dati doganali: le esportazioni da parte dei produttori stranieri sono calate del 16,3% nel primo trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2022. Un calo che stride con le esportazioni complessive cinesi, che hanno registrato una crescita dello 0,5% su base annua. Ma che indica una diminuzione delle spedizioni del cosiddetto commercio di trasformazione: quel processo secondo cui si importano tutte o parte delle materie prime e si riesportano i prodotti finiti dopo la lavorazione o l’assemblaggio nel paese coinvolto. Ciò dimostra l’accelerazione della tendenza alla delocalizzazione della catena di approvvigionamento. I prodotti maggiormente coinvolti sarebbero soprattutto smartphone, computer e circuiti integrati. Uno degli attori principali, la multinazionale taiwanese dell’elettronica Foxconn, starebbe infatti puntando alla diversificazione in paesi come l’India.

A cura di Vittoria Mazzieri e Francesco Mattogno