La nuova via della seta non è un “China club”
La nuova via della seta non è mirata a istituire un “China club”. In occasione del quinto anniversario della Belt and Road, Xi Jinping è corso in sostegno del progetto smentendo che l’obiettivo primario sia quello di istituire “alleanze militari e geopolitiche”. Il tempismo è perfetto. Soltanto pochi giorni fa il “nuovo” premier malese Mahathir Mohamad ha annunciato l’interruzione di un importante linea ferroviaria nel paese del sudest asiatico, mentre il rimpasto politico in Pakistan getta molte incognite sulla realizzazione del corridoio economico tra i due paesi. L’accento posto dal presidente cinese sul “benessere delle popolazioni” coinvolte nel piano sembra inoltre rispondere alle accuse che vedrebbero Pechino assoggettare i partner più deboli con una “trappola del debito”. Ma se l’intento di Xi era quello di rassicurare il mondo, un dettaglio rischia di offuscare ulteriormente il ciclopico disegno cinese. Secondo la Xinhua, il leader ha rimarcato la necessità di intensificare la leadership del partito comunista nello sviluppo congiunto del progetto.
L’Onu accusa Aung San Suu Kyi di “genocidio”
La persecuzione dell’etnia minoritaria islamica dei rohingya ad opera dell’esercito birmano è “genocidio”. Lo rivela un rapporto di 20 pagine redatto dalle Nazioni Unite sulla base delle testimonianze raccolte tra la diaspora in Bangladesh e altri paesi. “Ci sono informazioni sufficienti per giustificare l’investigazione e il perseguimento di alti funzionari nella catena del comando del Tatmadaw, in modo che un tribunale competente possa determinare la loro responsabilità per genocidio in relazione al situazione nello stato di Rakhine.” Auspicando sanzioni individuali, gli autori del rapporto hanno consigliato un coinvolgimento dell’ International Criminal Court (ICC) o di un tribunale istituito ad hoc. Il rapporto, che condanna anche l’operato dell’esercito negli stati Kachin e Shan, non manca di puntare il dito contro il governo civile di Aung San Suu Kyi per la connivenza dimostrata.
Continua il giro di vite sui giovani neomaoisti
Il 24 agosto una cinquantina di operai e studenti delle rinomate Peking University, Nanjing University e Renmin University sono stati presi in consegna dalle autorità. Motivo? Aver parteggiato per gli impiegati della Jasic Technology, colosso dell’industria cinese con base a Shenzhen, specializzata in macchinari per la saldatura, in protesta con l’intento di ottenere condizioni lavorative migliori nonché l’istituzione di un sindacato indipendente. Le rimostranze — appoggiate trasversalmente da studenti, attivisti di sinistra, neomaoisti e accademici — giungono mentre la leadership si trova a far fronte a un moderato rallentamento dell’economia affiancato da un crescente malcontento tra il ceto intellettuale verso l’assolutismo di Xi Jinping. Tuttavia, dalle proteste emerge la volontà di mantenere un dialogo con il partito comunista, tradizionalmente investito di un ruolo pternalistico. Come scrive una delle giovani leader del movimento neomaoista, “poiché tutti i vari gruppi all’interno della nostra nazione stanno lavorando insieme per realizzare il sogno cinese sotto la direzione del Comitato centrale del Partito e del Segretario Generale Xi, crediamo che le azioni di queste forze oscure a Pingshan mostrino un grande disprezzo per lo ‘stato di diritto’ nel nostro pese.” Come spesso accade le colpe ricadono sui pesci piccoli: le amministrazioni locali.
In Corea del Nord vola il settore privato
Le sanzioni fanno bene all’economia nordcoreana. E’ quanto emerge indirettamente da un rapporto del think tank americano Center for Strategic and International Studies (CSIS), secondo il quale ad oggi si contano 436 mercati ufficiali, capaci di fruttare al governo nordcoreano 57 miliardi di dollari l’ano tra tasse e affitti. Un fenomeno — dato da esigenze di sopravvivenza — in crescita dal 2002. Secondo un sondaggio condotto dai ricercatori su 36 nordcoreani, il 72% dei rispondenti ha dichiarato che quasi tutte le entrate famigliari provengono dai mercati, mentre l’83% ha affermato che beni e informazioni esterni hanno un impatto maggiore sulla loro vita rispetto alle decisioni del governo centrale. Complice l’inasprimento delle sanzioni, sono sempre più i nordcoreani a lasciare il posto nelle aziende stataliper approdare nel settore privato.